Covid, ancora tu? Non dovevamo non vederci più?

E’ davvero ancora il caso di parlare di Covid? Ma come? Sembra incredibile, dato che di fatto stiamo sostanzialmente vivendo una vita quasi tornata alla normalità, eppure...
2 Settembre 2022

Nuovo numero della rubrica dedicata alla salute a cura di Michele Visini della Farmacia Visini di Almè

E’ davvero ancora il caso di parlare di COVID? Ma come? Sembra incredibile, dato che di fatto stiamo sostanzialmente vivendo una vita quasi tornata alla normalità, eppure, dal mio punto di vista di operatore sanitario impegnato quotidianamente sul territorio, direi proprio di sì…è decisamente ancora il caso di parlarne per provare a capire meglio cosa realmente stiamo vivendo. Forse la maggior parte di coloro che leggeranno nel titolo questa parola, questo nome, queste cinque famigerate lettere che sono state, da trenta mesi a questa parte, il nostro principale compagno di viaggio di ogni giorno, avranno una reazione di fastidio e insofferenza, e saranno tentati di interrompere subito la lettura e abbandonare queste righe.

Credetemi, vi capisco: io per primo sono stufo di parlarne! Tuttavia, nella pratica quotidiana del mio lavoro in farmacia, che ancora comprende, sia pur in misura minore, l’esecuzione dei tamponi antigenici, riscontro e raccolgo dubbi, domande, perplessità, confusione, tanto che ritengo possa essere utile raccogliere in queste righe alcune considerazioni, le stesse che condivido quotidianamente con i pazienti rispondendo alle loro domande e confrontandomi con loro, non solo nel momento dell’esecuzione dei tamponi ma anche nel lavoro al banco in farmacia.

DOVE SIAMO? A CHE PUNTO SIAMO ARRIVATI?

Sono passati due anni e mezzo da quando, ad inizio 2020, ha iniziato a farsi largo nella nostra vita ciò che in brevissimo tempo sarebbe riuscito a sbaragliare tutti noi, tutta la nostra quotidianità e tutte le nostre certezze. La primavera del 2020 sarà infatti ricordata negli anni a venire come il momento in cui il nostro mondo è stato sconvolto da una nuova, improvvisa, irrefrenabile ondata di infezione virale: SARS-COV-2 è arrivato, ci ha stesi, ha fatto danni incredibili e realmente incalcolabili (nel senso più stretto del termine: a dispetto del reiterato sciorinamento quotidiano di numeri, sappiamo con certezza che la stima effettiva delle infezioni è e sempre sarà NON stimabile) e non se ne è più andato, e probabilmente non se ne andrà mai più. Sì, perché questa è forse la prima delle questioni che credo sia bene subito chiarire: il COVID non ci abbandonerà per molti anni, forse per sempre.

Ma allora, se non possiamo sconfiggerlo e non riusciamo a liberarcene, per cosa abbiamo fatto tutti i sacrifici di questi due anni? Gli isolamenti, le quarantene, le mascherine, le restrizioni, le vaccinazioni (argomento dolente e quanto mai strumentalizzato da ogni parte!), le rinunce? A cosa è servito tutto quanto? Come è possibile che tutto sia stato apparentemente vano? Più ancora, ma è stato davvero tutto vano? La risposta a mio parere è chiaramente NO, non è stato affatto tutto vano anche se probabilmente avremmo dovuto accettare molto prima (forse già almeno 6 mesi fa) che la sola via percorribile possa essere la convivenza con il virus, così come hanno fatto molti paesi europei.

