Oltre tre secoli e un’unica proprietà. È quello che solitamente accade alle residenze reali e alle sontuose ville delle nobili casate, ma stavolta non siamo in qualche campagna inglese e nemmeno al cospetto di una discendenza di sangue blu. Stavolta si tratta di un mulino, un mulino situato nel cuore della Valle Brembana e protetto dal paesaggio ancora incontaminato di Roncobello.
Qui, in una verde raduna bagnata dal torrente Valsecca e con certezza dal lontano 1672, i componenti della famiglia Gervasoni si sono alternati, via via che passavano i secoli, le stagioni e le generazioni, fra gli ingranaggi di un vero e proprio opificio. Perché, seppur modesto, il mulino di Bàresi è stato il centro della comunità locale per più di 300 anni. Gli abitanti del paese, ma in parte anche dell’intera vallata, vi portavano il raccolto per ricavare la farina (inizialmente quasi certamente il mulino macinava farina bianca dal frumento e dal miglio, piú tardi quella gialla dal granoturco), la grappa e un altro prodotto un tempo molto prezioso: l’olio di noci. Considerato un toccasana i malanni e un ricostituente per anziani e bambini, un litro di esso poteva essere scambiato addirittura per cinque litri di olio d’oliva.
Nel corso del XVIII secolo inoltre un’antica pesta manuale di origini medievali (che serviva per ottenere la farina in tempi precedenti a quelli del mulino azionato ad acqua e che si trovava in una baita a pochi metri dal mulino attuale) fu trasformata in maglio e utilizzata, per vari decenni, per produrre attrezzi da lavoro come zappe, rastrelli e asce. Nello stesso secolo furono fabbricate, sempre nell’edificio adiacente, anche armi da taglio come spade e pugnali. E la presenza di un antico forno per cuocere il pane, quelle di vecchie arnie per il miele e di un focolare con un pentolone per far scaldare il latte (per poi fare il formaggio), suggeriscono come il mulino potesse essere l’equivalente – usiamo un po’ di fantasia! – del nostro attuale supermercato.
“La famiglia Gervasoni era un po’ come una multinazionale locale – scherza uno dei volontari dell’associazione “Maurizio Gervasoni Onlus” a cui è affidata la gestione del sito -. Producevano, trasformavano e vendevano tutto ciò che serviva alla quotidianità, dal cibo agli strumenti per il lavoro”.
Un sito di rilevanza storica, etnografica e antropologica
Nel piccolo fabbricato in pietra e sotto quel tetto coperto come da tradizione da pride e piöde, si ripetevano tecniche collaudate al millimetro, gesti dettati dall’abitudine e dall’orecchio, accorgimenti come quelli ideati per non sprecare l’acqua e non usurare inutilmente la macina. E ancora si realizzavano strumenti e strutture nati dall’esperienza quotidiana e dal sapere contadino, ma anche piccole grandi opere di ingegneria idraulica che, se si pensa che ci troviamo in un paesino che oggi conta poco più di 400 anime, rubano un sorriso d’ammirazione.
Un esempio? “La seriola, che è il canalone che porta l’acqua dal torrente a monte al mulino, ha la stessa pendenza dei navigli di Milano progettati da Leonardo da Vinci e degli acquedotti romani”, spiega il volontario quasi a sottolineare come nel piccolo borgo brembano giunsero conoscenze degne dei principali centri del passato. “La motivazione forse è da cercare nel fatto che la nostra zona era terra di scambi per la transumanza ed era anche molto vicina al confine“, continua la guida. Tutta l’area dove si trova il mulino, sottoposto a vincolo dal Ministero per i Beni e le Attività culturali, reca inoltre tracce di insediamenti abitativi risalenti all’Età del Bronzo.
Una nuova vita
Grazie al FAI il mulino che, dopo la morte di Maurizio Gervasoni era stato abbandonato, nel 2006 è tornato a vivere. Raccogliendo l’appello della popolazione locale (nel 2003 nel censimento de “I Luoghi del Cuore” il mulino ha ottenuto ben 1299 preferenze ed è stato il secondo bene più votato in Italia) e la donazione di Intesa Sanpaolo (con la quale é stato acquistato il fabbricato dalla famiglia Gervasoni), il Fai ha messo in atto un progetto di recupero che ha portato al consolidamento e al restauro di tutte le parti dell’edificio e degli elementi della macina verticale, necessari a ripristinare la funzionalità dei meccanismi. La famiglia Gervasoni ha inoltre riportato i vecchi utensili per ricollocarli.
Colmi di meraviglia si può quindi ammirare il mulino come appariva un tempo (tranne che per un dettaglio che vi invitiamo a scoprire), immaginare i volti e i gesti dei tanti uomini e donne che da qui sono passati, e ancora toccare il torchio per la spremitura delle noci. Ma soprattutto si può osservare la ruota mossa dalla forza dell’acqua e, una volta all’interno, vedere gli ingranaggi azionarsi, i chicchi di grano sparire nella tramoggia e poi apparire, pochi metri più in là, trasformati in profumata e impalpabile farina gialla. Una ricchezza per tatto, naso e soprattutto cuore.
Quando visitarlo:
Il Mulino Maurizio Gervasoni, che si trova in Via Oro 19 a Roncobello, è aperto al pubblico nei seguenti orari:
• aprile, maggio, giugno, settembre e ottobre: 14:30 – 18:00, ogni sabato
• luglio e agosto: 10:00 – 18:00 il sabato, 14:30 – 18:00 la domenica
La curiosità;
1672 ma anche 1783 e altre ancora: l’edificio nasconde, incise sulle strutture di legno o di pietra, diverse date. Divertitevi a trovarle tutte!
L’appuntamento:
Anche quest’anno il Fai ha organizzato in tutta Italia le Giornate d’Autunno. Appuntamento anche a Bàresi sabato 13 e domenica 14 ottobre.