Seconda puntata della rubrica “Vi racconto una fotografia” curata da Filippo Manini, musicista valdimagnino, direttore del Coro CAI Valle Imagna, compositore, educatore, amante della sua terra e da qualche anno appassionato di fotografia (qua il suo profilo Instagram se volete vedere i suoi scatti). Buona visione e lettura!
C’è chi ha letto il titolo cantando e chi mente. Be no, a dire il vero, il verso a cui si rifa il titolo appartiene ad uno di quei canti di una volta, che le nuove generazioni magari non conoscono, quindi non viene così spontaneo canticchiarlo. In ogni caso, io credo che “Dell’aurora tu sorgi più bella”, il canto in questione, sia un pezzo strepitoso dal punto di vista sia musicale che poetico, nella sua semplicità profondamente “pop”, ossia capace ancora di entrare nelle viscere del “pop-olo”, soprattutto del nostro popolo.
La melodia è un accattivante 6/8 ricco di spunti lirici che ti fa venir voglia di accompagnare per terze e seste, alla sanguigna maniera dei canti popolari. Il testo è un continuo inneggiare alla bellezza di Maria evocando elementi naturali e siderali, dove a prevalere è il tema della luce al confine con le tenebre. Come non pensare, cantandola, alle calde albe che si librano dal Colle della Malanotte, o ai dolci crepuscoli che si spengono viola/arancio dietro le Camozzere, o agli sciami di stelle che si accendono nel cobalto sopra il Palio?
Un canto che si sposa perfettamente con la festa della luce. Questa è sempre stata per me la festa della Cornabusa. Dai falò, ai lumini sulle lobbie, alle luminarie accese ovunque, fuochi artificiali, esplosioni di carburo, le fiaccole degli alpini. Tutta questa luce, noi della valle, ce l’abbiamo un po’ nel dna. È la festa delle feste, sul crinale ideale tra luce e tenebra, tra estate e inverno, razionalità e mistero.
Qualche anno fa mi prese la frégola – che credo prima o poi prenda qualsiasi appassionato di fotografia – di fotografare la Via Lattea. A dire il vero, fu per puro caso. Uno di quei bei momenti imprevisti che danno surplus di gusto alla vita. Ero in giro per le Dolomiti, al passo Rolle per l’esattezza. Ero su per fare qualche scatto al mitico Cimon della Pala, all’ora d’oro del tramonto. Finito di scattare, noto che più a valle, a qualche decina di metri di distanza, ci sono due tizi, sdraiati nell’erba, apparentemente immobili.
Una delle prime ipotesi che feci fu quella del rinvenimento di corpi senza vita per chissà quale disgrazia alpestre. Tuttavia, prima di chiamare il 118, notai che i cadaveri in realtà si muovevano, con micromovimenti molto ponderati. Incuriosito, mi avvicinai. Erano due fotografi pure loro. Solo che invece di scattare una ritrita foto-cartolina alle Pale di San Martino, come avevo fatto io, stavano fotografando un qualcosa di attorcigliato sopra una roccia. Una vipera. Una vipera rarissima, mi raccontarono poi. Rimasi davvero affascinato (a debita distanza, s’intende…) cogliendo tutta la cura, la professionalità e la dedizione con cui coltivavano la loro passione fotografica per la natura e gli animali rari. Il potenziale pericolo che spingerebbe chiunque a scappare a gambe levate dopo un incontro del genere era in realtà notevolmente ridotto, mi dissero, perché a quell’ora il sangue della vipera tornava a raffreddarsi; quindi anche i suoi movimenti erano estremamente intorpiditi.
Finì che si andò a mangiare insieme in loco, al “Vezzana”, e chiacchierando scoprimmo di avere diverse passioni in comune, tra cui la musica. Poi, finita la serata e la bottiglia di rosso, io feci per salutarli, dovevo tornare a Pozza di Fassa, dove avevo base. Loro, meravigliati, mi dissero: “Ma come, non vieni a fotografare la Via Lattea?” come fosse cosa ovvia. Mai pensato di far foto alla Via Lattea fino ad allora io… Però mi dissi: perché no? Fu così che ci divertimmo fino a tardi a far foto alle stelle. I loro consigli furono preziosissimi. Ora, fotografare la Via Lattea, per quanto ai non addetti possa sembrare un’impresa che solo la NASA può fare, in realtà è più facile di quanto si possa pensare.
La ricetta è semplice. Prima di tutto bisogna avere la Via Lattea. Voglio dire, sapere almeno dove sta. Poi avere una fotocamera adeguata che possa fare lunghe esposizioni; un treppiede; un obiettivo grandangolare che non sia proprio un fondo di bottiglia; e poi è necessario che ci sia abbastanza buio, perché altrimenti l’inquinamento luminoso neutralizzerebbe tutto lo sforzo, bruciando lo scatto. Si mescola il tutto e la foto è servita. Peggio dei bambini con un nuovo giocattolino, da quel giorno presi poi a fotografare Vie Lattee ovunque, appena trovavo le condizioni.
