Risulta molto difficile esprimere un giudizio su un personaggio tanto onorato e celebrato ma altrettanto controverso come il Vistallo Zignoni. Tutto nella sua vita è circondato da mistero, da supposizioni, da interpretazioni. Se si volesse riassumere in chiave moderna, si potrebbe dire una vita molto, ma molto spericolata. Stranamente poi, mentre alcune date fondamentali della sua esistenza sono tramandate con puntigliosa precisione, di altre che sarebbero altrettanto fondamentali, non vi è alcuna menzione. Mi riferisco ad esempio, alla data di nascita e di morte che non sono elementi trascurabili e volendo raccontare un personaggio nel contesto storico nel quale è vissuto, sono elementi fondamentali.
Così non sapremo mai in quel fatidico 16 luglio del 1495 quando il nostro Vistallo si impossessò del cofanetto contenente tra l’altro una Spina della corona di Cristo, quanti anni avesse. Non che questa età sia di fondamentale importanza, intendiamoci, ma saperla ci aiuterebbe a meglio decifrare gli anni della sua giovinezza sicuramente vissuti nella sregolatezza e nell’intemperanza. Nella ricostruzione della sua vita vi è quindi molta presunzione, intesa come ipotesi o conseguenza di un fatto. Mi spiego meglio: il fatto certo ad esempio, è che la Spina è stata veramente donata dal Vistallo Zignoni alla Chiesa di San Giovanni Bianco, ma di come il Vistallo ne sia venuto in possesso, non è dato saperlo perché mai riferito da alcuno, e quindi si possono fare solo delle ipotesi o delle deduzioni.
Persino sul suo nome vi sono interpretazioni diverse ed a seconda delle circostanze veniva chiamato Vistallo oppure Crhistallo. Insomma un personaggio intrigante ed anche affascinante per un certo verso, sicuramente abile nei rapporti umani ed in grado di accattivarsi la simpatia di entrambi i sessi. Ha avuto infatti amici illustri che lo hanno aiutato e protetto, moglie ed amanti che lo hanno consolato. Gli anni vissuti da latitante poi, lo hanno reso audace, diffidente e calcolatore temperandone lo spirito e rendendolo capace di portare a termine con successo il suo diabolico piano che era quello di ottenere un salvacondotto per recuperare la sua vita ormai dissipata ed in esilio dal suo paese.
Vistallus Zencha de Zignonibus, questo il nome più attendibile riportato sui documenti ufficiali, nasce a San Giovanni Bianco in una fascia temporale compresa tra il 1460 e il 1470. La famiglia è benestante ed il padre Giovanni risiede a Briolo, piccola frazione di San Giovanni Bianco (ma a quei tempi era Comune di San Gallo), ove possiede case e terreni. Oltre alle proprietà della famiglia, gli Zignoni conducono anche altri terreni avuti in “enfiteusi” dal Consiglio della Pietà che era un’istituzione benefica fondata dal celebre condottiero di Bergamo Bartolomeo Colleoni. L’enfiteusi è una sorta di affitto che obbliga il conduttore del fondo (enfiteuta) a versare un contributo annuale al proprietario (concedente) che può essere o una somma in denaro o una quantità fissa di prodotti naturali. Gli Zignoni possiedono inoltre altre case in prossimità del fiume Brembo, e proprietà sparse sia a Bergamo che nelle zone limitrofe. Insomma, sono dei signori ben introdotti anche nell’aristocrazia cittadina e con conoscenze altolocate.
Vistallo è il primo dei tre figli e quindi secondo i canoni del tempo il primogenito vanta diritti sulla successione ed infatti sarà lui a subentrare al padre nella gestione del patrimonio familiare e nelle successive dispute con il Comune di San Giovanni Bianco. La sua giovinezza si può pensare che non sia stata decisamente dedicata al lavoro, anzi trovata la strada della città soggiorna spesso a Bergamo dove è circondato da amici altrettanto predisposti alla bella vita. Con un fisico già possente e ben sviluppato e con la capacità innata di primeggiare sugli altri, diventa subito il leader della combriccola eccedendo spesso in libertinaggio e spacconate giovanili. E pare che sia proprio in una di queste circostanze che il suo pugnale viene ritrovato nel petto di un coetaneo trafitto a morte. Non vi sono scusanti: le autorità cittadine che già non vedevano di buon occhio quello stuolo di giovani sfaccendati emettono subito nei suoi confronti un provvedimento di arresto per omicidio costringendo lo Zignoni alla fuga ed alla conseguente latitanza.
