Con la testa in Francia, ma i piedi saldi in Valle Brembana: Ludovico Monaci, trent’anni, vive da un anno a questa parte a Grenoble: Oltralpe si occupa di ricerca e oggi ci racconta la sua esperienza.
“Vengo da Branzi e ho studiato Lettere per tre anni a Bergamo. Il primo anno mi sono trasferito a Zogno: Paolo, un mio amico, aveva casa lì e vivevamo insieme – spiega Monaci –. Gli ultimi due anni sono andato a Bergamo, da solo in un appartamento. Dopo la laurea, ho deciso di studiare a Padova, una magistrale in studi di italiano e francese: era un corso inter-ateneo, condiviso tra l’università di Padova e quella di Grenoble, il titolo di laurea vale in entrambi i paesi”.
Un percorso di studi che ha permesso a Ludovico di coltivare la propria passione: “Fin dalle medie mi è sempre piaciuta la letteratura: un giorno, per caso, ho aperto una copia de ‘I fiori del male’ che mia mamma teneva in casa. Da lì è proseguita questa passione, prima con la triennale, poi con due tesi e un dottorato su Proust, di cui mi occupo anche ora. Si può dire che è lui i fil rouge della mia esperienza”.
Esperienza che è poi proseguita oltralpe: “Ora sto appunto seguendo un dottorato a Grenoble, tornerò a novembre in Italia, ma vorrei sempre tenere un piede in Francia. Branzi resta comunque il mio punto di riferimento, come la mia famiglia”. Del resto, secondo Monaci, il distacco tra i due paesi non è netto: “Siamo molto vicini all’ambiente francese, come preparazione il livello universitario medio italiano è più alto, ma dal punto di vista accademico in Francia c’è forse maggior coinvolgimento. Alla fine, ci separano le Alpi, ma condividiamo più o meno la stessa cultura. Questa cosa mi è piaciuta, i francesi non sono così snob come li immaginiamo, forse qui a Grenoble sono più accoglienti perché c’è una forte minoranza di italiani e sono abituati allo scambio. Non c’è questa grande differenza, alla fine”.
“Forse qui manca la convivialità legata ai pasti” aggiunge, “in Italia la tradizione della famiglia riunita è molto forte, la vedo sempre quando rientro. In ogni caso, il cibo francese se la cava molto bene. Nell’immediato, direi che mi mancano alcune sensazioni che avevo a casa: a me piace molto andare in montagna, fare escursioni al rifugio Calvi o ai laghi Gemelli, insomma le mie zone. Mi manca quel momento di pausa, a volte ne avrei bisogno ma ovviamente non posso prendermelo, anche se Grenoble è a ridosso delle Alpi”.
Una città che, racconta, Ludovico “Non è cara come Parigi, fortunatamente i costi sono diversi, nella capitale le spese sono differenti. La ricerca in ambito letterario mi ha sempre affascinato, quando stavo a Padova volevo essere autonomo e quindi lavoravo in bar e gastronomie: diciamo che il dottorato è una sorta di premio personale”. Fare ricerca significa confrontarsi con i colleghi, un rapporto umano che il Covid ha rischiato di interrompere. “Io ho avuto la fortuna di poter lavorare in digitale, i testi che volevo consultare erano già caricati in rete: certo è stato uno shock, ma tra colleghi c’è stata grande coesione. La ricerca è stata molto colpita, ovviamente non come la ristorazione, ma è stato un bel colpo. Lavorare da casa non è come farlo dal vivo, assolutamente: non si può condividere la propria attività con gli altri, è limitante. Mancava la socialità, quella condivisione leggera che amalgama le persone. Per quanto l’università possa essere pronta a intervenire nel momento di crisi, il lavoro da remoto non è lo stesso che in presenza”.
La stessa condivisione passa anche attraverso il racconto delle proprie radici. “Mi capita di raccontare aneddoti sui miei luoghi, sui posti che conosco o sulle persone che ci abitano. L’esperienza all’estero è un momento da sfruttare, permette di confrontarsi con gli altri e con se stessi: io ho quest’idea, quando cresci senti una chiamata da fuori, allora porti la Valle nel mondo, la tua esperienza viaggia con te ed entra nel rapporto con gli altri”.