Tra poco assaggerò le prime tètole (castagne bollite) della nuova stagione. La probabile radice del vocabolo è rintracciabile nel verbo tetà, succhiare: rende bene l’azione di colui che, messa in bocca la castagna bollita, dapprima la spacca con i denti, quindi ne risucchia la gustosa polpa per cibarsene. Anticamente si chiamavano anche frescüde e venivano cotte sotto la cenere del focolare. Mirella è andata nell’orto a staccare alcune foglie di alloro dalla grossa pianta ai margini del giardino: saranno anch’esse messe a bollire nell’acqua, assieme alle castagne, per estrarre le sue essenze aromatiche e valorizzare tutto il sapore del frutto mangereccio del castagno. Ne ha raccolto un cestino, ieri pomeriggio, nella selva castanile delle Patèrne, dove si era recata per accudire il gregge al pascolo di pecore massesi di Francesco. Sono davvero le prime, quelle ostàne (agostane), le più attese per il palato, desideroso di rigenerare antichi sapori.
D’ora in avanti arriveranno a maturazione tutte le altre varietà, raggiungendo l’apice il mese di ottobre, con i ricci dorati, aperti e ridenti, ormai disposti a liberare il loro prezioso contenuto. Le grosse piante della selva castanile, molte delle quali ultracentenarie (possono raggiungere anche oltre cinquecento anni), si presenteranno finalmente rigogliose, vestite a festa, come matrone del castagneto e del pascolo sottostante. Ora, però, si fanno attendere e le prime castagne sono proprio capricciose, rimangano nascoste nei loro rés (ricci), non giunti completamente a maturazione, anzi in parte ancora verdi: per estrarle, se non si vuole rimanere feriti dai pungiglioni affilati dei ricci, besógna fàle fò (occorre diricciarle, fà fò i rés), ossia, scarponi ai piedi, calpestare l’involucro ancora resistente, sino a forzare la completa apertura. Occorre attendere ancora all’incirca due settimane per vedere le castagne crodà (cascare da sé) come si deve, in grande quantità, così da riempire sacchi colmi, destinati alla vendita, oppure ad alimentare le provviste domestiche.
Le piante di castagno costituivano una preziosa risorsa per l’economia familiare e molte volte nelle perizie di stima, redatte in vista di divisioni ereditarie o di atti di compravendita, venivano individuate e quantificate in relazione al numero e al valore di ciascuna di esse. In talune circostanze si costituivano persino diritti di servitù o di usufrutto sulle singole piante, assegnando a un beneficiario la potestà di raccogliere i loro frutti. Soprattutto in questo periodo, dopo l’equinozio d’autunno, le famiglie seguivano con attenzione l’evoluzione di ogni singolo castagno, calcolando così il tempo propizio per la raccolta dei frutti e, dopo una giornata ventosa o di pioggia, era d’uopo una visita sotto i preziosi “alberi del pane” (così già i Longobardi chiamavano i castagni, per il frequente ricorso alla farina di castagne essiccate, soprattutto nei periodi di carestia), per raccogliere le castagne fresche appena cadute.
In vista del fine settimana, poi, con una lunga pertica, onde evitare che estranei, come i villeggianti e gli escursionisti della domenica, anticipassero furtivamente la raccolta, besognàa pertegàle dó, ossia battacchiarle, forzando la caduta di quei ricci già aperti che iè drì a crodà(stanno per cadere da sole). Economie antiche, essenziali e irrinunciabili. Paure e rivincite. La scorta di castègne pèste, bianche o sèche (castagne essiccate al sole o sui graticci di secadùr, quindi sgusciate a colpi di mazzaranga, quassù chiamata sbadògia) rispondeva al bisogno alimentare della famiglia contadina durante l’inverno e la primavera. Una volta essiccate, distese al sole sull’èra (aia) o sulla lòbia (loggiato) e tenute movimentate, anziché pestarle, per privarle del gös (guscio), alcuni le raccoglievano in un sacco di canapa e le battevano su un ceppo ricoperto di stracci. Le donne anziane e i bambini le avrebbero poi ripulite anche de la zèia o pelesìna (la peluria). La böla de castègne, la pula di castagne, ossia i frammenti dei gusci che rimasti nel sacco o per terra, si bruciavano sul camino. Una parte delle pelàde (castagne bianche già sbucciate) veniva portata al mulino per la macina, ricavando farina, con la quale realizzare ol pà de castègne (castagnaccio).
Öna bràca de pelàde dét en de la scödèla dol làcc (una manciata di castagne peste nella scodella di latte) la mattina avrebbe costituito un’ottima colazione, come pure en de la menèstra la sira (dentro la minestra la sera), ma era anche la merenda ricercata dagli scolari, mentre öna gaiòfa de castègne (una tasca dei pantaloni piena di castagne) poteva temporaneamente ingannare la fame dei lavoratori nel bosco. Pelàde e biligòcc (grosse castagne, simili a marroni, essiccati e affumicati) erano destinati a essere conservati per l’inverno, mentre tètole e böröle (castagne lesse e caldarroste) si consumavano nel periodo del raccolto.