Ora grava sulla sua testa un bando di cattura su tutto il territorio bergamasco e bresciano emesso dalle autorità Veneziane. Spostarsi diventa difficile, in modo particolare a Bergamo dove esiste una situazione geopolitica abbastanza confusa. La città infatti rappresenta quasi un ultimo confine per il dominio della Serenissima Repubblica di Venezia alla quale il Governatore della città portava il massimo rispetto e la dovuta obbedienza, ma non disdegnava a seconda delle circostanze di fare l’occhiolino ora ai Francesi ora agli spagnoli e persino ai Tedeschi, tutti popoli in cerca di conquista e di occupazione dell’italico suolo. La lontananza da Venezia lasciava quindi ampi margini decisionali entro i quali gli amministratori della giustizia bergamasca agivano autonomamente. Il luogo più sicuro per risiedere appare quindi Brescia ove la fedeltà alla causa veneta è assoluta e non vi sono interferenze di altri stati. A poco più di vent’anni il Vistallo è già costretto alla latitanza, condizione che per altro non lo turba più di tanto perché trova sempre e comunque appoggi e amici per potersi spostare.
Certo è che la libertà è notevolmente limitata, non si può apparire in pubblico e non si possono trattare o firmare atti ufficiali: si deve vivere sempre con un orecchio ben teso alle dicerie ed alle informazioni, ma soprattutto si devono tener d’occhio emissari provenienti dalla vicina Bergamo e pronti a denunciare il malfattore. Per liberarsi da questo fardello, serve una cosa sola: un salvacondotto che solo la suprema autorità veneziana può concedere. Tutto ciò non gli vieta in questo periodo, di prendere moglie e mettere al mondo figli, probabilmente vivendo da pendolare tra Brescia e San Giovanni Bianco. Non di secondaria importanza è la situazione a casa sua, ove il padre necessiterebbe di un adeguato aiuto per mandare avanti le molteplici attività e curare gli interessi economici della famiglia. Sono anni difficili e pericolosi per il Vistallo, ma che serviranno a temperare il suo carattere ed a farlo maturare. In questo soggiorno obbligato si rende anche conto dell’inutilità della sua vita e quindi, medita la decisione di mettere a disposizione la sua forza e la sua abilità arruolandosi come mercenario non sotto l’esercito della Serenissima che lo aveva bandito, ma al servizio del Marchese di Mantova, come balestriere.
È proprio durante una di queste scorrerie che la fortuna sorride al nostro Vistallo, ma gli sorride sfacciatamente perché in questa circostanza avrà l’occasione di rimettere sulla giusta carreggiata tutta la sua vita. Quanto venne cercata e voluta questa occasione, non è dato sapere, ma la fortuna arride agli audaci ed il Vistallo di audacia ne aveva da vendere. Quando nel bel mezzo dell’inseguimento dell’esercito francese in fuga verso la Francia, nella battaglia di Fornovo sul Taro (era il 6 luglio 1495) gli capitò in mano quel cofanetto custodito gelosamente dal valletto del re Carlo VIII ( tal Gabriele di anni 66) la sua vita si illuminò e decise seduta stante cosa dovesse fare e cosa ottenere. Non ebbe nemmeno il tempo di domandarsi cosa ci facesse un valletto di 66 anni al seguito del re in fuga: già il valore del cofanetto era ingente, figuriamoci il contenuto! Ma non era il denaro che poteva restituirgli la libertà, perché con il suo patrimonio l’avrebbe già comprata, ci voleva dell’altro… Doveva però usare la massima cautela perché non era permesso sbagliare nemmeno una mossa. Abbandonò il campo di battaglia per correre a Bergamo da un amico fidato, tal conte Ursino de Rotta col quale si confidò mostrandogli il suo bottino di battaglia e illustrandogli il suo piano. L’amico conte non ebbe dubbi sullo straordinario valore di quel cofanetto e si rese disponibile ad accompagnare il Vistallo a Venezia e grazie alle sue conoscenze ad organizzare un’udienza con il Doge stesso.
