Michele Visini: ”Il Covid, dal mio punto di vista”

Dottor Michele Visini: ''La strada per uscire dall'incubo sociale e sanitario che stiamo vivendo è ancora lunga, ma la direzione è chiara: serve ogni strumento possibile per monitorare al meglio la diffusione del virus''.
23 Gennaio 2021

Nuovo numero della rubrica dedicata alla salute a cura della Farmacia Visini di Almè. In questa nuova puntata il dott. Michele Visini esprimerà il suo punto di vista in merito alla situazione Covid.

In tutti questi mesi da quando il COVID ha fatto la sua comparsa nella nostra società e nella nostra quotidianità, diventandone sostanzialmente, in modo diretto o indiretto, il padrone assoluto, tutti noi abbiamo avuto modo di leggere, di sentire, di interiorizzare ogni genere di informazione, proveniente da qualsiasi fonte, più o meno accreditata, più o meno legittimata a parlare e diffondere la propria opinione o la propria verità. In tutti questi mesi, non ho mai scritto specificamente di COVID, in nessuno dei contesti in cui periodicamente pubblico articoli: perché farlo ora? Perché a breve le farmacie, anche quelle lombarde, dopo mesi di parole, di annunci e di programmi, diventeranno parte attiva nella lotta sanitaria al COVID, partecipando, a stretto giro di pochi giorni, alla campagna di tracciamento dei contagi tramite esecuzione dei Tamponi rapidi antigenici. Ritengo pertanto logico esprimere il mio punto di vista, costruito sulla base del mio vissuto, professionale e personale, e delle riflessioni che da esso ne ho tratto, per spiegare a chi vorrà rivolgersi a noi per eseguire questo test il motivo per cui ho scelto di aderire a questa iniziativa e lo spirito con cui mi approccio a questa pratica. Preciso subito che parlerò a titolo puramente personale, evitando polemiche inutili ed inopportune, senza alcuna presunzione di predicare, insegnare, diffondere alcuna verità se non fatti vissuti nella realtà: sono un individuo che vive nella società ma sono anche un operatore sanitario, a dispetto di fastidiose e stucchevoli querelle sull’argomento, e come tale non credo sia giusto sfuggire alle responsabilità che questo ruolo, in un’epoca di emergenza sanitaria, ci assegna.

Cosa sia accaduto da fine febbraio dello scorso anno ad oggi lo sappiamo benissimo: siamo stati travolti da un’onda irresistibile! Non era possibile fare nulla di diverso, era qualcosa cui non potevamo opporci, a nessun livello: tutto troppo nuovo, tutto troppo travolgente, tutto troppo improvviso. Per settimane abbiamo assistito a uno sciorinamento di numeri, quelli dei (presunti) contagi, delle (reali) persone ricoverate, a diverso livello, e dei defunti; ogni sera il numero veniva aggiornato con assoluta precisione, ma sappiamo molto bene che il dato reale di quanto il virus si sia diffuso e abbia colpito è assolutamente molto superiore al censimento ufficiale. Le autorità politiche e sanitarie evidentemente non potevano fare nulla di più, i laboratori attrezzati per eseguire i tamponi erano pochi, i reagenti insufficienti e i tempi e le modalità di reclutamento del campione statistico da sottoporre ad indagine ancora tutti da definire. E’ chiaro che la diffusione del virus è stata enormemente superiore al dato stimato. Tutti noi conosciamo persone che si sono ammalate, hanno vissuto la malattia a casa e sono guarite o ci hanno lasciato senza essere annoverate nei numeri ufficiali. Io sono tra questi…e sono tra i tantissimi fortunati che sono qui a raccontarlo. Molti non hanno avuto in dono la stessa sorte.

Nel mese di marzo i centri ospedalieri sono stati letteralmente presi d’assalto da vagonate di persone malate, molte, purtroppo, talmente gravi da non riuscire ad essere curate; non si sapeva di questo virus e di come affrontarne gli effetti sul corpo ciò che fortunatamente sappiamo oggi. Le sirene della ambulanze sinistramente riecheggiavano nella notte e nel silenzio surreale di un mondo improvvisamente bloccatosi, sprofondato nei primi giorni di quello che da allora è diventato un difficile refrain: il lockdown. Da farmacisti, nella pratica quotidiana, abbiamo vissuto la sensazione che, a prescindere da quale fosse la causa scatenante, ci fosse tanta ma tanta gente “malata”, sensazione che, peraltro, oggi non stiamo affatto vivendo: moltissime persone con la febbre (per la prima volta in più di vent’anni abbiamo terminato le scorte di Tachipirina…..) e/o con sintomi (para-influenzali) a carico delle vie respiratorie e uno strano fenomeno di perdita di gusto e olfatto. La richiesta di bombole di ossigeno è esplosa oltre ogni precedente: non siamo riusciti a soddisfare tutte le tantissime richieste, nonostante lo sforzo enorme di tutti gli attori coinvolti. Ma tutte queste cose sono note a tutti. Nel frattempo, come dicevo, io, come migliaia e migliaia di altre persone, mi sono ammalato, e gran parte di questa emergenza l’ho seguita da casa, provando a dare una mano a chi era rimasto a lavorare in farmacia. Non starò a tediarvi con i dettagli di una storia che è comune a tantissime altre persone e quindi non ha nulla di interessante in più; quel che però ho imparato in quel mese mi è servito e mi servirà, personalmente e professionalmente, nel prosieguo di questi mesi a venire.

