Ci sono mestieri che affondano le proprie radici indietro nel tempo, con tradizioni antiche, tecniche e linguaggi che ancora oggi resistono, portate avanti da chi li ha raccolti. È il caso di Pietro Invernizzi, che ha dedicato la propria vita alla lavorazione della pietra. Una dedizione che gli è valsa, nel 2019, il titolo di Cavaliere Al Merito della Repubblica Italiana (leggi qua) mentre nel 2020 è apparso anche su Striscia la Notizia all’interno della rubrica Paesi e Paesaggi di Davide Rampello.
“Ho 67 anni, vengo da Corna Imagna. Di cosa mi occupo? È difficile da spiegare, è complicato, bisognerebbe vedere di persona quello che faccio – ci racconta Pietro –. Normalmente faccio il restauratore, soprattutto con dei lavori un po’ particolari. In sostanza lavoro la pietra, ma in modo più raffinato, faccio recuperi del vecchio, restauri di legno, pietre eccetera. Costruisco anche i muri a secco, normali, faccio pietra lavorata, da ornamento eccetera. L’attività è un po’ vasta” e a tutto questo Invernizzi aggiunge un proprio interesse personale. “Io ho l’hobby del fare le cose di pietra in miniatura, come delle piccole statuette: per fare una scultura ci vogliono anche mesi, mi piace molto”.
Una passione che il nostro artigiano e artista si porta dentro da anni. “Diciamo che nasci già con questa arte dentro, quando sei giovane magari sei obbligato a farlo per l’edilizia, dunque devi andare con le imprese sui cantieri che loro seguono, non riesci a fare quello che vuoi. Dopo il militare ho iniziato ad appassionarmi alla lavorazione della pietra, prima da autodidatta: mano a mano si impara, sono arrivato a realizzare un pezzo della Basilica di Santa Maria Maggiore, quindi qualcosa l’ho imparata. Non è una cosa che si improvvisa – chiarisce –: io fin da piccolo avevo la ‘mania’ della pietra, negli anni ’70 questo materiale è stato abbandonato nella costruzione, per poi riemergere negli anni ’80. In quel momento mi ci sono dedicato molto. Non mi occupo molto di quei lavori che si fanno normalmente, un muro in pietra lo fanno tutti, io vado per le cose particolari”. È qui che emerge un termine particolare, una parola che Invernizzi usa a proposito della propria attività: “pecapride”.
“Pecapride è un nome tradizionale, quello che oggi è il muratore: all’epoca, però, poteva usare solo le pietre, è il senso del lavoratore di una volta. Cento anni fa per l’edilizia c’erano solo pietra, legno e ferro: adesso ogni cantiere ha il suo materiale nuovo e diverso, è una cosa molto più complessa. Io non lavoro più sui cantieri, magari solo per dare una mano, ma nella mia impresa edile l’ 80% di ciò che facciamo è recupero. Ovviamente, per poter dare lavoro a tutti quelli che lavorano nell’impresa ci occupiamo anche di cose più tradizionali”. La vocazione del nostro pecapidre, come si è capito, non è l’edilizia in sé. “A me piace essere anche artista, dipingo, scolpisco. Mi piace tutto di quello che faccio. Sto restaurando una facciata del ‘400 a Sotto il Monte, mi attrae quel tipo di lavoro, mi sono appena occupato di una torre degli anni 1000 a Piacenza: ho rifatto il tetto, ma anche pavimenti più complicati”.
La qualità del lavoro è al primo posto, nei pensieri di Invernizzi. “Abbiamo una linea di lavoro diversa dalle altre imprese, sicuramente, per permettersi alcuni lavori servono soldi. Io faccio da me le malte che uso, quelle che si comprano non riescono ad essere maneggiate nel modo giusto, ma per capire come fare ho dovuto studiare. Prima di mettere le mani su un edificio, devi sapere cosa stai facendo, in Valle Imagna nessuno fa un restauro con questi principi”. La qualità che deriva da decenni di pratica e ricerca non si può dunque replicare. “Un lavoro eseguito dal restauratore e quello eseguito da un muratore sono diversi, si vedono da lontano. Anche sulle piccole cose, le vedi se le ha fatte uno o l’altro, i gesti sono diversi, la cultura anche. Se non si conosce la cultura del posto, si finisce per fare delle facciate che non c’entrano niente, che magari nemmeno si riescono a eliminare: quando l’edificio è fatto, è fatto”.
Un know how, si direbbe adesso, che sembra riuscire a scavalcare i confini tra le generazioni. “Io ho due nipoti che si occupano di queste cose con me, i giovani si appassionano ancora, certo serve tanta dedizione per farlo, sono lavori un po’ diversi dal comune: la soddisfazione deriva da quello. È una nicchia in cui mi sono buttato 25 anni fa e da allora ho sempre lavorato”. Chiarisce Invernizzi: “La mia non è per un’impresa da cento operai, ma nella Bergamasca ho sempre lavorato, non mi sono mai accorto di crisi particolari, a volte il volume di lavoro diminuisce, ma c’è sempre. Mi sono fatto conoscere, dunque chi vuole lavori particolari, come delle colonnine su misura, mi chiama: chi se ne intende vede la differenza tra qualcosa fatta da me e quello fatto da chi magari non se ne intende, ovviamente opere di questo tipo hanno un costo”.
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