La situazione attuale è quella di una diffusione capillare, irrefrenabile, irrintracciabile (e quindi per questo non stimabile) di un virus che in due anni è enormemente cambiato. Il susseguirsi di sigle e nomi attribuiti alle varianti che si sono succedute in questi due anni, a prescindere dal tono spesso catastrofico delle notizie pompate dagli organi di stampa, ha visto mutare il quadro sanitario e la situazione di emergenza e criticità sociali in modo eclatante: il virus che abbiamo conosciuto nostro malgrado ad inizio pandemia non è che un lontano parente del virus attuale, di cui porta il nome ma di cui non ricorda nemmeno lontanamente la capacità patogenica e la virulenza. E questo non può essere contestato, anche se molti, purtroppo, non lo hanno ancora capito. Non mi addentrerò in argomentazioni scientifiche e dettagli tecnici poco comprensibili: l’intento è quello di “parlare” a tutti, condividendo, come ho sempre fatto, il mio punto di vista. Come sempre, parlo a titolo personale per cui mi assumo in pieno la responsabilità delle affermazioni che leggerete.

Consentitemi un brevissimo excursus di carattere generale: come nel caso di tutti i microrganismi patogeni, possiamo grossolanamente classificare anche il Covid in ragione di due elementi:

  • INFETTIVITA’ (la capacità di infettare un ospite e la facilità di trasmissione da un individuo ad un altro)
  • VIRULENZA (la capacità di generare sintomi e provocare uno stato di malattia nell’ospite infettato)

Nel corso di questi due anni, abbiamo assistito a quattro sostanziali macroversioni del COVID: la prima, quella diciamo “originale”, quella che ci ha fatto un male tremendo, la ALFA, la DELTA e la OMICRON, ciascuna delle quali rideclinata nelle miriadi di sottovarianti, che altro non sono se non mutazioni fisiologiche cui tutti i virus vanno incontro costantemente nel loro processo di replicazione (base del loro processo vitale). Recentemente mi è capitato di ascoltare con enorme interesse un video postato su Youtube da un filosofo evoluzionista bergamasco lo scorso autunno: nel video si spiega il percorso delle varianti da un punto di vista evoluzionistico; questo approccio consente di capire per quale ragione il susseguirsi delle mutazioni successive ha fino ad ora portato ad un andamento proporzionalmente inverso dell’Infettività (via via crescente) e della Virulenza (via via sempre più lieve). I virus mutano per perpetuare il proprio ciclo vitale, e in quanto parassiti necessitano di un adattamento all’ospite: senza addentrarci nelle questioni legate alla possibile origine del SARS-COV-2, è assolutamente chiaro che due anni e mezzo fa né noi, né lui eravamo minimamente preparati gli uni all’altro…la conoscenza reciproca è stata devastante! Tutte cose che sappiamo e che ben ricordiamo, talmente bene che ancora non riusciamo a liberarci della paura, degli echi delle sirene, del silenzio di malattia e di morte che riecheggiava nei giorni della primavera del 2020. Oggi però le cose sono cambiate…e DOBBIAMO PRENDERNE ATTO!

Il COVID si è presentato a noi come un virus pro-infiammatorio a carico dei tessuti polmonari (che infiltrava e distruggeva) ma soprattutto a carico del cosiddetto tessuto endoteliale dell’apparato circolatorio: l’enorme tasso di morbidità e mortalità iniziale è stato determinato da eventi circolatori (trombi ed emboli) molto più che squisitamente respiratori. Oggi il COVID è assimilabile a una delle tantissime virosi della alte e medie vie respiratorie, ed in ragione di ciò induce nei pazienti un quadro simile alle tante forme parainfluenzali che conosciamo e con le quali conviviamo molto tranquillamente da sempre: febbre, tosse (stizzosa), raffreddore, mal di gola. La sintomatologia riferita dalla stragrande maggioranza dei pazienti che incontriamo in farmacia da fine 2021 ad oggi è sostanzialmente questa, con prognosi quasi sempre benigne e remissione della sintomatologia entro i 4-5 giorni. Qualcuno potrebbe obiettare che il numero dei morti e dei ricoverati è ancora molto alto…ed è vero!

