Viviamo strani tempi. Ciascuno di noi ha il termometro su cui può leggere la temperatura del presente: l’impressione è che ci troviamo in una comunità che sta declinando. Nelle città la dimensione umana è abbastanza rarefatta: rapporti impoveriti, frettolosi buongiorno e buonasera, quando ci sono, perché sono diventati difficoltosi anche quelli e poco più. Avanza una preoccupante solitudine. Nei nostri paesi le cose vanno meglio, ma anche qui cresce il ripiegamento in noi stessi, dentro casa, lentamente stiamo passando dalla fiducia alla sfiducia negli altri (con qualche pur fondata ragione). Insomma: la comunità è febbricitante.
Poi, però, vai a una festa e ritrovi molti motivi di conforto e di speranza. Non è tutto così arido e desertico come a volte sembra. Certo, ci va una distinzione perché la rispondenza della gente non è dappertutto uguale e cioè alta, ma in generale, anche dove la frequenza è normale, assume i contorni della grandezza se paragonata a certe feste e sagre che si vedono in città e nelle periferie, dove l’identità e il senso di appartenenza si sono notevolmente affievoliti. Certe liturgie e processioni lasciano con molte domande su dove stiamo andando.
Ci sono poi talune feste che conservano inalterate la capacità di richiamo, la forza della tradizione, la freschezza e la vivacità di alcuni momenti aggregativi non solo per un paese ma per mezza vallata o forse più. Nella Valle Imagna il calendario dell’anno porta evidenziate alcune ricorrenze che fanno popolo ogni volta: sono la festa della “Madonna dei bergamini”, la prima domenica di settembre, a Fuipiano e, subito la domenica dopo, quella della Cornabusa. All’inizio dell’anno, nel cuore del “sant’inverno” del passato, dov’erano concentrati i Tridui per i defunti e le Quarantore per favorire la partecipazione degli allora numerosi emigranti che in febbraio e marzo ripartivano, si tengono ancora alcune feste con numerosa partecipazione: è il caso, ad esempio, di Sant’Antonio Abate a Brancilione, devozione che a Berbenno ha la solennità della patronale.
È davvero sorprendente come una piccola frazione qual è Brancilione – parrocchia di Locatello e Comune di Corna – riesca ad attirare attorno alla chiesetta una folla di persone di ogni età, dai bambini agli anziani, provenienti dai vicini paesi. Arduo stabilire “perché” la domenica più prossima al 17 gennaio riesca a rimanere così sentita ed a smuovere lunghi cortei di automobilisti per la benedizione degli automobilisti al mattino e di fedeli per la processione del pomeriggio. Non solo ma sono motivo di stupore e di riflessione anche la compostezza, il raccoglimento, la preghiera con cui si sfila lungo un anello nel cuore della frazione, ora con molte porte e finestre chiuse e case abbandonate.
In aggiunta vanno considerati altri fattori e segni: come la decorazione molto curata lungo tutto il percorso della processione, l’abbellimento con fiori e luci della chiesetta, la cornice della religiosità e qui penso ad altri simboli e momenti: il sale da far benedire per gli animali nelle stalle (poche, ormai) e per quelli domestici (molti e in aumento), la banda e gli spari di mortaretti (i “fuochi” dei poveri); la cena e la tombola della vigilia (quest’anno con più di duecento presenti) e, al termine, la riscoperta del piacere di ritrovarsi, di stare insieme, di parlarsi (oggi “parla” soprattutto internet), di riunire l’anima e il corpo, di rivivere l’incanto dei doni (domenica c’era nientemeno che una damigiana di vino), gustando caldarroste o una fetta di torta fatta in casa con un bicchiere di tè o di “vin brulé”.
E dopo le ultime strette di mano, con uno sguardo in alto, su verso Fuipiano, alle ultime rasoiate di sole che si accuccia dietro il Pertus, far rientro a casa con il cuore sollevato e con nostalgia di questa brace del passato per scaldare il futuro.