Oggi la situazione, non solo qui nel nostro territorio così pesantemente colpito ad inizio pandemia, è del tutto differente da ogni punto di vista.

In primo luogo i protocolli di intervento terapeutico sono ora meglio definiti, per cui è chiaro che paragonare un periodo vissuto nella quasi totale impotenza con la situazione attuale credo sia del tutto privo di senso, indipendentemente dalla mole delle persone che risultano contagiate e quindi meritevoli di monitoraggio o di cure, domiciliari oppure in ospedale. Oggi si sa molto di più degli effetti che il virus determina quando contagia un individuo, per cui si può provare ad intervenire andando con maggior rapidità a ricercare possibili segnali che possano far temere un rapido peggioramento delle condizioni fisiche dei pazienti; nella mia esperienza posso dire di essere giunto in ospedale in coda al mese di malattia, quando ai pazienti si iniziava a somministrare farmaci antinfiammatori (soprattutto Cortisone), inizialmente ostracizzati e bollati non solo come inutili ma addirittura come nocivi e controproducenti: per me (ma nel corso dei mesi successivi, confrontandomi con altri pazienti che avevano avuto la stessa esperienza, ho potuto avere altre conferme) è stata letteralmente una svolta, dato che dalla prima dose è sparita una febbre che mi accompagnava quotidianamente da quasi un mese; agli antinfiammatori, inoltre, si associano farmaci antiaggreganti in grado di controbattere la comparsa di trombi ed emboli responsabili di possibili gravi conseguenze. Tutto questo rende oggi gli interventi terapeutici più efficaci.

Un altro aspetto assolutamente fondamentale è quello del tracciamento dei contagi: oggi ci sono le risorse per andare a ricercare chi possa aver contratto l’infezione effettuando un numero di tamponi che a primavera era inimmaginabile. Nel corso dei mesi si è infatti passati da un atteggiamento di “attesa” fra le proprie mura ad uno di ricerca quasi maniacale sul territorio, una caccia senza quartiere alla ricerca dei “positivi” da isolare!!! Non sapremo credo mai in modo realistico quale sia stata la vera portata del contagio nei territori pesantemente colpiti dalla prima ondata di inizio primavera: moltissime altre persone (alcune stime parlano di dieci-venti volte il numero ufficiale) che avevano contratto il virus non sono mai state sottoposte a tampone che ne accertasse contagio e positività, né successivamente ad una indagine sierologica capillare….tra quelli ci sono anche io. Poter accedere a un tampone non era consentito a meno di recarsi in pronto soccorso o riuscire a trovare opportunità tutt’altro che facilmente accessibili; anche a domanda diretta (lo so per esperienza personale), con ferma gentilezza, questa possibilità è stata negata ai più, per l’impossibilità di far fronte all’enorme improvvisa mole di richieste. Comprensibile? Si, assolutamente. Giustificabile? Forse si….Certo è che ora con questo buco nelle informazioni statistiche ed epidemiologiche dobbiamo fare i conti, senza fare assolutamente polemiche inutili e stucchevoli.

TEST SIEROLOGICI

Credo che la più grande opportunità che ci si è lasciati scappare sia stata quella di compiere un’indagine sierologica quanto più capillare possibile nel periodo di metà-tarda primavera: sappiamo che, sia pur con un margine di errore, fisiologicamente da mettere sempre in conto quando si parla di test-screening, sono stati approntati e commercializzati (ad uso esclusivo dei professionisti sanitari) test sierologici pungidito di rapida esecuzione, in grado di dare un’indicazione della presenza di anticorpi, e quindi determinare l’avvenuto contatto (pregresso, non necessariamente attuale) con il COVID.