Tuttavia ciò che deve essere compreso è che non è dato a sapere quale sia il reale grado di incidenza diretta dell’infezione da COVID su pazienti che si aggravano o che decedono: la quasi totalità dei casi gravi oggi riguarda infatti pazienti molto anziani o fragili (le eccezioni esistono, ovviamente, ma come sempre confermano i trend e le regole), con un quadro patologico pregresso. E allora questi morti quotidiani??? Con certezza noi sappiamo che sono persone che al momento del decesso avevano un tampone positivo al COVID, ma quale sia stato il reale impatto del virus nel determinarne il decesso non è dato a sapere. Questo è un concetto chiaro e deve essere compreso, e sarebbe assolutamente fondamentale che tutti gli attori del sistema sanitario a tutti i livelli, si sforzassero di farlo comprendere alla gente; peraltro, in molte interviste rilasciate da medici ospedalieri in diversi organi di stampa nel corso dei mesi scorsi ho personalmente potuto ritrovare queste parole. Affermazioni come “il tasso di mortalità del primo trimestre 2022 è sovrapponibile a quello ritrovato nello stesso periodo del 2017 quando l’influenza stagionale si era dimostrata un po’ più aggressiva” aiuterebbe ad approcciare in modo diverso la questione del numero dei morti.

Affermazioni come “non ricoveriamo praticamente quasi più in terapia intensiva pazienti solo per COVID senza altre problematiche collaterali o pregresse” consentirebbero alla gente di essere meno prigioniera della paura. Affermazioni come “esiste una zona grigia non facilmente stimabile che impedisce di capire in quale misura una infezione acuta, che si somma ad una situazione già compromessa, incida nel provocare decessi o prognosi gravi” cambierebbe drasticamente l’approccio al COVID e alla sua natura di virus letale. Esempi come quelli citati li ho personalmente ritrovati in organi di stampa locali, quindi a disposizione di tutti. Questo non significa che non ci saranno mai più morti né ricoveri né malati che si ritrovano ad aggravarsi se infettati: è assolutamente certo che assisteremo ancora a questi casi. Come detto sopra, la differenza sostanziale rispetto a due anni fa è che oggi la prognosi è quasi sempre proporzionale al grado di salute pregressa. Questo è un concetto che di fatto conosciamo da sempre e che chiunque di noi ha avuto modo di sperimentare con uno o più conoscenti o magari in modo diretto: le persone fragili sono soggetti a rischio SEMPRE in presenza di possibili sovra infezioni, non solo in conseguenza del COVID!!! Socialmente, questo concetto lo abbiamo sempre sostanzialmente sottostimato, ma chi opera nel settore sanitario, o chi lo ha sperimentato con un conoscente o un congiunto, lo ha sempre saputo.

COSA POSSIAMO/DOBBIAMO FARE?

In primo luogo dobbiamo accettare di conviverci, non abbiamo scelta! Per fortuna/purtroppo (come spesso avviene, l’interpretazione dei fatti, quali essi siano, dipende dal punto di osservazione da cui ci si pone) il virus ha trovato il modo di sfuggire ai nostri innumerevoli tentativi di circoscriverne la diffusione. Ogni tentativo di attuare misure restrittive, protocolli di tracciamento, isolamenti, ecc… si è rivelato inefficace ai fini del tracciamento del contagio, saltato per aria già a metà dello scorso dicembre (così come dichiarato a suo tempo dalla consulta delle regioni….e così come confermato in modo eclatante dall’aumento esponenziale del numero dei “casi di positività” riscontrati ogni giorno da qualsiasi operatore addetto all’esecuzione dei tamponi…tra cui noi farmacisti in prima battuta).