A quei tempi il Doge di Venezia era Agostino Barbarigo, personaggio molto sensibile al culto ed alla venerazione delle reliquie. Alla vista di tanto ben di Dio, (il cofanetto conteneva un reliquiario con vari oggetti della passione e tra questi la Spina e parte della corona, ma anche legno della croce, ferro delle lance, pezzi della tunica inconsutile, pezzi dei drappi rossi, pezzi del sudario ecc) non esitò ad esaudire il Vistallo di tutte le sue richieste, in modo particolare concedendogli quel famoso salvacondotto per il bando bergamasco e bresciano, valido per 100 anni. Venne naturalmente anche compensato con moneta sonante: ducati e fiorini, oltre ad una rendita vitalizia per lui e per i suoi famigliari e, fatto non secondario, l’esenzione dal pagamento di tutte le tasse prediali sui terreni da lui posseduti nel comune di San Giovanni Bianco ed a Briolo.
È proprio dalla lettura di questo documento originale (riportato anche sul libro de “La Sacra Spina di San Giovanni Bianco” dello Zanchi) che apprendiamo il fatto che lo Zignoni nel 1495 con un’età approssimativa di 30 anni, aveva già un figlio grandicello perché come si riporta nel testo del documento “…il figlio del medesimo Vischallo, incamminato nella carriera ecclesiastica sia dotato di una provvigione o riserva di benefici della rendita di 100 ducati”. Quindi veniva riconosciuta una dote anche al figlio che “studiava da prete”.
Della eventuale donazione di una Spina non se ne fa cenno, ma vista la conformazione del reliquiario ove ogni oggetto contenuto aveva il suo spazio con tanto di descrizione e numerazione, è difficile pensare che il Vistallo l’avesse sottratta senza il benestare delle Autorità anche perché sarebbe subito apparsa molto evidente la mancanza di un oggetto. Inoltre, se l’avesse trafugata non avrebbe poi trovato negli anni successivi amici, collaborazione e protezione proprio dall’avvocatura di Venezia. È plausibile quindi che una Spina gli sia stata donata e, se non proprio quella contenuta nel cofanetto, un’altra simile già presente in città e proveniente dalla Corona di Costantinopoli. Tutto questo avveniva il 16 agosto 1495 cioè a soli 40 giorni dall’entrata in possesso del cofanetto! Tenendo conto dei tempi necessari per gli spostamenti (da Fornovo sul Taro a Bergamo e successivamente a Venezia) non aveva veramente perso tempo il buon Vistallo!
Immaginiamo la sua gioia ed il suo entusiasmo nel ritornare al suo paese natio da uomo libero e poter riprendere o meglio iniziare una tranquilla vita da benestante, badando finalmente ai suoi figli ed ai suoi interessi. Ma le sorprese per lo Zignoni non si esauriscono a Venezia: al suo paese è accolto con indifferenza ed ostilità. La gente non lo riconosce né come eroe, né come persona degna di rispetto, anzi la sua immagine ricorrente è quella di un malfattore. Lui non si danna l’anima e se ne fa una ragione, d’altra parte come avrebbero potuto capire il suo nobile gesto un branco di contadini ignoranti?
Nemmeno il dono della Spina alla Chiesa di San Giovanni Bianco serve a modificare gli atteggiamenti al suo riguardo, anzi quella Spina tanto preziosa e avvolta da tanto mistero, rimarrà riposta per molti anni senza venerazione e senza riconoscimento alcuno. Il primo cenno scritto della sua esistenza a San Giovanni Bianco lo troviamo infatti nella data del 4 settembre 1536 (atti visita pastorale del Vescovo Pietro Lippomani) e cioè circa 40 anni dopo la sua donazione! Non furono anni facili quelli successivi al ritorno in paese per lo Zignoni, tanto è che nel 1498, a soli 3 anni dalla sua riabilitazione, meditando forse di ripartire come mercenario per qualche altra avventura, o schiacciato dai rimorsi e dalle responsabilità, fa un testamento che non manca sicuramente di stupire. Si legge infatti in questo documento che lo Zignoni lascia tutti i suoi averi ai suoi figli legittimi (3 figli, rispettivamente: Gabriele, Martino e Gio’) avuti dalla moglie Domenghina che è tuttora incinta, lascia poi una casa a Brescia ad un figlio “bastardo” avuto da una “concubina” di nome Caterina ed anch’essa tuttora incinta.