Qualcuno le conservava raccolte nei ricci, per utilizzarle fresche nei primi mesi della cattiva stagione. Ol Tata (l’anziano capofamiglia), all’inizio di ottobre, con le böröle distese sul tavolo della cucina, spillava dalla grossa tina la prima scodella di peciòrla (vino novello con bassa gradazione), che passava di bocca in bocca tra i commensali, mentre ciascuno esprimeva il proprio giudizio. Anzi, appena rovesciate dalla padèla de böröle (padella delle caldarroste) sul piano del robusto tavolaccio, versava sopra i gusci ancora scottanti e le castagne un po’ abbruciacchiate una spruzzatina di vino novello. Per gli anziani le castagne, soprattutto böröle e pelàde (o peladèi), sono un po’ come la polenta, antichi alimenti assai diffusi e ricercati, alla base della dieta contadina. Sedimenti straordinari di cultura. Ol Cèsco (diminutivo di Francesco), mio padre, fin quando la salute lo ha sostenuto nei vari lavori dell’allevamento e del bosco, tanto alla stalla dei Calf quanto in quella di Calsinù, aveva realizzato un impianto fisso, semplice ma efficace, per la cottura delle caldarroste: quasi tutti i giorni raccoglieva la dose per sé e i familiari e, mentre sorvegliava le vacche al pascolo, le preparava sul fuoco. Un rito che si rinnovava tutti gli anni, tra settembre e ottobre.
Come le castagne, soprattutto nel passato, sono state una preziosa componente dell’alimentazione alpina, così i castagni e gli ambiti rurali ad essi connessi hanno caratterizzato il paesaggio di valli e versanti, modellando persino il volto dei luoghi. Diversi toponimi locali traggono origine da questa tradizione: via Castagneta (a Selino Alto), via dei Castagni (sia a Corna che a Locatello),… Nel villaggio di Corna i castagneti erano assai diffusi ed equamente distribuiti, normalmente in pendio, tra i seicento e i novecento metri di altitudine, come si vede osservando la carta tematica sull’utilizzo del suolo nel periodo austro-ungarico (prima metà dell’Ottocento). Non c’era famiglia che non avesse il proprio castagneto, senza il quale sarebbe stato più difficile sopravvivere in montagna. I gruppi parentali più forti e strutturati possedevano anche il secadùr, l’impianto per l’esiccazione delle castagne, realizzato spesso en d’ü stalì (in una piccola stalla), oppure, in molti altri casi, sul solaio dell’abitazione principale, facendo sì che il fumo del camino si disperdesse nel sottotetto, dopo avere otturato la parte terminale della canna fumaria del focolare domestico. I castagneti si dividevano allora in tre classi, che sulla carta tematica di seguito riportata sono individuati da tre colori: verde scuro (prima classe, i migliori e più produttivi, con una rendita di Lire 2,52 austriache), verde chiaro (seconda classe, i mediocri, con una rendita di L. 1,64 austriache), giallo (terza classe, i meno importanti, con una rendita di L. 1,06 austriache). I castagneti migliori, quelli più in vista di prima classe, risultano distribuiti in prossimità delle principali contrade abitate: Canito, Corna Alta, Feniletti, Siva, Roncaglia, Cà Gavaggio, Cilipiano e Malisetti. Complessivamente la superficie coltivata a castagneto occupava allora ben 142 mappali (sui complessivi 1612 di tutto il territorio), per un totale di 421.05 pertiche censuarie (sulle complessive 4.369,42 del villaggio). Un notevole impatto sulla geografia socio-economica del villaggio. Castagni sparsi, anche monumentali, si registravano un po’ dovunque.
Nelle vallate prealpine delle Orobie, antiche cerniere tra la montagna e la pianura e terre di mezzo, sino a tutta la prima metà del Novecento convivevano la piccola proprietà contadina e i consistenti possedimenti di alcune famiglie, poche per la verità, che avevano fatto fortuna nei commerci o nell’esercizio di professioni e attività letterarie; questi ultimi, di norma, erano frazionati, lavorati e assegnati a mezzadria; pure diversi castagneti subivano questo regime di partizione e le castagne si dividevano secche solo negli anni di una discreta raccolta. La quota dominicale era la metà, sempre. Le opere del primo impianto e dell'innesto rimanevano a carico del proprietario, mentre la tenuta e la manutenzione dell’impianto spettavano al mezzadro. La legna ottenuta dalla scapezzatura dei rami, a causa della neve o del vento, doveva servire innanzitutto per fare essiccare le castagne, cui provvedeva il mezzadro; la parte rimanente andava poi a beneficio dei focolari domestici, tanto del padrone quanto del mezzadro, sempre in parti uguali. Le piante cadenti o morte, invece, spettavano in forma esclusiva al padrone. Il mezzadro doveva tenere tagliate le nuove piantine miserelle e sparute che crescono ogni anno vicino al tronco principale, raccogliere le castagne, essiccarle, pulirle e portare in casa del padrone la sua metà.