Il virus infetta sempre di più (crea quindi “casi di positività”) inducendo però un tasso di patologia via via sempre più lieve, con conseguente crescita esponenziale del numero degli asintomatici….è divenuto per questo virtualmente impossibile da rintracciare e quindi da arginare (ammesso che sia mai stato possibile farlo, se è vero come è vero che anche nella prima versione del 2020 abbiamo avuto notizia di moltissimi asintomatici o pauci-sintomatici). Gli asintomatici sono ovviamente lo strumento tramite il quale il virus si è diffuso e si diffonderà in questo modo! Non possiamo farci nulla. Non ci sono colpe. Non ci sono lacune del sistema. Non ci sono difetti procedurali. Non ci sono furbi che se ne fregano e vanno in giro infettando chi li circonda infischiandosense di tutto e tutti senza il minimo senso civico. Nulla di tutto ciò. Semplicemente non ci si può fare nulla se non accettarlo e tornare a fare ciò che abbiamo sempre fatto: curare i malati, che non sono quelli che hanno un tampone positivo, ma sono quelli che presentano un quadro sintomatologico. Il virus circolerà, che noi lo accettiamo oppure no: ed era assolutamente scontato che l’arrivo dell’estate e l’enorme incremento di eventi sociali di aggregazione (concerti, feste di paese, campeggi dei ragazzi, centri estivi per bambini e non, vacanze, ecc….) sarebbe stata una meravigliosa occasione (del tutto prevedibile) di diffusione del contagio.

TAMPONI: SERVONO?

Prima di rispondere a questa domanda, cerchiamo di capire cosa sia davvero un tampone: è uno strumento diagnostico, ad elevata specificità, cioè consente di dare una risposta certa relativamente alla causa di un quadro sintomatologico, e di capire se l’individuo ha o meno contratto una particolare infezione. Ovvio, direte voi….sì, assolutamente sì. Ma a cosa serve fare diagnosi specifica? A cosa serve sapere se l’individuo sottoposto al tampone ha o meno contratto quella particolare infezione? Da un punto di vista sanitario, nel caso di una infezione virale e di un focolaio epidemico, gli obiettivi potrebbero essere due:

1. Orientare la terapia
2. Circoscrivere la diffusione del focolaio

In ragione di queste considerazioni (applicabili peraltro non solo al COVID, ma anche a qualsiasi altro microrganismo patogeno in grado di sviluppare un focolaio epidemico….anche solo la semplice influenza), la risposta alla domanda del titolo potrebbe essere “dipende”: dipende a chi e perché lo si fa! Esiste una terapia specifica? Sì, si chiama PAXLOVID ed è un farmaco antiretrovirale, prescrivibile e somministrabile solo a pazienti ben definiti, con un quadro pregresso già compromesso. Se non è per tutti il farmaco, perché dovrebbe essere per tutti la diagnosi specifica? Se, come detto, nella stragrande maggioranza dei casi il quadro sintomatologico conseguente ad infezione da COVID è, ora, sovrapponibile ad una qualsiasi virosi parainfluenzale, e come tale viene gestito da un punto di vista terapeutico, allora il primo dei due punti sopraindicati, al netto delle eccezioni cui può (e deve) essere prescritto il farmaco specifico, viene meno drasticamente.

Resta, teoricamente (molto teoricamente), il punto 2: tentare di circoscrivere il contagio oggi è del tutto impossibile. Di questo è necessario prendere atto. Un clinico di cui non ricordo né nome né altro, di recente ha tentato di spiegare la questione con un paragone a mio avviso molto chiaro: tentare di circoscrivere oggi il contagio da COVID isolando un individuo positivo, stante l’enorme diffusione del contagio, senza attuare un nuovo piano di lockdown (sul modello cinese) e senza estendere di nuovo i controlli ad ogni possibile contatto, ha le stesse probabilità di successo di riuscire ad impedire ad un’onda di infrangersi sulla spiaggia mettendole dinanzi un individuo a mani giunte! Qualche goccia resterà sulle mani e sul corpo del soggetto, ma l’onda proseguirà la sua corsa infrangendosi sulla spiaggia. E allora cosa fare? Li lasciamo circolare liberamente? Beh…qualche paese europeo lo sta già facendo! Perché non seguirne l’esempio? Perché non adottare come strumento sociale le mascherine ogni qual volta avremo uno o più sintomi riconducibili ad una virosi delle vie respiratorie?

IL SISTEMA IMMUNITARIO HA FALLITO?