Ritengo sia necessaria una rapida digressione per spiegarne il funzionamento e consentire una corretta interpretazione dei risultati, soprattutto ora che è stata autorizzata la commercializzazione e la vendita al pubblico di test sierologici eseguibili autonomamente da ciascuno a casa propria.

Gli anticorpi che l’organismo produce quando entra in contatto con un virus possono essere grossolanamente raggruppati in due categorie:

  • IgM: risposta immunitaria precoce e non duratura, indice di una infezione recente o tutt’ora in corso

  • IgG: risposta immunitaria secondaria, in grado di generare uno stato di immunità (più o meno duratura che sia) e indice di una infezione pregressa e verosimilmente risoltasi

Entrambi questi tipi di anticorpi sono rilevati dai test sierologici in questione. Va detto che tali test non sono stati accolti in modo univoco dalle autorità sanitarie e politiche: molti si sono dimostrati favorevoli, soprattutto per poter realizzare una campagna di screening massiccia e capillare, al fine di avere una stima un po' più attendibile del dato ufficiale; molti altri si sono invece schierati contro questo test, sottolineandone il limite nella sensibilità e nella specificità, quindi la non totale attendibilità. Io credo che nessun test di questo genere possa essere privo di errore, ma credo che un’indagine a tappeto avrebbe potuto darci un quadro più veritiero e quindi più utile, soprattutto a tendere. Sappiamo che soprattutto a livello di IgG, quindi di risposta immunitaria secondaria, questi test si sono dimostrati molto efficaci, con un elevatissimo grado di specificità: questo significa che si possono ragionevolmente escludere dei falsi positivi. Sembrerebbe invece ridotta la specificità relativamente alle IgM: è anche vero che in caso di positività alle IgM, quindi di sospetto di infezione recente o in corso, si può confermare il risultato eseguendo un tampone, e verificando l’eventuale presenza di sintomi nell’individuo interessato. E’ infatti assai probabile che ci possa essere una coesistenza tra positività al tampone faringeo e presenza di anticorpi precoci IgM. Posta la complessità del discorso, i margini di errore possibile, le diverse sfumature di cui ho appena parlato e non da ultimo la necessità di inquadrare i risultati in un contesto più ampio dell’esperienza dell’individuo interessato, non sono per nulla favorevole a questa scelta di far eseguire i test a casa propria dall’utilizzatore finale: è altrettanto vero che, mentre in altre regioni è stata aperta da alcuni mesi ( in Emilia Romagna si è partiti poco dopo la metà di Ottobre) la possibilità di eseguire i test sierologici in farmacia, in regione Lombardia questa scelta non è stata seguita. Ritengo che nell’ottica, perseguita dalle autorità sanitarie, di conseguire l’ “immunità di gregge”, sia in prima battuta essenziale poter avere un dato più certo possibile del grado di propagazione dei contagi nel corso delle cosiddette “ondate”; questo per almeno due motivazioni:

  • Tentare di spiegare e razionalizzare le differenti “curve di contagio” in ondate successive: uno stesso territorio risponde in modo differente in tempi successivi? Se si, perché? Dopo quanto tempo le curve si ripetono e i contagi tornano a propagarsi?

  • Valutare in modo più certo le eventuali reinfezioni: un individuo che presenta ancora anticorpi prodottisi a seguito di pregresso contagio, può reinfettarsi? Eventuali recidive sono dovute ad assenza di anticorpi (non prodottisi per qualche motivo che è ancora troppo presto per poter comprendere, oppure spariti, posto che sappiamo che la carica anticorpale contro il COVID non è persistente) oppure a una mutazione del virus tale da non essere riconosciuta dalla batteria difensiva dell’individuo?

Ovviamente il discorso è assai più ampio di quanto io possa comprendere e spiegare ….però personalmente sento con forza che manchi in modo drastico un quadro epidemiologico chiaro…..quantomeno manca a noi, gente comune, che lo osserviamo dal nostro punto di vista. A titolo puramente esemplificativo, cito ciò che, mentre scrivo, leggo, ovvero una dichiarazione rilasciata da un autorevole infettivologo, assurto negli ultimi 10 mesi agli onori della fama nazionale anche da un punto di vista mediatico; egli afferma che vaccinare persone che siano guarite da COVID e presentino tuttora un congruo livello di anticorpi possa essere inutile al limite dell’essere potenzialmente dannoso (si smuove un sistema immunitario già attivato); orbene, posto che in linea di principio ha senso supporre che questo possa essere vero (pensiamo per esempio alle logiche di arruolamento delle vaccinazioni stagionali), non sarebbe più realistico e giusto poter scegliere i candidati alla vaccinazione selezionando in modo consapevole coloro che per primi ne hanno diritto? E’ però chiaro che se non si crea una banca dati attendibile dei pazienti guariti e il cui test sierologico sia ad oggi ancora positivo, questo criterio di selezione risulta semplicemente inapplicabile.