Dalla lettura di alcune descrizioni del territorio per il primo Ottocento (mi riferisco, ad esempio, alle perizie del tecnico agrimensore Gio. Domenico Locatelli di Corna), emerge già allora una situazione di parziale abbandono delle colture castanicole, pur rivestendo ancora una notevole importanza nell’economia generale delle famiglie contadine. Con l’introduzione estensiva delle coltivazioni del mais prima, delle patate successivamente, gli impianti di castanicoltura tradizionali perdono progressivamente il primato che possedevano un tempo, almeno sino al sedicesimo secolo, dacché anche i modelli alimentari si adeguarono presto alle nuove colture. “I prodotti principali di questo Territorio [cfr.: Corna Imagna] son Grano Turco e non frumento, uva, castagne, poche noci, fieni, legna da carbone per uso de' focolari – scrive all’inizio del diciannovesimo secolo l’agrimensore Gio. Domenico Locatelli – I Castagneti di questo territorio sono tutti in monte. Sono esposti in generale a venti turbinosi che ne scapezzano i rami, e spesso atterrano gli arbori ancora. Oltre gli altri infortunj, i così detti venti marini e le Nebbie dominano talmente sopra i Castagneti, che quand’anche il frutto sia prossimo alla maturazione svanisce per intiero; di modo che è affatto comune l’espressione: che le castagne bene spesso sfuggono anche sotto dalla Pertica. Poca parte del fondo dei Castagneti è suscettibile della relativa coltivazione. La massima parte per esser in terreno di cattiva indole, o poco felice l’esposizione, si vede in pratica che invecchiano presto e danno uno scarso frutto, ed il più degli anni niente affatto. I Castani in vicinanza dell’abitato sono i migliori, gli altri sono a peggior condizione per tutti i rapporti, non essendo nemmeno inestati; dando prodotto di lor natura un anno sì e l’altro no. Sono i Castagneti in pendio naturale, il sotto fondo non dà che magro pascolo, o musco, massime per quelli in distanza dal Caseggiato. Le piante di fusto grandioso e ben ramificato sono poche in confronto delle scapezzate, e vetuste o cadenti, di mediocre o piccolo fusto e stentato. Per ogni misura agraria in complesso di Castagneto più o meno popolato, gli arbori si ritengono dalli tre alli due, tutt'al più. In generale sono composti i Castagneti d'alberi d'età decrepita e cadenti, per non essere niente affatto in uso la loro sostituzione”.
L’agrimensore rileva il fatto che non si piantavano più castagneti completi, né venivano sostituiti quelli caduti o seccati, ma i contadini si limitavano a custodire nel miglior modo possibile solamente quelli piantati, anche molti secoli prima, dai loro antenati. Però prestavano particolare cura a quelli che nascevano naturalmente dal suolo, mediante la concimazione e la potatura: la prima si effettuava tutti gli anni, zappando la terra e distribuendo il letame attorno alle radici dei castagni, mentre la seconda solamente ogni triennio. L’agrimensore ci informa anche che le castagne, verdi o secche, si misuravano a some, avvertendo anche che occorrevano nove staia rasi per fare una soma; tre some abbondanti di castagne verdi facevano una soma di secche peste. Considerando il contesto montano e l’inesistenza di strade carrabili, il trasporto dei sacchi di castagne avveniva a dorso di muli, oppure sulle spalle delle persone, tenendo presente che una bestia da soma poteva portare tuttalpiù dodici pesi, mentre un uomo robusto la metà. Nei castagneti di prima classe si ottenevano sino cinque staia di castagne nelle annate ordinarie, mentre solo due e mezzo in quelli di terza classe. Per quanto concerne, invece, l’utilizzo del legname di castagno, assai resistente all’umidità, se il tronco era sano poteva essere impiegato come legno d’opera, nell’edilizia o nell’arredamento delle case contadine, come ad esempio per realizzare solai, orditure di tetti, serramenti esterni. Squadre di rasghì (“segatori” specializzati) provvedevano a ridurre il grosso tronco in assi o un travi. I rami migliori, invece, si utilizzavano per pali da siepi, oppure per realizzare solide staccionate. Anche nel passato non era in uso la compravendita del legno di castagno da brösà (bruciare) e ad uso dei focolari domestici, dato che tale essenza arde malamente, con un fuoco di pochissima attività.
Le castagne hanno accompagnato nei secoli il lavoro contadino sulla montagna prealpina e, ancora oggi, come da tempo immemorabile, le imponenti “matrone” della selva incominciano a tingersi di rosso, giallo e arancione per annunciare il periodo, ormai imminente, della raccolta del “pane dei poveri”. Un vero spettacolo della natura, per grandi e piccini. Sono i colori e i frutti dell’autunno ad accompagnare i bambini a scuola, all’inizio di un nuovo anno di studi, e chissà se, durante una gita nel bosco, sotto i maestosi castagni di Francàp, non vorranno anch’essi costruire con le loro mani öna colàna de castègne (una collana fatta con le castagne), proprio come facevano i bambini di un tempo…