In altre parole: cosa ci siamo vaccinati a fare se tanto il COVID lo prendiamo lo stesso? Questa la domanda cruciale che tanti continuano a fare. Nessuno mai avrà la dimostrazione certa e introvertibile se effettivamente la situazione sarebbe stata la stessa anche se non avessimo vaccinato tutte le persone che sono state vaccinate. Non lo sapremo mai perché per poterlo fare dovremmo poter disporre di una macchina del tempo, tornare indietro, invertire l’ordine dei fattori e valutare i risultati, partendo dal presupposto che ambiente e popolazione dovrebbe ovviamente essere la stessa…impossibile!

In questi anni ci sono stati due processi paralleli: il virus è mutato e noi abbiamo incrementato il livello di diffusione degli anticorpi (a seguito di infezione o a seguito di vaccinazione)! Impossibile e perciò inutile tentare di capire in che misura ha maggiormente contribuito un elemento rispetto all’altro. L’innalzamento dei livelli sociali di anticorpi costituisce per tutte le forme virali quella che gli evoluzionisti definiscono “pressione selettiva”, ovvero una spinta a mutare per cercare di perpetuare il proprio ciclo vitale infettando gli ospiti. E’ un male? Non necessariamente, anche perché peraltro è un processo naturale destinato a ripresentarsi per ogni virus al mondo e nella storia. Non è necessariamente un male, anche se ci indurrà negli anni ad adattare i nostri sistemi di difesa (come avviene – ed è, questo, un concetto noto e accettato – ogni anno con la vaccinazione antinfluenzale, rinnovata nella formulazione e ripetuta nella somministrazione per proteggere le persone più fragili), perché le mutazioni successive storicamente vanno sempre nella direzione di una migliore convivenza tra parassita e ambiente. Accadrà questo anche con il COVID? Sta già accadendo….cambierà lo scenario? Non lo sappiamo, ma per ora questa è la realtà.

Permettetemi a proposito del sistema immunitario una considerazione finale: non ci siamo vaccinati per non contrarre il virus, ci siamo vaccinati per attenuare l’impatto sanitario sintomatologico e per ridurre la criticità sociale di una infezione divenuta endemica! Le due domande che ricorrono più spesso a questo proposito sono infatti queste: Perché ci vacciniamo se lo contraiamo lo stesso? Come possiamo definire efficace una vaccinazione se posso contrarlo più volte? Non mi addentrerò in argomentazioni scientifiche magari non semplici da comprendere, ma mi limiterò ad usare lo stesso paragone grossolano (e come tale imperfetto….lo dico subito!) con cui ho provato a spiegare la cosa alle mie figlie.

Potremmo assimilare il sistema immunitario e le strategie messe in atto contro il COVID alla pianificazione di un impianto di allarme per proteggere le nostre abitazioni. La vaccinazione lavora come un impianto volumetrico installato internamente, che si attiva quando l’effrazione è avvenuta e il ladro è entrato in casa. L’attivazione del sistema di allarme induce il ladro ad andarsene più rapidamente di quanto avrebbe voluto, e gli consente di arraffare solo ciò che molto rapidamente trova a portata di mano…insomma, provoca un danno relativamente contenuto! Se noi decidiamo di montare solo questo genere di allarme, accettiamo il rischio che una finestra o una porta possano essere rotte e un ladro possa entrare in casa; non possiamo certo lamentarci se questo accade né imputare la cosa al fallimento del sistema di allarme montato! Se non siamo disposti ad accettare nemmeno il rischio di una effrazione, dobbiamo innalzare le protezioni esterne e montare un allarme periferico sugli infissi! La doppia protezione minimizza il rischio e garantisce una miglior protezione rispetto ai due sistemi singolarmente presi, ma ovviamente non potrà mai dare la garanzia assoluta. E’, credo, a questo punto piuttosto chiaro che nel caso di cui stiamo dibattendo, la vaccinazione costituisce l’impianto volumetrico, mentre tutto l’apparato fatto di mascherine/distanziamento/protezioni costituisce l’impianto periferico. Possiamo avere la certezza del “rischio zero”? No. Non possiamo. Ma la valutazione del rischio e della capacità di viverlo e accettarlo dipende dalla condizioni fisiche e psicologiche di ciascuno di noi.

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