Ad accogliere i turisti a Branzi, dai primi di luglio, c’è una coppia di contadini giganti. Fatti con le cosiddette “balle di fieno”, i due personaggi sono il simbolo dell’antico lavoro agricolo che ancor oggi caratterizza la piana del paese.
Un mestiere di fatica ma che porta con sé il pregio di vivere a contatto con la natura e con i suoi ritmi, e che viene festeggiato in paese con la Fiera di San Matteo a fine settembre. Un lavoro che in passato era il perno dell’economia della nostra Valle Brembana e che ora, dopo decenni di abbandono, sembra rifiorire grazie all’audacia di qualche giovane.
Di questo mestiere, quali sono i tempi e le tecniche della fienagione nei paesi brembani? Cercheremo di raccontarli, seguendo la tradizione degli anni Sessanta-Settanta che prosegue oggi in alcune piccole aziende. Verso la fine di aprile si “inerbà i ache” cioè si comincia a dare l’erba alle mucche, mischiata sia col fieno dell’anno precedente, perché dare esclusivamente l’erba nuova può causare agli animali pericolose diarree.
A maggio c’è il primo taglio del fieno, ad agosto il secondo e a settembre i prati grassi permettono ancora una terza falciata. L’erba è tagliata a mano con la “ranza”, la falce, la cui lama va sempre tenuta affilata grazie alla “pietra cote” che il contadino tiene alla cinta. La curva data dalle braccia crea le “andane”, cioè l’erba che forma onde sul pendio, come un susseguirsi di archi verdi.
L’erba stesa viene poi rivoltata nei prati con il rastrello fino alla completa essiccatura, infine la si raduna in covoni, portati a spalle con i “masöi” (i mazzi di fieno) sulla “fraschéra” (una specie di lettiga con assi di legno e una serie di corde che stabilizzavano il fieno) fino alla stalla.
Gli strumenti del lavoro agricolo citati nel seguente articolo si trovano esposti al museo etnografico di Valtorta e quello denominato “La rasega” di Valleve.