“…Che sono Gimondi / con gli occhi rotondi / la testa squadrata / la bici scassata” intonavano Elio e le Storie Tese, in una celebre canzone “Sono Felice”, dedicata al grande campione brembano Felice Gimondi. Uno dei protagonisti indiscussi del ciclismo, nazionale ed internazionale, per metà degli anni Sessanta e quasi tutti gli anni Settanta, una carriera costellata di successi, vittorie ma anche sconfitte contro il rivale storico Eddie Merckx con cui si è scontrato, competitivamente parlando, per più di dieci anni. Un'anima forte, che lo scorso 16 agosto ci ha lasciati fra lo sbigottimento di tutti, a causa di un malore mentre si trovava in vacanza a Giardini Naxos, in Sicilia: di lui restano i grandiosi e affettuosi ricordi, e un'indimenticabile umanità e le sue incredibili imprese.
Ma andiamo con ordine: chi era Felice Gimondi? Nacque il 29 settembre 1942 a Sedrina, in Valle Brembana, che è stata un po' il suo terreno di allenamento in giovane età. Lì lavorò come postino, lavoro ereditato da sua madre che per prima lo spronò ad inforcare la bicicletta. Una passione crescente, che intorno ai 18 anni lo spinse ad entrare a far parte della U.S. Sedrinese, la sua primissima squadra in cui militò fino alla categoria dilettante.
Nel 1965 il suo “battesimo del sellino” fra i professionisti lo ha al suo primo Giro d'Italia correndo con la Salvarani, arrivando terzo e facendosi immediatamente notare per la sua capacità e tecnica. Lo stesso anno fu chiamato per sostituire un compagno al Tour de France: lo vinse, al suo primo tentativo. Quel momento segnò l'intera carriera del ciclista brembano, che si prospettava tutta in discesa perché – al tempo – non c'erano avversari del suo calibro su strada.
Fino a quando non arrivò Eddie Merckx, il suo rivale storico, il “Cannibale” perché – a detta di molti – metteva tutto se stesso per vincere qualunque premio o gara. Uno sportivo braccio di ferro continuato fino al 1978, anno in cui entrambi scelsero di interrompere quel grandioso viaggio su due ruote. La loro rivalità, il continuo inseguirsi e cercare di battersi a vicenda, portò Gimondi a ricevere l'appellativo di “Eterno Secondo”: da quel momento in poi, infatti, poche furono le volte in cui il ciclista brembano riuscì a superare in classifica il collega belga.
Nel 1966, l'anno successivo, riuscì a strappare il Giro d'Italia e due anni dopo anche la Vuelta di Spagna. Sono questi, per Gimondi, dei traguardi importantissimi che gli permisero di entrare a far parte dell'”elitè” di sette corridori ad aver mai vinto la tripla corona, ovvero i tre grandi tornei Europei: Tour de France, Giro d'Italia e Vuelta spagnola. Senza escludere anche le vittorie “minori”, fra cui le storiche corse Parigi – Roubaix, la Milano – Sanremo e il Giro di Lombardia, che sembrano fare da contorno alle ben tre medaglie mondiali – precisamente un bronzo, un oro ed un argento – ottenute fra il 1970 ed il 1973.
La “Nuvola Rossa”, come era chiamato dal giornalista Gianni Brera, dopo ben 141 corse vinte prima di ritirarsi dalla scena del ciclismo europeo, decise di intraprendere la carriera da dirigente che lo portò, nel 1988, a ricoprire la carica di allenatore della Gewiss e successivamente della Mercatone Uno di Marco Pantani, considerato suo erede.
Da 23 anni, dedicata a lui, si svolge anche la “Granfondo Gimondi-Bianchi”, una gara ciclistica sviluppata su tre percorsi, uno corto, uno medio e uno lungo, filo conduttore di uno dei più grandi eventi ciclistici della Valle Brembana e della bergamasca. In prima fila c'era sempre lui, Felice Gimondi. E in prima fila era anche quest'anno, a maggio, quando ho dato il via alla sua gara insieme ad altri 4.000 partecipanti, uno dei record nella storia dell'intera manifestazione.
In prima linea c'era anche per i bambini dell'oratorio a Sombreno, frazione di Paladina, dove dal 1997 esiste la Scuola di Mountain Bike Felice Gimondi, che ha come obiettivo primario di far divertire i ragazzi lontani dal traffico stradale. A Paladina aveva anche la sua casa, che assomiglia più ad un castello, ma al suo interno non c'è traccia della sua gloriosa carriera: i suoi cimeli, le magliette, le coppe sono conservate altrove, alcune nel Museo del Falegname “Tino Sana” di Almenno San Bartolomeo. “Se ho combinato qualcosa nella mia carriera di sportivo, è giusto che tutti possano vedere i miei trofei. E poi mi piace l’idea delle mie bici in mezzo agli strumenti dei falegnami. In fondo anch’io ero un artigiano, della fatica e dei pedali” – Felice Gimondi, intervista al Corriere.
(Fonte immagine a dx: perugiatoday.it)