Itinerari fra arte, gusto e fede – Oneta di San Giovanni, dove nacque Arlecchino

Nel piccolo borgo di San Giovanni Bianco, fra maschere e affreschi, si torna alle origini della maschera famosa in tutto il mondo.
1 Febbraio 2019

C’è anche un po’ di Val Brembana nella Commedia dell’Arte e nelle sue maschere più famose, prima fra tutte quella di Arlecchino. Perché, al di là della paternità effettiva, sembra proprio che quel suo modo di fare burbero e allo stesso tempo irriverente, quella vitalità scanzonata eppure così concreta, sia un marchio di fabbrica bergamasco. A ricordare questa origine (di cui l’intero territorio brembano si fa vanto, con una statua dello stesso collocata all’inizio della valle) è una piccola ma significativa realtà nel borgo medievale di Oneta, nel Comune di San Giovanni Bianco.

È qui che, fra una manciata di casa ancora abitate, una locanda che pare uscita dalle pagine della storia e il chiacchiericcio di una fontana sulla piazzetta principale, sorge La casa-museo di Arlecchino. Il palazzo quattrocentesco apparteneva alla nobile famiglia Grataroli. Lo testimoniano gli affreschi nella Camera Picta che raffigurano un cavaliere avente sullo scudo il simbolo della casata, una grattugia appunto, e l’ascesa della stessa famiglia attraverso l’intercessione dei santi taumaturghi legati alla devozione popolare.

Al suo interno è possibile, inoltre, ammirare un’opera che originariamente si trovava sopra la scala d’ingresso e metteva in guardia gli ospiti poco graditi. Si distingue una figura pelosa e vestita di pelli, che brandisce un bastone. È l’Homo Selvadego, molto diffuso nelle comunità retico-alpine, simbolo della capacità di sopportare freddo, fame e miseria. A conferma del suo carattere selvaggio, il cartiglio recita: “Chi non è de chortesia, non intragi in chasa mia, se ge venes un poltron, ce darò col mio baston” (chi non è gradito, non entri in casa mia, se viene uno sfaccendato, lo picchierò col mio bastone).

Oltre ad essere una famiglia molto conosciuta nella vallata, i Grataroli avevamo conquistato un certo status a Venezia, dove si trasferirono con i dipendenti. La leggenda vuole che uno dei loro servi ispirò il personaggio dello Zanni o fosse lui stesso, nel tempo libero, a riproporre, caricandola, la parte che già gli apparteneva nella realtà. Nacque così la maschera dello Zanni, il cui nome deriva da Giovanni (molto diffuso nelle comunità bergamasche). Richiama l’Homo Selvadego e identifica una figura rozza, tonta, dalla parlata rude.

Con la Commedia dell’Arte, nel Cinquecento e nel Seicento, la letteratura popolare assunse connotati meno volgari e il costume si colorò di frammenti colorati: lo Zanni si trasformò nella maschera di Arlecchino. Quest’ultimo incontrò grande plauso in Europa, dove i comici italiani erano chiamati per rappresentarlo. Tra di loro ci fu Alberto Ganassa. Soggiornò in tutte le principali corti europee riscuotendo un notevole successo e, pare, fu ospite del Palazzo Grataroli a Oneta. Su questo fatto non esiste una documentazione ma è bello pensare che il cerchio si sia chiuso così: con Ganassa che, dalle scale in pietra del palazzo, sbirciava gli abitanti del borgo. E sorrideva, riconoscendo in essi i caratteri della maschera che tanto l’aveva reso noto.

Quando e dove:

Il museo si trova a Oneta, a San Giovanni Bianco. Attualmente è di proprietà del Comune. Al suo interno è conservata una collezione di maschere dei personaggi della Commedia dell’Arte. Orari di apertura: sabato e domenica: 10.00 – 12.00 e 14.30 – 17.30. Per ulteriori informazioni: 034543479, info@orobietourism.com, mercatorumpriula.eu

Il ristorante:

Situata nello stesso palazzo del museo, la Taverna di Arlecchino offre un’ampia selezione di vini e piatti della tradizione locale, dai casoncelli al coniglio. www.tavernadiarlecchino.it

Il borgo medievale:

È formato da un gruppo di antiche case, alcune delle quali restaurate nel rispetto della struttura originaria, attraversate da vie porticate, sui cui si affacciano portali in pietra, ballatoi in legno e l’ingresso alla chiesa del Carmine, che custodisce alcune tele del pittore Carlo Ceresa. Sulle pareti del porticato della Chiesa è affrescato San Cristoforo, posto a protezione dei viandanti lungo la via Mercatorum.

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