Quarta puntata del racconto “Le guerre dei Celti”. Un piccolo romanzo storico che ha l'intento di narrare la storia del nostro territorio facendola rientrare nella Grande Storia. Come già fatto con le guerre persiane anche con questi racconti celtici andremo a raccontare le guerre puniche per parlare dei Celti che hanno abitato e vissuto sul nostro territorio, lasciando il segno della loro cultura.
(PER LEGGERE CAPITOLI PRECEDENTI: capitolo 1 – capitolo 2 – capitolo 3 )
CAPITOLO 4 – Furore gallico ed orgoglio celtico
Erano venuti dai villaggi e dai monti guerrieri giovani e forti pronti , come era costume dei celti alla stagione della guerra . Quell’inverno fu il più lungo e rigido tra quelli che gli abitanti delle montagne e della pianura del Po avevano vissuto da decenni, ma ora si apriva la stagione nel mese del dio della guerra , e questa guerra , portata dal grande esercito che aveva attraversato le Alpi ed era ormai era diretto oltre gli Appennini contro i romani e Roma, si presentava ricca di occasioni di vittoria ,di bottino e di ricchezza . L’indomani sarebbero partiti sotto la guida del giovane Lug e di Sean per congiungersi nel territorio di Lemen con i guerrieri che suo padre Boido , capo celta del forte gallico di Duno, aveva radunato dalla “Città sul Monte” e dalla valle dell’Imbro, ricca di ferro e di armati !
Ora si erano convocati ai piedi del “Monte dentato di creste” che in forma leonina domina la valle , eretto sulla pianura e sulle acquose terre degli Insubri ” ; li aveva radunati Lug alla “Grotta Grande” che il vegliardo druido Belenos suo avolo, reggeva con il culto e la venerazione della ” Grande Stalattite “.
Si apprestavano alla guerra come ad un rito sacro , andavano alla guerra con preparazione religiosa i guerrieri celti, che i popoli antichi conoscevano ed ammiravano e temevano, perché “ tra i Celti prevaleva la dottrina di Pitagora che l’anima del’uomo è immortale e ,dopo aver completato il corso della sua esistenza, vive ancora , poiché l’anima passa in un altro corpo”, ed i druidi ( sacerdoti dei celti ) in particolare intendono imprimere loro questa nozione, che le anime non periscono, ma passano dall’uno all’altro dopo la morte e in questo modo essi sanno soprattutto spronare gli uomini al valore, essendo superato il timore della morte “! Lo chiamavano “furore gallico” sui campi di battaglia l’ardore irresistibile del loro combattere, che in maniera misteriosa animava l’animo dei vivi facendo rivivere la presenza immortale dei morti.
Quando furono nel sacro luogo ai piedi della Grande Stalattite Belenos, anziano e venerato druido così parlò :-”Popolazioni antiche venerarono in questa Grande Grotta la presenza degli Dei in questa grande stele eretta dallo stillare dell’ acqua e anche noi celti e druidi, cultori dei segreti della Natura, sappiamo leggere negli strati sovrapposti, che erigono questa grande pietra, le forme sovrapposte dei tempi passati e trarne la visione di eventi che generazioni del passato ebbero a vivere e le cui anime immortali restano nella storia come incise in questa pietra . Voi Sean e Lug ,che avete convocato e guidate questa schiera di giovani guerrieri , siete venuti da me per apprendere e conoscere la lunga vicenda che contrappose , e contrappone ancora ora, l’animo e lo spirito dei popoli celtici contro sopruso e la prepotenza della città di Roma. Tutto è raccolto nella mia memoria tramandato dalla tradizione o testimoniato dalla mia avanzata età , e la mia capacità di druido ve ne dà ora il racconto e la visione come a me la richiamano le forme degli strati che in questa Stele di pietra il tempo ha segnato ,strato per strato e visione per visione.” Belenos si tacque e con atto rituale , salita la base della “Grande Stalattite” , accostò la mano toccando, uno dopo l’altro, quattro di quegli strati diversi e distinti di forma e di misura , e come sciamano dal volto ispirato , trasformato lo sguardo , con voce narrante descrisse quattro visioni dell’ “epopea dei celti italici” come se le leggesse , strato per strato, scritte nei cerchi degradanti della colonna di pietra .
E trasse dal primo strato scelto e toccato la storia di Brenno. “ Quando Roma spaventata a morte non vedeva possibilità di arrestare l’avanzata dei “giganti biondi che riempivano tutto intorno di canti selvaggi e di grida spaventevoli, e che ovunque andassero “coprivano una vasta area ,con cavalli, uomini e carri..” . Lo stato maggiore romano aveva messo insieme un improvviso piano di battaglia su una piccola altura .. ,là dove sbocca nel Tevere il fiumicello detto Allia”… ma Brenno ,il capo dei Galli, attaccò con occhio sicuro e lungimirante proprio la collina senza curarsi delle schiere ai lati di essa, e si assicurò la vittoria …i legionari fuggirono al Tevere e cercarono di salvarsi annegando in molti … solo i soldati dell’ala esterna fuggirono insieme a Roma ..rifugiandosi nella cittadella del Campidoglio e lasciando persino aperte le porte della città, tanto che i Galli ebbero il sospetto di un trabocchetto.. “ I celti passarono il giorno dopo la battaglia a recidere le teste degli avversari caduti,come era nel loro costume …. e solo tre giorni dopo fecero capolino in quella Roma ,aperta a loro ed immersa nel vuoto e nel silenzio.. e si diedero al saccheggio..”ora si gettavano a mucchio sulla prima casa a loro portata,ora sulla prossima ,come se solo in essa ci fosse bottino, sempre però tornavano alla piazza del mercato o nelle sue vicinanze ; quella solitudine li spaventava “.
“Trovarono allora in uno degli atrii abbandonati ,seduti su alti seggi d’avorio ,immobili e vestiti di toghe orlate di porpora i vegliardi del Senato che, per non gravare sugli assediati, non vollero ritirarsi in Campidoglio ed impressionarono i nemici con la maestà dei loro tratti quasi fossero degli dei, salvo essere poi trucidati dal rompersi del sortilegio nel costatare con la percossa, allo strappo della barba, che si trattava di esseri umani fatti di sangue e di carne. Se sia storia o leggenda il salvataggio della rocca assediata del Campidoglio da parte delle oche del tempio di Giunone , se sia storia o leggenda della spada del capo dei Galli Brenno,gettata sulla bilancia con la minaccia “ Guai ai Vinti!” , se sia storia o leggenda che Marco Furio Camillo abbia ripreso in battaglia con le armi l’oro del riscatto prima che il Gallo potesse metterlo al sicuro, ciò non è dato sapere, ma è dato sapere che anche ai nostri giorni, a centocinquanta anni buoni dalla frase di Brenno, il Senato vede con minore preoccupazione un’avanzata della potenza cartaginese sul mare ,nelle isole ed in Iberia piuttosto che questo nuovo attacco portato da Annibale dalle Alpi, perché in questa spedizione che anche voi vi apprestate a seguire contro le legioni romane ,per il Senato il pericolo celtico s’è fatto maggiore e per i soldati romani si ripresenta la paura del “furore gallico e dell’impeto celtico” che hanno sperimentato in quelle passate battaglie contro i nostri antenati “!
Così parlò Belenos il vegliardo druido custode della Grotta-Santuario , leggendo assorto la visione di quel primo strato della “sacra stele di pietra”.