Tredicesimo numero della rubrica dedicata alla salute a cura della Farmacia Visini di Almè. In questa nuova puntata il dott. Michele Visini spiegherà la differenza tra farmaci originali e generici.
Nella pratica quotidiana del lavoro in farmacia, quando un paziente si presenta al banco porgendoci una prescrizione, la domanda che da qualche anno siamo chiamati più spesso a fare è: vuole gli originali o i farmaci equivalenti (più noti come generici)?
Oggi in questo articolo voglio provare ad affrontare questo spinoso argomento, da tempo rimandato, consapevole di addentrarmi in una selva intricata e di rischiare di suscitare le reazioni più disparate, senza però minimamente prendere una posizione in questa sede, al solo scopo di informare in modo chiaro come stanno le cose dal punto di vista normativo e farmacologico….quello che quotidianamente cerchiamo di fare nel lavoro in farmacia.
Infatti, non di rado, alla domanda di cui sopra, le risposte sono: “Cioè? Cosa significa? Che differenza c’è? Ma sono uguali? Fanno lo stesso effetto? E’ vero che danno un effetto inferiore? E’ vero che contengono meno farmaco (principio attivo)? Cosa è questa “cosa” del più o meno 20%?”
E’ ancora evidente, nonostante siano ormai passati molti anni dall’entrata in commercio dei “generici” (in questo articolo per semplicità utilizzerò questa denominazione anche se non è strettamente appropriata), quanto ancora complessivamente inadeguato sia il livello di informazione e di consapevolezza sull’argomento. Non ho la presunzione di dissipare qui e ora qualsiasi dubbio, ma vorrei provare a mettere in chiaro alcuni aspetti che a mio modo di vedere sono significativi. Premetto che l’argomento in sé non è affattosemplice, quindi non sarà semplice spiegarlo senza utilizzare alcune definizioni tecniche di non immediata comprensione.
FARMACOCINETICA – FARMACODINAMICA:
Cosa mai sono? Altro non sono in termini tecnici specifici che il comportamento del farmaco nel nostro corpo, dall’istante in cui viene assunto fino alla sua completa eliminazione: DOVE VA E COSA FA. Provo a spiegare di cosa si tratta.
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La FARMACOCINETICA si occupa di valutare i diversi step del percorso del farmaco nel nostro organismo: assorbimento, distribuzione, raggiungimento della massima concentrazione nel circolo (“picco plasmatico”), andamento della sua concentrazione nel sangue, eliminazione attraverso feci o urine; tali fasi del percorso del farmaco possono essere misurate con precisi parametri :
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TMAX: Tempo dall’assunzione al raggiungimento della massima concentrazione nel sangue
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CMAX: Concentrazione plasmatica massima raggiungibile somministrando una determinata dose di farmaco
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AUC: misurazione dell’area sotto la curva che esprime graficamente l’andamento della concentrazione nel sangue del farmaco: questo è un parametro non semplice da comprendere ma essenziale quando si parla di Bioequivalenza. In sostanza, si tratta di disegnare una curva ottenuta unendo i diversi punti che rappresentano istante per istante la quantità effettiva di farmaco nel sangue (concentrazione plasmatica), e misurare, determinandone l’area, lo spazio grafico sottostante tale curva.
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La FARMACODINAMICA studia invece i meccanismi di azione di ogni singolo farmaco, ricercando gli organi bersaglio ed all’interno di essi il recettore (ovvero la struttura fisicamente presente) con cui interagisce il farmaco nella sua struttura molecolare. La Farmacodinamica è la base per la progettazione di un farmaco e la sua realizzazione
Ho voluto chiarire questi due aspetti perché solo eventuali significative differenze che riguardino questi due specifici ambiti possono rendere due farmaci dissimili tra loro. Infatti, due farmaci che contengano il medesimo principio attivo non potranno mai avere differenti effetti da un punto di vista farmacodinamico: se il principio attivo è uguale (e non sto entrando minimamente nella questione della forma farmaceutica scelta per la somministrazione o del dosaggio), il meccanismo d’azione e l’effetto seguente alla interazione con il recettore bersaglio saranno necessariamente uguali. Le differenze potranno invece essere molto significative se si cambiano i dosaggi (maggiori dosaggi comportano ovviamente livelli di concentrazione massima più alti) o le forme farmaceutiche (compresse, fiale, pomate, supposte, sistemi a lento rilascio, ecc…): si potranno in altre parole avere diversi comportamenti dal punto di vista della farmacocinetica.
