Nicoletta, a Barcellona per aiutare altri emigrati italiani: ”In Valle Imagna ho imparato il sacrificio”

Originaria di Sant'Omobono, dal 2007 a Barcellona dove lavora come psicoterapeuta. ''Nelle Valli c’è una dimensione del lavoro più come sacrificio, mi ha aiutato a crearmi qua la mia professione''
25 Settembre 2021

C’è chi si trova con le valigie in mano da un giorno all’altro, persone che partono prima ancora di aver deciso di farlo, è c’è chi invece segue un percorso più lineare, perché sa già che l’estero sarà la meta a cui ambire. È questo il caso di Nicoletta Roncalli, originaria di Sant’Omobono Terme ma ormai pienamente stabilita in Spagna. “Sì, vivo a Barcellona dal 2007. Ho scelto questo Paese perché quando ero all’Università ho fatto l’Erasmus a Salamanca: da allora la Spagna mi è rimasta dentro, mi avevano molto affascinato la lingua e la cultura spagnole. Mi sono laureata in psicologia e avevo l’intenzione di tornare là, ho fatto un Master a Padova che dava l’opportunità di fare un tirocinio all’estero”. Trovare un posto, per Nicoletta, non è stato facile.  “Mi sono data da fare, l’unico posto disponibile era un ospedale a Barcellona: io dico che è la città che ha scelto me, perché l’unica che ha risposto è stata proprio una psicologa di Barcellona. Avrebbero dovuto essere quattro mesi di tirocinio, anche se avevo già in mente di fermarmi”.

Un percorso già programmato, Nicoletta (39 anni ancora per qualche giorno) aveva ben chiaro dove la sua strada l’avrebbe portata. “Io stavo cercando il mezzo per partire, alla fine ero quasi disperata, non c’era nessuno che offrisse uno stage. Barcellona mi preoccupava per la lingua catalana, poi con il tempo è andato tutto bene, il castigliano si parla tanto, specie in alcune zone. Sono passata da un piccolo paese a Barcellona, un po’ difficile paragonarle, mi ha colpito molto la multiculturalità, è una città con persone da tante parti del mondo: c’è grande apertura rispetto a certe tematiche”.

I vantaggi della metropoli non si fermano qui. “Nel mio ambito professionale c’è molta l’offerta di studi, esperienze, formazioni, si ha un ampio ventaglio di possibilità. Ci sono teatri, corsi, esposizioni d’arte… tutto questo porta grande libertà, mi è sembrato di respirare meglio, qui si può essere quello che si vuole: ad esempio, si è più liberi nel vestire, nessuno ti giudica per questo. Diciamo che si è più invisibili, nel bene e nel male. La grande città porta inevitabilmente a una sensazione: Alla fine, sei uno tra tanti, ti manca la realtà di paese, di conoscersi, fare due parole con qualcuno: al paese sei scritto in una storia, qua devi scrivertela tu, è la non appartenenza”.

“All’inizio” racconta Nicoletta “è normale sentirsi così, poi si costruiscono le amicizie e, nel mio caso, una famiglia. Ho un compagno che ho trovato sul mio percorso, lui è francese ed abita qui da tanti anni, ora abbiamo una bambina di due anni”. La vita di Nicoletta sembra dunque basarsi stabilmente all’ombra della Sagrada Famiglia.

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“Non ho mai avuto l’idea di rientrare, adesso poi sarebbe molto difficile, ci stiamo creando la nostra dimensione qui. Entrambi abbiamo il lavoro a Barcellona, questa è la mia casa. Nelle Valli c’è una dimensione del lavoro più come sacrificio, mi ha aiutato a crearmi qua la mia professione, ma ha i suoi limiti, non c’è solo quello. Io qui ho trovato tante altre cose, il piacere di divertirsi, di stare con gli amici”. A proposito di lavoro, Nicoletta è una psicoterapeuta impegnata proprio sul tema delle migrazioni.

Lavoro tantissimo con gli italiani che vivono qua, ovviamente la lingua mi risulta più facile: qui ci sono parecchi connazionali. Di solito, tocchiamo tematiche come la relazione con la famiglia che sta in Italia, questo avvicina me con il paziente, a livello di percorsi le difficoltà sono comuni”. Nonostante quello di Nicoletta sia un percorso liscio, “le difficoltà ci sono, indubbiamente. È difficile, ad esempio, avere i genitori in Italia: per fortuna, i miei fratelli mi aiutano perché stanno in patria e si occupano di loro. Io sento che la realtà in Spagna è la mia, mi piace tornare in Valle Imagna, qualche volta, ma sento che non è il mio posto: c’è sempre questa dimensione del migrare: partir, che in castigliano vuol dire dividersi, ti senti diviso tra due terre e te lo porti dietro. Ci si convive, io comunque ho le radici a Sant’Omobono, diciamo che mi sento una pianta aerea, ho radici che mi permettono di stare qui e là. Io ho avuto fortuna, perché il mio percorso professionale mi porta a conoscere persone del posto, ti apre e ti espone, si creano relazioni forti: conosco tante persone che dopo tanti anni non ne hanno, Barcellona per molti è una città di passaggio”.

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