“Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”: nelle parole di Venditti si potrebbe riassumere la storia di Michael Girasole. Dall’Atalanta all’Atalanta, dalla madre che ha origini valdimagnine fino alla scelta di vivere proprio in Valle. Tra corsi e ricorsi, ecco la storia dell’ex centrocampista classe ’89. “Io sono di Vimercate, ho sempre vissuto a Verderio, ma negli ultimi 6 anni mi sono trasferito a Rota d’Imagna. Mia mamma è nativa di Locatello, abbiamo la casa lì e ho sempre bazzicato il posto, è come se avessi sempre vissuto qua”.
La nostra storia, però inizia sui campi di calcio: “Ho iniziato a giocare quando ero piccolissimo, alle elementari giocavo nella squadra del mio paese: mi aveva visionato il Monza, che voleva già prendermi a 8 anni, in quel momento si è però fatta viva l’Atalanta, la mia scelta è stata la Dea perché mi dava la possibilità di avere il trasporto. Con il senno di poi, è stata la scelta giusta. – svela Michael – Sono partito dal primo anno delle giovanili, mi allenavo al Campo Militare di Bergamo, da lì è iniziato il mio percorso, fino ad arrivare in Primavera. Ho anche avuto la fortuna di allenarmi 6 mesi in prima squadra. Ho fatto tutta la trafila, fino alla Serie A nel 2008: l’esordio è stata una grandissima soddisfazione, in trasferta contro la Juve, motivo di grande orgoglio”.
Girasole può così iniziare la sua avventura nel professionismo. “Poi da lì ho cominciato a girare l’Italia, sono sempre andato in prestito: un anno nella ‘vecchia’ C2 alla Canavese, vicino Torino, poi sono tornato a “casa”, all’Albinoleffe. È stato il momento più importante, ho avuto come allenatore Mondonico: mi ha fatto crescere molto, capire tante cose che da ragazzo non capivo. Devi essere professionista, rispettoso, lui diceva che il calcio è una giungla – racconta – devi stare attento alle dinamiche, può cambiare tutto in pochissimo. Ho fatto un anno in B, con gol e assist all’ultimo turno di playout che ci ha salvato, così l’Albinoleffe mi ha riscattato, nell’affare di Peluso. In B per me è andata bene, ma siamo retrocessi in C, dove ho giocato 3 anni, l’ultimo così così per un infortunio abbastanza grave, 6-7 mesi di stop – ricorda Girasole, che deve abbandonare i seriani poco dopo. “Sono rientrato in campo, ma siamo scesi di nuovo di categoria, sono dovuto andare via, per restare in C sono andato al Sudtirol con Stroppa, è stato un campionato sottotono e mi sono traferito prima a Piacenza, poi al Sud, a Trapani, per due anni. Al primo dovevamo vincere il campionato, ma siamo usciti subito ai playoff, al secondo anno, con Vincenzo Italiano, abbiamo fatto benissimo nonostante le basse aspettative, abbiamo vinto la Serie C ai playoff, è stata un’emozione enorme”. È un punto altissimo, ma di lì a poco arriva la pandemia a scombussolare tutto.
Un giovanissimo Girasole nelle giovanili dell’Atalanta
“Da lì c’è stato il Covid, che mi ha fermato un po’: le società cercavano di risparmiare sugli stipendi, ho fatto 6 mesi a Belluno, poi sono tornato a casa alla Real Calepina. Ho trovato lavoro part-time, che rispetto al professionismo mi dava più sicurezza, ma non riuscivo ad allenarmi più con costanza”. La situazione cambia di nuovo con il definitivo ritorno alle origini di Michael. “L’Atalanta mi ha richiamato questa estate come allenatore: avevo fatto il patentino UEFA B e sono abilitato. Allora a 33 anni ho deciso di smettere per guardare il pallone dall’altra parte, come allenatore, da agosto ho iniziato questa avventura, da dove ero partito ho chiuso il cerchio”.
Cerchio che si chiude ulteriormente quando Girasole decide di trasferirsi in Valle Imagna. “Sono sempre stato legato alla Valle, i weekend con la famiglia salivamo sempre, quando non avevo le partite venivamo su. Conosco tante persone in paese, quando sono tornato in Lombardia con il calcio sono voluto venire in Valle”. Qui, Michael si è definitivamente stabilito: “La mia compagna è di Rota d’Imagna, abbiamo una figlia che ha 6 anni, si chiama Perla e viviamo qua, lei ha iniziato le scuole elementari sempre a Rota”.
Conclusosi il peregrinare per i campi italiani, Michael può tirare un bilancio della sua attività da calciatore. “Ci hanno sempre detto di divertirci, se poi arrivano le vittorie ancora meglio: quando ero nelle giovanili tornavo a casa da scuola ed ero già al campo. Certo, ci vogliono sempre tanti sacrifici, tra lo studio e l’impegno serve la voglia, l’impegno si porta avanti per tanto, non è che se fai un anno sei arrivato, servono impegno, costanza e un po’ di fortuna. Se inizi a fare le cose tanto per farle, fai fatica”.
Vale lo stesso per l’attività in panchina che Michael ha appena iniziato: “All’inizio fare l’allenatore era strano, alleno gli under 12, sono bambini che diventano ragazzi. Guardano molto a cosa hai vissuto, devi fargli capire determinate situazioni ed emozioni durante la partita, devi essere bravo a gestire varie dinamiche. Da calciatore non ti preoccupi, ma dalla panchina ne devi gestire 28, ognuno con il proprio carattere. Per fortuna ci sono altri due mister che lavorano con me, ci diamo una mano a vicenda”.
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