Bruno Zanchi, la storia della mountain-bike viene da Zogno

Zognese, classe ‘73, Bruno ha una lunghissima storia nel mondo delle ruote fuori strada. Meglio ancora, può dire di esserci stato fin dall’inizio.
29 Gennaio 2022

Sono poche le persone che riescono a guadagnarsi lo status di monumento di qualche sport. Vuol dire aver dato, a quella disciplina, un contributo fondamentale, facendola crescere ed evolvere nel tempo. Ecco, per la mountain bike e la bicicletta in generale, questa definizione ben si adatta a Bruno Zanchi. Zognese, classe ‘73, Bruno ha una lunghissima storia nel mondo delle ruote fuori strada. Meglio ancora, può dire di esserci stato fin dall’inizio.

Mi sono avvicinato alla mountain bike a 16 anni, nell’età delle scuole superiori. Erano le prime bici, le ‘rampichino’, mi hanno subito interessato. L’idea di ogni ragazzino era di avere il motorino allora, ma i miei mi hanno fatto scegliere tra quello e una bicicletta e sono andato sulle bici”. Inizia così una storia d’amore veramente inossidabile. “Ho cominciato a pedalare, mi piaceva e avevo un contachilometri per fare sempre meglio, fino a fare chilometri importanti, nell’ordine dei 60 al giorno. Un po’ ero portato per fare questo tipo di sport, così sono arrivare le prime gare, il primo anno ho vinto il campionato di cross country, la disciplina in cui si pedala di più, ma si era capito che sarei andato meglio in downhill”. La crescita sportiva di Bruno in quanto rider va di pari passo con quella del suo sport in generale.

Sono nati i primi campionati del mondo, al primo ero infortunato e non ho fatto la selezione, dal secondo ho partecipato e credo di averne fatti una ventina di fila. Ho avuto la fortuna e la bravura, nel ’91, di vincere Europeo e Mondiale juniores, con la Bianchi, con presidente Gimondi. È in quel periodo che è nata la mia carriera Sono stati gli anni più importanti a livello di prestazioni, si vendevano anche tante bici, siamo andati ovunque, 4 tappe erano in America e 4 in Europa, dunque abbiamo girato il mondo a visto tracciati diversi”.

Ovviamente, in uno sport di questo tipo i rischi fisici sono importanti. “Ho avuto qualche infortunio pesante, ginocchia, clavicole, diciamo che non è lo sport più morbido”. In ogni caso, i risultati sono arrivati. “Nel ‘95 ho vinto una tappa della coppa del mondo in Svezia nella categoria Elitè, poi nel ‘98 un altro Europeo, ma da lì sono venute a mancare le gare più importanti: c’erano tanti ragazzi giovani e dopo gli infortuni il fisico non era più predisposto al rischio. In discesa una fetta importante è quella, prendersi rischi per andare forte”.

Nel ’98 mi sono trasferito a Finale Ligure perché la Bianchi ha smesso di fare downhill. Allora ho iniziato a correre per la Santa Cruz, con bici molto particolari. Oggi è il punto di riferimento per il mondo della discesa. Era una società agli inizi e si è sviluppata in un certo modo. La mia bici del ’98, oggi, è nel museo dell’azienda accanto a quella dei grandi campioni dello sport, la prima che ha avuto successo fuori dal mercato europeo è stato quel modello”. Inizia così l’avventura con quello che oggi è il Team Fristads Mondraker Comes: all’inizio un po’ più a livello amatoriale, ma in costante evoluzione. “Oggi l’attenzione si è spostata sull’enduro, incrocio tra cross country e downhill: per me, dovrebbe essere il 34^ anno in cui gareggio, sono il più longevo dei piloti che ancora pratica mountain bike. Ho fatto davvero tante gare, in Finlandia, in Australia, in Québec, ma sono più quelle che ho perso, ovviamente”. Una vita sulle due ruote, tantissima esperienza che ora Zanchi mette al servizio degli atleti più giovani. “Ora sono impegnato in questa squadra di ragazzini, ma sono anche stato tra gli organizzatori di un circuito privato per la discesa in Italia, abbiamo fatto qualche gara anche nella Bergamasca, ho sempre cercato una mediazione con i nostri paesi e sono convinto che lo sviluppo della bici ci darà tante gioie. Basta guardarsi intorno, la bicicletta è un’attività che sta dando soddisfazioni, anche per chi lavora nel segmento”.

0303692a e3fd 4265 a4fc df9ff67c8ae3 - La Voce delle Valli

Il punto di vista privilegiato di Bruno permette un’analisi delle due ruote nel tempo. “Diciamo che la storia è lunga, dalle bici pesantissime con grandi ammortizzatori, a mezzi che si potessero usare per risalire pedalando, con mezzi più leggeri e rapporti per la salita. Una bici da 24 kg dava stabilità, ma serviva ridurre il peso per renderle più veloci, con carbonio ed alluminio. L’evoluzione incredibile è l’e-bike: ha spaccato il mercato, ha creato una situazione per cui il biker medio, che magari non è mai andato in bici, si diverte come pochi, può andar a vedere posti bellissimi senza troppa fatica, mentre chi già praticava può fare il doppio dei chilometri per divertirsi scendendo. La richiesta di mercato è altissima”. Un’occasione che andrebbe sfruttata per rilanciare il turismo vallare.

Occorrerebbe attenzione da parte degli enti per fare percorsi percorribili, da noi i posti sono molto tecnici, in altre regioni le pendenze sono più dolci. Quando ti approcci al fuoristrada non è facile, si parte dall’impervio”. In ogni caso, che siano elettriche o no, la passione di Bruno per le bici non conosce limiti. “Io da ragazzino ero già portato, poi vedevo le moto da trial durante le vacanze in Valtellina e mi piacevano, perché facevano su e giù dalle mulattiere. Le due ruote le vedevo così, quando sono uscite le mountain bike era il mio ambiente: tutt’oggi mi diverto a fare fatica, anche su strada, sto in giro giornate intere, ovviamente preferisco il fuoristrada perché dà grandi soddisfazioni. Mi diverto sia con l’e-bike sia con la muscolare, ma tutto ciò che ha due ruote, due freni e una sella è un divertimento folle”.

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