Tastierista, organista, compositore ed educatore: Filippo Manini, 42 anni, è un artista davvero a tutto tondo. Originario di Mazzoleni – frazione di Sant’Omobono Terme – dal 2011 vive a Milano, ma i legami con la sua Valle Imagna sono rimasti sempre costanti; è lui infatti il direttore del famoso Coro CAI Valle Imagna, da ben 20 anni. “Nonostante mi sia trasferito, nel sangue sono un valdimagnino al 100%” afferma Filippo. La sua attività principale però è l’educatore, lavoro che ha iniziato ad operare nel 2003 alla Casa del Giovane del Patronato San Vincenzo di Bergamo, lavorando con i ragazzi del settore giovanile dell’Atalanta.
La prima musica inizia a respirarla fin da piccolo, quando in montagna con il papà e gli zii entra a contatto con i canti di montagna intonati da un coretto temporaneo. “Da allora mi è sempre rimasto il pallino del coro di montagna – spiega – tanto che è tutt’ora una delle mie principali attività”. A 11 anni inizia a studiare pianoforte, ma ben presto scopre la sua vera “vocazione”: la composizione. Da allora inizia un percorso, studiando per 10 anni e diplomandosi in composizione nel 2012 a Milano.
Il Coro CAI Valle Imagna, ex “Amici della Combriccola” è una parte molto importante della sua vita. Dal 1999, vent’anni esatti, è lui infatti a dirigere il celebre coro valdimagnino, caratterizzato da un repertorio fatto di originali canti alpini e popolari affiancati da brani originali e armonizzazioni di canti popolari, scritti da Manini stesso.
“Il primo concerto con il Coro lo abbiamo fatto al campo di Mazzoleni, nel 1999, in occasione del ventennale del CAI Valle Imagna – racconta Filippo – Mio papà e i miei zii proposero questo coro e da lì è iniziato tutto, quasi per scherzo. È diventata una passione di cui non posso fare a meno: il coro maschile, in particolar modo, lo ritengo molto bello per il suo suono molto particolare. Ogni anno organizziamo anche un evento, chiamato ImagnaCanta, dove invitiamo cori da tutta l’Italia e non solo. È un modo per promuovere la nostra Valle e farla conoscere”.
Un’altra parentesi molto importante della sua vita sono stati i gruppi musicali di cui Filippo ha fatto parte, a partire, fino al 2007, dagli “Echoes” – cover band di pezzi rock/classici, di cui era tastierista. Dopo il suo scioglimento, inizia a scrivere su L’Eco di Bergamo come critico musicale e in quell’occasione incontra e conosce Nick Baracchi, chitarrista bergamasco che lo introduce nel gruppo musicale “Jolly Roger Band”, di cui fa parte ancora tuttora.
“Con questa band, all’inizio, ci occupavamo di un progetto di cover classica/rock. Successivamente abbiamo iniziato a virare soprattutto sulla musica dei Pink Floyd, il mio gruppo preferito per eccellenza – spiega Filippo – Abbiamo iniziato a portare in concerto la loro musica, ma non solo: uno dei nostri grandi progetti è stato lo spettacolo di The Wall, che abbiamo portato in varie location fra cui il Teatro Seraschi di Villa d’Almé, in collaborazione con la Cooperativa Ergolab, e all’Ambria Music Festival e recentemente anche al Lazzaretto di Bergamo. Grandi soddisfazioni”.
Per quanto riguarda la sua carriera da compositore, Filippo ha scritto – e continua a scrivere – diversi pezzi originali. Il suo amore si divide però anche con il canto armonico, ovvero una sola voce che canta più armonici. “È un po’ un crossover fra il lato musicale estetico e psicologico e quello spirituale, molto affascinante – spiega – La mia convinzione di base è che più bel strumento della voce umana, non c’è. La musica per me è una cosa globale che riunisce tutti i mondi: nel mio ci metto molta spiritualità, tanto che ho iniziato a studiare musicoterapia e sono ora al secondo anno di corso”. Sull’onda di questa filosofia, per un periodo ha collaborato con Fabrizio Giannuzzi realizzando l’HarmonPipes Project, un duo di improvvisazione fra organo e armonica a bocca.
Le sue composizioni hanno anche varcato i confini nazionali. Un esempio è “Sao ko, se pareba, fili”, un componimento che richiama le prime citazioni di italiano volgare della storia, riunite in un unico pezzo che si sviluppa dalla musica antica. L’opera è stata performata dal coro della BBC e da quello svedese Uppsala Vokalensemble.
Ma come nasce una sua canzone? “Io credo che nessuno abbia uno standard – spiega Filippo – Bisogna innanzitutto distinguere la vita accademica dal processo compositivo creativo: dal punto di vista accademico, infatti, devi fare tanto esercizio basandoti sui classici. Io, invece, sono molto istintivo con uno stile improvvisativo e quando compongo qualcosa mi metto al piano, butto giù qualche nota e cerco di far dire loro qualcosa”.
Un processo sia mentale che musicale molto delicato, che va a prendere il minimo per trasformarlo in massimo dello sviluppo, in base ai propri sentimenti ed emozioni. “La cosa interessante è, paradossalmente, togliere – aggiunge – Comunque tu lo affronti, è da cogliere la singola idea e svilupparla al massimo senza però accumulare troppe cose, altrimenti è un casino. Del resto è come nella vita, quando accumuli troppo poi non sai più da che parte andare”.
Poliedrico e curioso di tutto il mondo musicale, non c’è un genere che Filippo si precluda. “Se l’approccio alla musica è genuino e sento che non è artefatto, mi incuriosisce” spiega. I suoi riferimenti musicali, oltre ai Pink Floyd, sono il cantautorato italiano sullo stile di Guccini e la musica progressive, dai Van der Graaf Generator agli Emerson Lake & Palmer, entrambi gruppi britannici rock/progressivi.
“Sono però curioso su tutto, dalla musica sacra antica medioevale all’elettronica sperimentale, così come la musica classica contemporanea – conclude – Se c’è dietro un intento comunicativo, lo sento e lo apprezzo. La musica va a toccare una qualità fondamentale dell’uomo, che dovrebbe essere costantemente allenata: l’ascolto. Ascoltare se stessi, ascoltare l’altro e tutto il risuonare che c’è, dalla musica alle sue vibrazioni”