Ma si presentò subito un cruccio: in Valle Imagna quelle condizioni scarseggiano. Purtroppo la nostra orografia ci dispone lungo un asse per cui il nucleo più interessante della Via Lattea, quello sud, con tutte le colorazioni che si possono evidenziare, si tuffa in quella cloaca luminosa che è la Pianura Padana.
Mai spenta. Mai buio. Mai mistero. Mai meraviglia. Sempre tutto a portata di vista. Tutto chiaro, tutto misurabile. C’è uno stress ambientale dato dai fumi sottili. Ma ce n’è uno altrettanto letale dato dall’ipertrofia luminosa artificiale e dall’ansia di controllare e fare, sua scaturigine. Guardate su verso il Tesoro o Valcava. Il cielo non è mai cobalto. C’è sempre una fastidiosissima dominante arancio. Il prezzo del “progresso”. E allora per “tirar fuori” la galassia da uno scatto bisogna avere condizioni ottimali. Aria pulitissima, magari dopo un temporale. E cercare di limitare i danni della luce elettrica.
Una sera di agosto dello scorso anno queste condizioni c’erano, e allora ho voluto provare il giochino di incrociare la Via Lattea con un soggetto interessante. E ho pensato alla Cornabusa. Per avere la Via Lattea sulla verticale della Cornabusa devi avere il santuario a sud e in zona buia. Il posto migliore con queste caratteristiche me l’ha offerto la piana del Piazzo; che non è proprio buia buia; ma oltre Ca’ Contaglio, tra la impervia Al de Murada che scende accanto alla grotta e la placida Valletta del Ronco, offre un pascolo perfetto. E niente, la fotografia che vi racconto oggi è stata fatta lì.
Neutralizzare la luce artificiale parassita d’OltreAlbenza è stata un’impresa, ma fa parte del gioco. Per non parlare dell’abbaglio dovuto all’illuminazione dell’edificio del santuario, che tuttavia ha comportato il crearsi di un’interessante aura che sa di “apparizione” (a proposito: ma dove sono finite quelle belle luminarie con semplici lampadine che ricalcavano i contorni dell’edificio prima dell’avvento dell’attuale era fluo-blu-psichedelico?).
Mi piace l’idea della corona di stelle, che son molte di più delle 12 del canto, e sono esattamente a pioggia sopra la grotta. Mi piace che la scia della galassia sia un riverbero persistente di luce che emerge dalle tenebre, che insieme racconti di mistero e meraviglia, e che in qualche modo ricordi come nonostante tendiamo a misurare e controllare tutto, c’è sempre un qualcosa di inafferrabile che genera timore, rispetto, muta contemplazione. Basta avere occhi (e un buon obiettivo…) per vederlo.
Chiudo citando il racconto della notte della Cornabusa scritto esattamente 100 anni fa don Cesare Carminati nel suo “La Valle Imagna e la Madonna della Cornabusa”. Mi sembra che, soprattutto sulla chiusa, racconti perfettamente il mio scatto.
“Tutta la valle è una immensa luminaria; in cima ai monti e ai colli grandi falò, simili a fari luminosi nel vasto azzurro che li sovrasta; sul pendio dei prati e dei pascoli, nella oscurità della notte, si delineano qua e là le iniziali del nome benedetto di Maria Vergine; tutte le contrade hanno il loro falò; da tutte le case si lanciano razzi che guizzano a mo’ di comete nel cielo stellato; sono illuminate le chiese, i campanili, le finestre delle case. A un tratto e in più punti la valle è rallegrata da magnifici fuochi artificiali, dai mille colori che si alternano e si fondono. Fra tutti i punti luminosi, uno però si distingue, simile ad una grandiosa fontana a getto continuo, che invece d’acqua lancia in alto una pioggia dai più smaglianti colori: quel punto è la Cornabusa, il santuario di Maria. Si ha l’impressione di trovarsi in un mondo fantastico, nella valle degli incantesimi.”
Ecco la foto
P.S. Senza le dritte dei miei fortuiti compagni della “Notte del Rolle” Fabrizio e Andrea non avrei mai iniziato a scattare alla Via Lattea. O forse sì. Ma quello è stato davvero un battesimo indimenticabile. Andate a vedere i loro lavori e lasciatevi meravigliare. Sarà un viaggio spettacolare nei segreti di un regno animale fantastico che vive accanto a noi e che conosciamo pochissimo.
Fabrizio Moglia
https://www.juzaphoto.com/me.php?l=it&p=1552
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Andrea Fiora
https://www.juzaphoto.com/me.php?l=it&p=5627
https://www.facebook.com/AndreaFiora74
Ultime Notizie
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Complimenti per la rubrica e per le foto, davvero belle!!
Faccio parte di un gruppo di volontari che collabora alla gestione della biblioteca di Corna Imagna, avremo un nuovo e più ampio spazio e vorremmo organizzare degli eventi a tema per coinvolgere soprattutto i ragazzi.
Un tema che io avevo proposto è proprio la fotografia/scrittura.
Mi chiedevo se foste disposti a partecipare in qualità di professionisti/espositori/formatori…-
Ciao e grazie per il commento.
Ti ho risposto sulla mail privata.Filippo
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