Pensieri in Contrada – Il Tata, la Mare, ol Regiùr: come funzionava la famiglia rurale

Le prime aggregazioni residenziali e lavorative si sono formate attorno alla famiglia, che nei secoli ha agito quale perno di qualsiasi programma di sviluppo della struttura parentale e delle comunità locali nel contesto rurale.
5 Dicembre 2019

Più volte abbiamo richiamato l’attenzione su un aspetto di prim’ordine che ha sempre contraddistinto la vita delle popolazioni della montagna: nelle valli, sui versanti, alle quote alte non si può vivere da soli, ma occorre necessariamente stringere alleanze con l’ambiente e le altre persone, perfezionare quindi un’organizzazione di resistenza territoriale, sociale e familiare funzionale allo scopo.

Ci sono voluti secoli per mettere a punto questo modello. La prevalenza dei beni collettivi su quelli individuali, la diffusione degli insediamenti per contrade rispetto alle case sparse, l’importanza degli spazi ad uso della famiglia,… hanno caratterizzato nei secoli scorsi la vita dei gruppi sociali permanenti sulle Orobie. Siamo in presenza di comportamenti tutt’altro che strumentali e tali presupposti sono il risultato di proficue relazioni interpersonali e ambientali consolidatesi nell’ambito di lungo processo di stanzializzazione delle famiglie, dai primi insediamenti degli Orobi, nel V secolo a.C., sino ad oggi. La sopravvivenza stessa delle singole persone dipendeva dal livello di coesione delle rispettive famiglie, dalla forza dalla capacità che tali organizzazioni sociali di base riuscivano a mettere in campo per supplire al vuoto che veniva a crearsi qualora uno o più componenti fossero venuti a mancare.

Più la famiglia era estesa, meglio riusciva a colmare il vuoto determinatosi dall’allontanamento di un suo membro. I vuoti venivano colmati e la vedova in molti casi veniva risposata dal fratello del defunto coabitante nella stessa casa, per non pregiudicare lo sviluppo della famiglia. Nei piccoli gruppi, invece, in tali circostanze a volte veniva pregiudicata addirittura la capacità di sopravvivenza. Le persone dipendevano le une dalle altre e dovevano fare i conti con una natura spesse volte ostile. Anche il lavoro non era mai un fatto isolato o individuale, ma veniva trasmesso di padre in figlio e, quindi, si lavorava insieme all’interno di specifiche catene professionali, che si formavano nella famiglia innanzitutto, ma poi nella contrada e nel villaggio. Si andava insieme nel prato, nel bosco, sul cantiere. Ol laorà de dù e l’rénd per trì, mentre quello del singolo solo la metà. Nell’esercizio delle varie attività rurali, inoltre, si ponevano continuamente condizioni di sicurezza per i pericoli nascosti dovunque. Durante l’inverno ancora oggi si formano squadre di boscaioli, tra gli allevatori del villaggio, per il taglio e la vendita del legname, e così pure i muratori i se dà ü culp de mà, o si scambiano giornate di lavoro, quando si tratta di costruire le loro abitazioni private, ottenendo così significative economie.

Le prime aggregazioni residenziali e lavorative si sono formate attorno alla famiglia, che nei secoli ha agito quale perno di qualsiasi programma di sviluppo della struttura parentale e delle comunità locali nel contesto rurale. La famiglia estesa di un tempo, composta anche da alcune decine di persone – per la convivenza, sotto lo stesso tetto, anche delle spùse e dei neùcc – era costituita attorno a una struttura organizzativa di tipo piramidale, rigida nel definire le posizioni subordinate e le competenze di ciascun componente, ma nel contempo assai articolata e con diverse espressioni personali. In cima alla piramide c’era il Tata, che era anche missìr (suocero), al quale competeva la direzione della famiglia e la sua rappresentanza all’esterno. Era affiancato dalla moglie, la Mare, l’anziana donna della casa, chiamata anche Madòna dalle donne – le spùse – entrate a far parte della famiglia a seguito del matrimonio. In genere, ol Tata-missìr e la Mare-madòna, fin quando le forze glielo consentivano ed erano attivi nel gruppo parentale, esercitavano anche le funzioni di Regiùr e Regiùra, ossia amministravano i beni e curavano direttamente gli interessi della famiglia e di ogni singolo componente. Altrimenti tali funzioni di amministrazione le avrebbe assunte uno dei figli, di norma il primogenito, per le questioni di attinenza generale, mentre quelle specificatamente domestiche potevano essere esercitate o da öna spusa, come ad esempio la moglie del Regiùr, oppure dalla mèda che gh’ìa restàt en cà, che assumeva così le funzioni di Regiùra.

Ol Regiùr disponeva gli acquisti e liquidava i conti, quando poteva si recava personalmente dó a la Felìsa al mercàt per crompà ol formài e, in assenza del Tata, rappresentava all’esterno la famiglia, ad esempio nelle riunioni dei Capi-famiglia del villaggio, per discutere argomenti importanti per la comunità. Egli coordinava i necessari lavori nei campi, si assicurava le scorte cibarie per l’inverno e disponeva circa i compiti di ciascun membro del gruppo.

