“Il sorriso è il miglior accessorio che una donna possa indossare” diceva una nota attrice britannica. Quello di Cristina Zambonini è uno di quelli contagiosi, che non puoi fare a meno di imitare tanta è la forza d’animo e la voglia di vivere che sprigiona. Eppure dietro a quel sorriso così sicuro di sé si cela un’incredibile storia di (doppia) rinascita, raccontata con il coraggio di chi ha saputo affrontare a testa alta le difficoltà. Cristina, 35 anni appena compiuti, di professione fa la interior design. Ma sulle spalle porta il peso di due trapianti di cuore.
Correva l’anno 2005. Cristina – nata e cresciuta a Domodossola, in Piemonte – è una ragazza come tante, sportiva, fresca di diploma e tutta la vita che si apre di fronte ai suoi occhi. L’idillio della sua giovinezza viene però spezzato da alcuni sintomi, preludio di una malattia ormonale molto rara – la Sindrome di Cushing – provocata da un tumore alla ghiandola surrenale destra. A diagnosticare la malattia era stato l’allora primario di Endocrinologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, dove viene operata. Nello stesso periodo, alla giovane viene diagnosticato anche il Morbo di Crohn, un’infiammazione cronica intestinale. “Eppure, quello – sottolinea Cristina – era soltanto il primo step del vaso di pandora che si nascondeva al di sotto”.
A gennaio 2006 la giovane compie 20 anni. Si sveglia una mattina e improvvisamente il respiro le manca. Inizialmente si tenta di imputare il tutto all’ansia, allo stress dell’operazione da poco superata. Ma qualcosa non convince suo padre, reduce da qualche mese di un problema cardiaco. Così Cristina viene portata direttamente in reparto. Diagnosi: cardiomiopatia dilatativa fulminante al cuore. In parole semplici, il suo cuore non riesce più a pompare il sangue nel corpo a causa di un ingrossamento ventricolare. “Non c’è nulla di confermato, ovviamente, ma il sospetto è che sia genetico visto che ha colpito anche mio papà – confessa Cristina –. E si presume anche che la Sindrome rara abbia accelerato il suo processo di manifestazione”.
Inizia un periodo di cure, nessun risultato, precipitosi i peggioramenti. Fino al ricovero d’urgenza all’Ospedale di Bergamo, “la mia amata Bergamo, dove mi avevano già guarito una volta”. Qui viene ufficialmente inserita in lista d’attesa per un trapianto di cuore. “Ai tempi non mi rendevo nemmeno conto di cosa volesse dire – racconta la giovane 35enne – vuoi l’ingenuità e l’arroganza dei 20 anni, vuoi la mia indole da inguaribile ottimista, però non pensavo alla morte. Ma in quel momento, in quel preciso momento, ho iniziato a realizzare la gravità della situazione. A consolarmi la consapevolezza che ero a Bergamo, dove mi sentivo sicura e in ottime mani”. L’attesa non è lunga: dopo poco più di un mese arriva un cuore nuovo per Cristina. Che ricomincia così a vivere.
“Mi sono incredibilmente ripresa subito, 15 giorni e già ero fuori dall’ospedale, mi sentivo benissimo” racconta Cristina, che durante la convalescenza ha soggiornato in Valle Brembana insieme ai genitori, a San Giovanni Bianco. “Nonostante tutto ho dei bellissimi ricordi, anche dei paesi della Valle, come San Pellegrino – confessa la giovane – Certo è stato un periodo molto complesso e difficile, ma al tempo stesso meraviglioso perché ritorni alla vita. È come nascere una seconda volta”. Per riprendersi dal trapianto ci vuole un anno, fra crisi di sonno, problemi fisici e pile di farmaci da assumere. Ma per Cristina è una liberazione e riprende con forza in mano i suoi meritati vent’anni.
Dopo tre anni inizia l’Università, il Politecnico a Milano, e si trasferisce. Vive da sola, si dedica agli amici, pratica ogni tipo di sport e da buona amante della montagna decide di scalare il Monte Rosa, poi prende e parte alla volta di Singapore per un intero semestre, da sola, rincorrendo quel desiderio di partire che la inseguiva ormai da anni. Poi si laurea, inizia a lavorare in Università come libero professionista e riesce a conquistare un piccolo sogno: lavorare all’Expo di Milano. Per nove anni si sente benissimo. Fino a quando un giorno, nel 2015, inizia a sentirsi strana. E prova dei sintomi che riconosce, “ma che inconsciamente rifiutavo” confessa Cristina.
“Per un paio di mesi ho accampato scuse, mi giustificavo. Imputavo tutto alla stanchezza per il lavoro, o l’aver mangiato qualcosa di pesante. Fra i primi sintomi che si legano al mio problema cardiaco, infatti, c’è una sensazione simile al mal di stomaco”. Expo finisce e Cristina decide di fare una visita di controllo. La diagnosi, però, è nefasta: un gravissimo rigetto in corso. Incurabile. Ma i medici decidono di provarci lo stesso. Così fra nuove cure, una biopsia dopo l’altra e ingressi in ospedale ogni settimana, “la mia vita va di nuovo in pezzi – racconta la giovane – Devo lasciare il mio lavoro a cui tenevo tantissimo e devo mettere in standby i miei clienti. Aumentando la mia sofferenza in maniera esponenziale”.