Veniamo ora all’ultimo capitolo, che è poi quello che all’atto pratico ci riguarderà in modo diretto, sia noi come farmacisti, sia voi come abitanti e clienti delle farmacie che, come la nostra, aderiranno alla richiesta del ministro della salute di eseguire i TAMPONI RAPIDI ANTIGENICI.

I tamponi rino/oro-faringei per la diagnosi di infezione da COVID si dividono principalmente in due grandi categorie:

  • TAMPONI MOLECOLARI: ricercano frammenti della catena nucleotidica di RNA del virus; sono estremamente precisi e sensibili, assai precoci nel ritrovare tracce di infezione prima ancora che il processo di replicazione virale e la colonizzazione dell'ospite possa realizzarsi; possono risultare positivi anche quando l'individuo non presenta più alcun sintomo e la malattia può dirsi superata; per questo motivo, in uno dei passaggi dei vari DPCM del mese di ottobre relativi all'argomento in questione, si è stabilito che un paziente asintomatico dopo 21 giorni dalla diagnosi di infezione, ancorché ancora positivo al tampone molecolare, possa essere reintegrato a tutti gli effetti nella società senza dover più sottostare a sorveglianza sanitaria: in questi casi si suppone che il risultato positivo possa essere imputabile alla persistenza a livello delle mucose di frammenti di RNA virale ormai non più in grado di replicarsi e quindi di infettare.

  • TAMPONI ANTIGENICI: del tutto analoghi ai precedenti nell'esecuzione, ricercano la cosiddetta proteina nucleocapsidica di SARS-COV2, che costituisce l'antigene, nel campione rilevato; il test si basa pertanto sulla reazione tra anticorpi monoclonali seminati sulla lastrina-test e gli antigeni del virus ritrovati nelle mucose del paziente; rispetto ai precedenti tendono a positivizzarsi qualche giorno più tardi, e negativizzarsi più precocemente al termine della malattia; si suggerisce di eseguire questi tamponi non prima di 72 ore dal sospetto contatto con paziente positivo (si rischierebbe un falso negativo a causa di un livello di antigene al di sotto della soglia di sensibilità del test)

I tamponi per SARS-COV2 hanno elevatissima specificità (ossia è assai improbabile riscontrare falsi positivi) ed elevata sensibilità (riscontrano anche tracce minime di presenza del virus), ma possono dare adito a falsi negativi se eseguiti troppo precocemente: a mio modo di vedere, un unico tampone negativo non dovrebbe essere considerato sufficiente per sciogliere ogni riserva, soprattutto in presenza di una sintomatologia riconducibile a sospetta infezione da COVID. In ogni caso, la cosa più giusta da fare è valutare il paziente nel suo contesto e confrontarsi con un professionista sanitario.

Mentre scrivo (siamo alla metà di gennaio), si stanno definendo gli ultimi dettagli operativi necessari per iniziare questo servizio e poterlo svolgere in modo sicuro, tracciato e rigoroso: si deve infatti subito chiarire che eseguire un tampone antigenico rapido nelle farmacie che aderiranno all'iniziativa non potrà essere in forma anonima, né il risultato del tampone, positivo o negativo che sia, essere tenuto nascosto alle autorità sanitarie locali; il primo passo, come è giusto e logico che sia data la rilevanza di ciò cui ci si accinge, sarà infatti l'arruolamento del paziente e l'inserimento dei suoi dati personali in un portale web dedicato e messo in comunicazione diretta con l'ATS locale. Se poi il risultato del tampone antigenico dovesse essere positivo, sarà nostro compito indirizzare direttamente il paziente presso un laboratorio accreditato per la conferma tramite il tampone molecolare: questo l'iter che Federfarma nazionale ha delineato di concerto con le autorità politiche e le regioni per assicurare il massimo rigore e l'aderenza a quanto si sta cercando di perseguire, ovvero ricercare, intercettare e isolare i contagi e i loro contatti recenti in modo più rapido possibile.

La strada per uscire dall'incubo sociale e sanitario che stiamo vivendo è ancora lunga, ma la direzione è chiara: ogni strumento possibile per monitorare al meglio la diffusione del virus, il grado di penetrazione nel tessuto sociale e gli effetti che può generare sulla popolazione in relazione alle diverse condizioni di partenza del paziente, deve essere sfruttato al meglio; informazione, sensibilizzazione sulle strategie e condivisione dei percorsi sono necessari per uscire tutti insieme e tornare a vivere in modo più normale possibile.

 

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