Come si vede la latitanza ha richiesto un suo prezzo! Il Vistallo aveva una doppia vita ed in ogni sua residenza aveva un focolare che lo aspettava. Di questo testamento non se ne farà poi nulla anche perché il Vistallo visse ancora circa 40 anni ed ebbe altri figli, ma nella complessità del personaggio ci pare doveroso ricordare anche questi aspetti forse meno nobili. L’instabilità politica di quegli anni porta a dei capovolgimenti repentini e quando nel 1509 i Francesi ritornano ad amministrare Bergamo, sottraendola al dominio Veneto, si consumano le peggiori vendette e ritorsioni. Lo Zignoni, inviso ai suoi concittadini, viene immediatamente denunciato ai Francesi come colui che aveva sottratto il prestigioso reliquiario al re Carlo VIII.
Da questo momento la sua esistenza è tormentata e rovinata da problemi giudiziari e confische. Il Comune di San Giovanni Bianco provvede a presentargli il conto delle tasse non pagate, disconoscendo ogni privilegio avuto dal Doge e procede al sequestro di tutti i suoi beni. Immediata la replica del Vistallo che sostiene che i suoi beni si trovano per la maggior parte sul Comune di San Gallo e non di San Giovanni Bianco. A nulla valgono le sue contestazioni e durante una sua visita a Venezia per far valere le sue ragioni, viene addirittura arrestato e messo in carcere con l’accusa di essere un evasore. Durerà solo un mese la sua detenzione ed alla fine riuscirà ad ottenere soddisfazione dall’Avvocatura Veneta che interverrà in sua difesa anche in considerazione dei suoi meriti passati.
Ma gli inviti e gli appelli lanciati da Venezia rimarranno inascoltati dagli Amministratori di San Giovanni Bianco e nemmeno la minaccia di una scomunica agli amministratori, lanciata da parte del Vescovo di Bergamo Mons. Pietro Lippomani, servirà ad ammorbidire le parti ed a trovare un giusto compromesso. Lo Zignoni continuerà per oltre 30 anni la sua inutile battaglia legale che si concluderà solo dopo la sua morte, avvenuta presumibilmente nell’anno 1538. Dal suo testamento stilato il 9 aprile 1530 presso il notaio Girolamo “de S.to Pilligrino” apprendiamo che aveva ancora 6 figli viventi: 2 maschi e 4 femmine e che la spartizione dei beni non mancò di provocare contrasti e malumori, anche perché le innumerevoli cause avevano pressoché prosciugato il patrimonio ed i debiti incominciavano ad avere una certa rilevanza.
Il buon Vistallo cadde pressoché nell’oblio per quattro secoli e mezzo, nessuno ricordò le sue gesta in maniera adeguata, anzi mano a mano che cresceva ed aumentava il culto per la Reliquia ormai divenuta oggetto di grande venerazione per tutta la Valle, diminuiva l’interesse per colui che l’aveva donata. I Parroci che si susseguirono e tutti gli apparati ecclesiastici per 450 anni furono solo impegnati a magnificare i prodigi della Spina a volte con evidente esagerazione, dimenticando completamente quell’armigero che pur avendo una dubbia moralità, aveva procurato quella reliquia così fortemente venerata. Nel 1895 su espresso desiderio del comitato dei capi famiglia, il Comune di San Giovanni Bianco fece erigere un monumento nell’omonima piazza a lui dedicata.
Si perpetuava così il ricordo dell’uomo più illustre che San Giovanni Bianco abbia mai avuto e la sua imponente immagine ritratta sul monumento gli rende giustizia. Raffigura infatti un armigero dai lineamenti delicati con il volto eretto e lo sguardo volto al futuro, nell’atteggiamento di chi incede con sicurezza consapevole di presentare un dono di rilevante valore, infatti reca nella mano destra l’ostensorio con quella Spina destinata a diventare oggetto di grande venerazione. Per concludere mi rifaccio al dilemma già sollevato dal poeta Alessandro Manzoni nella celebre poesia Il 5 maggio riferita a Napoleone: “Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza”