Apparteneva a una famiglia originaria della Valle Brembana Gioseffa Cornoldi, la fondatrice della prima rivista femminile italiana: il quindicinale “La donna galante ed erudita. Il giornale dedicato al bel sesso”, edito a Venezia dal libraio Giovambattista Albrizzi e venduto nella sua bottega in San Benedetto dall’autunno 1786 alla fine del 1788, per complessivi 36 numeri.
Poco si sa della vita della Cornoldi che secondo il suo unico biografo, Pietro Leopoldo Ferri, era originaria di Udine, città nella quale si era stabilito un ramo dei Cornoldi, e poi si era trasferita a Venezia, dove visse tra la seconda metà del Settecento e i primi decenni del secolo successivo. Il casato Cornoldi (e la più diffusa variante Cornolti) è originario della Valle Brembana ed in particolare dal borgo di Cornalta, in comune di Bracca, dove il cognome è documentato già nel Trecento.
Diffusi nel resto della Bergamasca ed in particolare a Poscante e a Ponteranica, i Cornolti furono coinvolti nel flusso migratorio che interessò le nostre vallate e alcuni esponenti si stabilirono a Venezia, dove nel Seicento li troviamo dediti ad attività commerciali e poi alla professione medica e a quella notarile. Il ramo veneto annovera personaggi di spicco, quali il patriota Giovan Battista Cornoldi, ufficiale d’artiglieria nell’effimera repubblica veneta di Daniele Manin; il capitano Aristide Cornoldi, etnografo e medaglia d’oro al valor militare nella guerra di Libia; il gesuita Giovanni Maria Cornoldi (1822-1892), filosofo e teologo tomista, direttore di Civiltà Cattolica; la giornalista e scrittrice Gioseffa Cornoldi.
Sposata con Antonio Caminer, membro di una numerosa famiglia di giornalisti professionisti che esercitavano in Venezia, la Cornoldi svolse un ruolo molto attivo nel campo sociale e culturale, assumendo atteggiamenti decisamente critici nei confronti della classe sociale a cui lei stessa apparteneva. La società veneziana di fine Settecento le appariva artificiale ed oziosa, incapace di cogliere la portata delle nuove idee che stavano prendendo piede in Europa e i cui riflessi arrivavano anche nella città lagunare, divenuta in quegli anni luogo di incontri culturali e politici di livello internazionale.
Interessata a questi cambiamenti e consapevole in particolare del suo ruolo di donna nei confronti delle istanze di altre donne meno fortunate, partecipò attivamente alla vita sociale e culturale della sua città, tanto da venir accolta nel 1797 nella Società di Istruzione Pubblica e diventare un’esponente di primo piano dell’Arcadia, il movimento culturale che esaltava la spontaneità della poesia, privilegiando i valori semplici del mondo pastorale.
Ispirato a modelli francesi ed inglesi assai apprezzati, il periodico “La donna galante ed erudita” fu la prima esperienza del genere in Italia, un illustre antenato delle nostre riviste femminili, uno strumento di divulgazione importante in una società tutt’altro che aperta ai cambiamenti, soprattutto per quanto riguardava il ruolo delle donne, che in un contesto di sterile erudizione e frivola galanteria come quello veneziano, non era mai andato oltre la completa sottomissione all’uomo. Bella, colta e corteggiata, animatrice degli ambienti culturali del suo tempo la Cornoldi si sottrasse decisamente alle convenzioni e suscitò con la sua rivista accese polemiche e vivaci dibattiti per le idee spregiudicate che la portavano ad assumere atteggiamenti piuttosto disinvolti. Tra l’altro non si fece scrupoli di inserire nella sua rivista espliciti riferimenti al sesso come quando afferma che “la galanteria è una passione più voluttuosa dell’amore, ha per oggetto il sesso”.
Con articoli arguti e pungenti ella si rivolgeva direttamente alle donne, ne riconosceva la funzione crescente come categoria dei consumatori e ne rivendicava il diritto ad assumere compiti più attivi nella società del tempo. Secondo la giornalista, i cambiamenti dovevano avvenire sia dentro che fuori la famiglia; l’amore, in particolare doveva regolare il rapporto di coppia, allo stesso modo che la comprensione guidata dall’amore era indispensabile all’educazione dei figli. Contestava vivacemente le abitudini ancora in voga nelle classi più abbienti ed aristocratiche di combinare matrimoni di convenienza da lei bollati come “una prostituzione pubblica più odiosa di qualsiasi altra, perché è eterna e profana la santità delle leggi”.
Anche le sue idee in campo economico, sono degne di essere menzionate perché in un certo senso sembrano riportare l’eco delle teorie del mercantilismo: “Coloro che posseggono la ricchezza la devono investire in beni di consumo e di lusso per garantire un certo reddito anche alle classi meno abbienti”. Attorno alla Cornoldi c’erano altre donne che condividevano tali ideologie, in particolare la cognata Elisabetta Caminer, Caterina Dolfin Tron, Giustina Renier Michiel, Isabella Teotochi Albrizzi (l’amica di Dominique Vivant Denon, direttore del museo del Louvre che le invierà la nota relazione sul viaggio da lui compiuto da Bergamo alla Valtellina lungo la strada Priula nel novembre del 1793). Pur con grandi difficoltà, si stava aprendo nella Venezia ormai prossima alla fine, la via alla professione di donne scrittrici, allo sviluppo dell’intellettualità femminile. Sicuramente in questo senso Gioseffa Cornoldi non raccolse che risultati teorici ma contribuì ad aprire la strada a nuove idee e a dibattiti che saranno di attualità nei decenni del Romanticismo.
Il compito non era facile, tant’è che la Cornoldi dovette muoversi inizialmente con grande cautela, al punto da omettere nel primo numero della rivista il proprio nome, preferendo lasciare all’arguzia del lettore la capacità di scoprirlo in quello che possiamo considerare l’articolo di fondo e del quale riportiamo un ampio stralcio come esempio della personalità dell’autrice:
“Erudizione! Galanteria! Ecco un eccellente sonnifero, una indiscreta satira. Scrittore mio, dirà taluno, tu vuoi istruire, tu vuoi recar diletto, ed ignori che i doveri della femmina sono tutt’altro che analoghi alla erudizione; tenti d’inveire contro il bel sesso, e non dev’esserti ignoto, che anzi deesi rispettarlo ed accarezzarlo”.
Dopo questo perentorio esordio, Gioseffa si rivolge all’ipotetico critico che la vorrebbe più rispettosa delle convenzioni, rivendicando il proprio ruolo di scrittrice: “Signor critico, pria di tutto rispondo: il tu serbatelo per il vostro levriere; io sono una femmina. Se sono bella, o brutta, vecchia o ancor degna degli umani clementi sguardi, se sono saggia o svolazzante, lei signor critico osservatore non è sufficiente né giudice, né conoscitore. Il mio specchio dice che non sono la più brutta delle femmine, il mio amor proprio mi persuade che di talento non sono mancante, ed il mio oriuolo mi annota che non ne faccio mal uso. Infine la mia penna mi dice all’orecchio che posso anch’io scarabocchiare. Mi avverte per altro che devo ristringermi a letteratura femminea. Quale dunque più approposito quanto quella delle mode, e tanto più quanto che nuova moda abbiamo anche di scrivere”.
Ed ecco il gioco del nome: “Finiamola: signor uomo vuol ella sapere ch’io mi sia? Il mio nome è composto da otto lettere (Gioseffa), il cognome da sette (Caminer), e da quattordici il sopranome arcadico. Basti così. Mi sono femminescamente giustificata anche troppo. Non più, entriamo in materia”.
Per chiudere, una interessante osservazione sulla lingua italiana del tempo: “S’è fatta la gran scoperta che l’italiano idioma è poverissimo, che convien porre a contribuzione oltremontani, oltramarini e perfino selvaggi ne’ loro vocaboli. Io non sono sì ardita; il mio stile sarà un composto d’italo-lombardo-veneto. Scrivo per essere intesa. La Crusca non è per una femmina del bon ton, bensì il fiore della farina, la polvere di Cipri. La testa, la faccia, il capo, le mani ecc.. devono esserne ricoperte. Io sono una letterata. Fior di farina dunque, farina che vola al primo soffio”.
Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.2” e scritto da Wanda Taufer