La Regiùra, invece, nell’ambito della propria sfera d’azione e delle disposizioni impartitele dal Regiùr, coordinava l’esecuzione delle faccende domestiche, distribuiva i beni, divideva le razioni di cibo quotidiane e, a mesdé, assegnava a ciascuno la propria fèta de polénta e de formài (quando c’era). A Catianóm, però, nel villaggio contiguo di Locatello – così mi raccontava il compianto amico professor Costantino Locatelli – ol Tata dol Begèt custodiva personalmente la chiave de la càssa dol formài, immancabilmente chiusa, e provvedeva a distribuire personalmente le razioni a ciascuno. A la spusa che aveva il bambino al seno ne assegnava una razione aggiuntiva e le diceva: “A tè öna fèta de piö, perché te gh’é da balià!”.

In genere, però, era la Regiùra a coordinare con vigore le operazioni della tenuta della casa ed era depositaria de chèle póche palànche che servivano per gli acquisti dei beni primari e indispensabili. Oltre ai denari che riceveva dal Regiùr, o dal Tata, immancabilmente sempre scarsi, ella si industriava nella ricerca di ulteriori fonti di finanziamento, vendendo uova, burro, qualche stracchino, onde poter comperare la stoffa per confezionare i vestiti con i quali quarcià dó bé soprattutto i più piccoli del gruppo.

Nella grande famiglia la gerarchia dei ruoli era fondamentale, nell’interesse di tutto il gruppo. Sulla linea verticale del Tata-missìr. Erano sottoposti alla sua autorità, nell’ordine, dapprima ol Regiùr, quindi i sò tosài e le rispettive mogli (i spuse), infine i nipoti. Sulla linea, invece, più spostata verso la sfera di competenza della Mare-madòna, peraltro anch’essa subordinata all’autorità del Tata, seguono la Regiùra, e tosà rimaste ancora in famiglia prima del matrimonio, infine ancora i spuse e i neùcc. Un simile impianto organizzativo e decisionale consentiva certamente di razionalizzare le potenzialità e le capacità di ciascun componente e nel contempo anche di tutto l’organismo parentale, evitava la dispersione di funzioni e concentrava le risorse, finalizzandole meglio e in modo efficace all’interno dell’unico e comune programma di sviluppo.

Un’efficiente organizzazione familiare era anche la condizione necessaria per la gestione dell’attività zoo-casearia. E continua ad esserlo tuttora in montagna. Praticare l’allevamento anche solo di una piccola mandria, dai dieci ai venti capi di bestiame, è già un’azione di rilevanza comunitaria, cui una persona da sola non riesce ad attendere, soprattutto in determinati periodi dell’anno, come durante la fienagione, oppure quando vi è connessa anche l’attività di caseificazione e la vendita dei prodotti caseari. La capacità della famiglia di mettere in campo, all’occorrenza, disponibilità umane aggiuntive, per fronteggiare situazioni particolari, ha favorito la costruzione di diverse attività rurali, consolidatesi nel tempo, che richiedevano livelli superiori di specializzazione. I gruppi parentali meglio organizzati, infatti, costruivano e organizzavano al loro interno le competenze di ciascuno, in relazione agli obiettivi da perseguire, sempre con molta concretezza e prudenza, favorendo possibilmente capacità e soluzioni interscambiabili: chi si occupava precipuamente dei lavori nei prati e pascoli, chi della cura del bestiame, chi di lavorare il latte e chi della commercializzazione dei prodotti caseari… Questa modalità di organizzare il lavoro era praticata anche nelle piccole aziende zootecniche di montagna, fondate sulla compresenza di tanti e diversi lavori, sempre costruiti sul rapporto diretto con la terra, che interagivano tra di loro, si integravano a vicenda ed erano destinati, con unità d’intenti, a produrre un unico reddito familiare: alla gestione della piccola bergamina provvedeva la donna, mentre l’uomo era nel bosco a tagliare la legna o a fà carbù, ma sarebbe rientrato in caso di bisogno, e così si figli competeva la conduzione al pascolo dei quadrupedi. Ciascuno con il proprio compito, ma tutti pronti a collaborare e a ricomporsi all’occorrenza.

Come in una falange, ogni componente svolgeva azioni proprie ma funzionali al movimento unitario e al rafforzamento di tutto l’organismo sociale della famiglia. Alla base di alcune importanti aziende di origine bergamina, che si sono poi affermate in diversi contesti, anche in ambito internazionale, sono stati inizialmente applicati i principi del modello di organizzazione della famiglia rurale, accentuando la diversificazione delle competenze e la costituzione di specifiche e separate linee produttive nei diversi settori, non solo in ambito caseario, ma anche ad esempio nei campi della lavorazione delle carni bovine, dell’allevamento dei maiali e del confezionamento di deliziosi insaccati.

La fortuna di molte famiglie ha avuto origine dalla capacità dei vari membri di stare insieme, riconoscendosi assoggettati alla medesima autorità e mettendo in comune, nell’unico bilancio, le capacità e le risorse di ciascuno, sostenendo investimenti a beneficio del gruppo parentale, considerato nel suo complesso. “Tutti per uno, uno per tutti”, recita il famoso motto, tratto dal celebre romanzo di Dumas “I tre moschettieri”, che mette in evidenza il nobile intento di più persone di perseguire un obiettivo comune. Il chiasmo evoca la forza che nasce e si sprigiona nel gruppo dalla condivisione di un obiettivo e dalla dotazione di una struttura organizzativa efficace, che la famiglia rurale dalle nostre parti si è assunta di fronte ai suoi componenti e a tutta la comunità locale, come una promessa da onorare a tutti i costi.

(Fotografia di Alfonso Modonesi. Archivi della Memoria e dell'Identità del Centro Studi Valle Imagna)

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