Aprirei a questo punto un breve inciso parlando della questione degli eccipienti, ovvero di tutto quel corollario di elementi che vengono addizionati al principio attivo (il farmaco!) per confezionare il prodotto finito che verrà somministrato a un paziente (la medicina!). La tecnica farmaceutica e la legislazione consentono di definire “eccipiente” una sostanza presente in una “medicina” solo ed esclusivamente se non interferisce con l’azione del principio attivo cui si accompagna né da un punto di vista della farmacocinetica (il percorso nell’organismo) né da quello della farmacodinamica (l’azione nell’organismo). A questo punto diventa chiaro che se due “medicine” contengono diversi eccipienti ma medesimo principio attivo nel medesimo dosaggio e medesima forma farmaceutica (compressa, fiala, supposta, ….) non potranno avere nessuna differenza in termini di effetto sul paziente.
Questa lunga trattazione iniziale ha dunque chiarito gli elementi necessari per rispondere, da un punto di vista normativo e di tecnica farmaceutica, alla domanda del titolo e a molti dei quesiti che ho elencato all’inizio di questo articolo.
Prima di entrare nello specifico della definizione dei termini per le due tipologie di farmaci, esiste una ben precisa linea di demarcazione tra farmaci equivalenti e farmaci copia, ed è la questione legata alla copertura brevettuale (dieci anni):
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prima della scadenza del brevetto, l’immissione in commercio di un farmaco, con un nome commerciale e una confezione diversa rispetto a quanto realizzato e commercializzato dal titolare del brevetto stesso, implica necessariamente una richiesta di autorizzazione, non al ministero o all’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco) bensì proprio alla ditta titolare del brevetto. Per ottenere questa autorizzazione alla produzione e la successiva A.I.C. (Autorizzazione all’Immissione in Commercio) da parte dell’AIFA, è necessario riprodurre in modo esatto in tutto e per tutto il farmaco di riferimento. Tutto deve necessariamente essere identico, compresi gli eccipienti.
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dopo la scadenza del brevetto, la commercializzazione di un farmaco diverso rispetto all’originale di riferimento (studiato, pensato, realizzato, brevettato e commercializzato) richiederà la presentazione all’AIFA di uno studio che dimostri la cosiddetta BIOEQUIVALENZA tra le due formulazioni (originale e, appunto, equivalente). A questo punto devo addentrarmi in una questione forzatamente complessa: la definizione di Bioequivalenza. Per fare questo dobbiamo tornare a quel parametro di cui abbiamo parlato poco fa, ovvero sia l’AUC, l’area sottesa alla curva che rappresenta l’andamento della concentrazione del farmaco nel sangue. Due farmaci si definiscono “bioequivalenti” se il rapporto tra l’AUC e la CMAX (concentrazione massima nel sangue….il punto più alto della curva che abbiamo appena descritto) dei due farmaci differisce per un +/- 20% (eccolo il famoso/famigerato 20%!!!!!). Purtroppo in termini più semplici di questi non si può descrivere questo punto, che però è essenziale. Questo intervallo di scostamento è stato determinato verificando in termini statistici che in questo range le differenze in termini di efficacia terapeutica sono non significative. Teniamo peraltro presente che per una serie di fattori legati al momento, alla condizione soggettiva, alle condizioni climatiche, ecc… lo stesso farmaco somministrato allo stesso individuo in due diversi momenti presenterà curve di concentrazione diverse.
Quindi, la commercializzazione di un farmaco “generico” viene autorizzata (rilascio dell’AIC) solo se il produttore è in grado di dimostrare che, a prescindere dalla formulazione allestita e dal corollario di eccipienti scelti per allestirla, il suo farmaco è, nei termini in cui ho provato a spiegarlo, bioequivalente al farmaco “originale” o di riferimento, ovvero quello che era stato registrato per determinate indicazioni (quindi prescrivibile per specifiche problematiche di salute) terapeutiche.
Sono certo di avere affrontato un argomento molto spinoso. Non intendo minimamente convincere nessuno a sposare un’idea o un’altra. Dato che, in ultima analisi, la scelta tra un “originale” e un “generico” spetta al paziente, ognuno deve essere libero di poter scegliere come curarsi nel modo e con gli strumenti che ritiene più idonei. Quello che reputo sia un compito essenziale per noi professionisti della salute è dare le informazioni necessarie per consentire al consumatore finale di poter operare una scelta più consapevole possibile.