Il 2016 è un anno durissimo per Cristina, culminato nell’ennesimo ricovero all’Ospedale di Bergamo. La strada percorribile è una, quella del trapianto. La rimettono in lista d’attesa, ma le speranze sono poche e basse “quanto trovare un ago in un pagliaio”. La situazione è così grave che i dottori hanno fissano come ultimatum il lunedì successivo: reni e fegato erano ormai al collasso, sarebbe stato necessario ricorrere alla ECMO, la macchina cuore–polmone che sostituisce la funzionalità cardiaca e/o respiratoria. Era giovedì: “Me la stavo giocando tutta, un prendere o lasciare. Ma con molta serenità”. Il sabato accade il miracolo. Contro ogni probabilità, è disponibile un cuore nuovo per Cristina.
Il 26 febbraio 2017, a quasi dieci anni di distanza dal primo, alla giovane viene trapiantato un cuore nuovo. “La seconda volta è stata chiaramente un po’ più dura della prima, ho subito una serie di rigetti acuti – racconta Cristina – Sono uscita circa tre mesi dopo. Il progresso tecnologico fra le due operazioni si è sentito, ho sentito molto meno dolore la seconda volta. Però a livello psicologico l’ho vissuta meglio quando avevo vent’anni. Il 2016 è stato invece per me l’anno più brutto, intrappolata in quel limbo in cui non sai come andrà a finire. Dopo essere stata inserita in lista d’attesa c’è stata l’accettazione, con serenità certo ma anche difficoltà”.
A quattro anni dall’operazione Cristina è tornata a vivere per la seconda volta. Ha ripreso il lavoro, la passione per gli sport, yoga, meditazione, viaggi e la montagna, sogna di tornare sul Monte Rosa con il suo cuore nuovo. Nel frattempo insieme alle sue sei migliori amiche ha fondato la Onlus “Cuori 3.0”, mantenendo fede ad una promessa fatta a se stessa tempo prima. “Dopo il mio primo trapianto mi ero fatta una promessa: se mi fosse successo di nuovo e fosse andato tutto bene, avrei fatto qualcosa per gli altri, per “sdebitarmi” – confessa la giovane – E così ho fatto”.
Si tratta di un’iniziativa fresca ed innovativa, fuori dai canoni e dagli standard di categoria, dal taglio giovanile e leggero, più affine al paziente. Nata ufficialmente il 15 dicembre 2017, negli anni le ragazze – tutte giovani, dia 30 ai 35 anni – hanno organizzato eventi “fuori dal coro”, affacciandosi a realtà non convenzionali per raccontare la propria testimonianza ed arrivare ad un pubblico nuovo e giovane, sradicando certi tabù. “Abbiamo portato la nostra Onlus nei locali di Milano, alla settimana della moda, perfino alla fiera di Lucca Comics and Games – spiega Cristina – Abbiamo creato una sorta di community con altri trapiantati in cui condividere le proprie esperienze e dare un aiuto peer-to-peer, anche attraverso la realtà dei social”.
Da tutte queste campagne di sensibilizzazione sono nate delle raccolte fondi con cui finanziare progetti, tradotti in acquisto di beni e servizi per gli ospedali, e nel periodo del Covid anche per i pazienti malati. Un altro importante progetto organizzato dalle giovani tocca direttamente anche l’Ospedale di Bergamo, a cui Cristina è particolarmente grata: si chiama “Rifugio del Cuore” e si occupa, in collaborazione con gli assistenti sociali, di individuare damiglie in situazioni di fragilità che devono seguire i propri figli con problemi di cuore e in attesa di trapianto. A loro viene finanziata in parte la permanenza nelle strutture di accoglienza e viene dato un supporto economico.
La mission principale, il perno di tutto, resta però la sensibilizzazione alla donazione e all’iscrizione ad AIDO. “Anche una sola adesione è preziosa – conclude Cristina – Io devo veramente tanto ad AIDO. È un lavoro che dà la vita, letteralmente. La malattia mi ha aiutato a vedere le cose in maniera ancora più positiva e questo è il grande “regalo” che ho potuto ottenere. Ti lascia una visione della vita molto più concentrata sulle piccole cose di tutti i giorni. I problemi ci sono, ma non serve soffermarsi su quelli. Tutto si sistema. Anche a Bergamo però devo molto. A chi me lo chiede, infatti, sottolineo sempre che sono nata una volta a Domodossola e due volte a Bergamo. Perché per me è ormai diventata la mia città del cuore. Anzi: dei cuori!”.
(Foto in evidenza di Gabriele Croppi)