Nuovo appuntamento con la rubrica curata dalla Farmacia Visini di Almè. Il dott. Michele Visini racconta la sua nuova esperienza come volontario in Nepal.
La mia esperienza di farmacista in un altro mondo e in un’altra dimensione è iniziata tre anni fa, verso la fine di novembre del 2019. Arrivai in questo stesso piccolo villaggio del Nepal rurale, dove ora collaboro a portare avanti questo progetto sanitario, con altri volontari partecipanti ad una missione con la fondazione Time4Life, in supporto alle attività umanitarie che qui sono condotte da una onlus italo-nepalese di nome JayNepal.
Arrivai qui senza nessuna pretesa e senza nessuna aspettativa, né da parte mia (non sapevo cosa avrei trovato e cosa avrei potuto trarne) né da parte di Alberto Luzzi (fondatore di JayNepal) o dei ragazzi che operano qui a Bodgaun nei vari progetti che ogni giorno lottano per dare a questo popolo un futuro autonomo e dignitoso, fuori dalla povertà. Arrivai qui come Michele, un volontario….dopo pochi minuti ero Michele, il farmacista, e come tale da quel centro medico e dalla farmacia ad esso collegata, non mi sono più staccato!
I due anni di Covid mi hanno tenuto lontano da questo villaggio, anche se ogni ci sentivamo per capire cosa dei sogni e dei progetti con cui ci salutammo dopo quei meravigliosi giorni della prima missione, poteva ancora essere portato avanti. A primavera di quest’anno, come ho avuto modo di raccontare in altre uscite precedenti, sono tornato qui….ed ora il progetto prosegue! Ma cosa vado a fare in Nepal? Cosa cerco? Cosa porto? Perché tutto questo? Forse il vero elemento base è da ricercare nel senso della mia professione, soprattutto per come la intendo io.
Farmacista come educatore alla salute in mezzo alla gente
Da più di vent’anni lavoro come farmacista nella farmacia che era di mio padre, nel paese dove sono cresciuto; un percorso professionale pieno di soddisfazioni, con la fortuna di poter decidere giorno per giorno come gestire l’attività che conduco. Sono farmacista e continuo ad esserlo nella mia farmacia tutti i giorni. Ho sempre sentito che tra le varie responsabilità di un operatore sanitario debba esserci anche quella di assumersi l’onere (e l’onore…) di condividere le proprie conoscenze (è un privilegio aver potuto dedicare anni della propria giovinezza a studiare e formarsi professionalmente), di educare le persone, di provare ad aiutarle a capire cosa sia meglio ed opportuno fare nelle diverse circostanze, siano esse per un problema di salute manifesto oppure per tentare di ridurre quanto più possibile il rischio di svilupparne uno.
Anche se dovremmo esserlo sempre, e non solo in momenti particolari, è chiaro che, da quando la nostra vita è cambiata con l’avvento del Covid, il ruolo del farmacista come educatore sanitario e punto di riferimento per la gente ha avuto al possibilità di crescere enormemente. Il farmacista è chiaramente solo un anello della catena del sistema sanitario come altri, ma a differenza di molti altri ha la fortuna (e l’impegno connesso) di essere a contatto diretto e quotidiano con la gente. Cosa ha a che fare questa idea di educatore con la mia presenza qui in Nepal, o con quella dello scorso anno in Benin (Africa)?
Molti anni fa mi capitò di sentire una frase, pronunciata da un missionario salesiano, padre Ugo De Censi, operante in un piccolo villaggio sulle Ande peruviane, rimasta impressa nel cuore e nella mente e che in questa “avventura” di missioni-lampo nei paesi del terzo mondo è diventata la mia luce-guida: se qualcuno ha fame non dargli il pesce ma insegnagli a pescare. Cosa posso dare io a queste popolazioni? Ha senso che venga qui a svolgere un lavoro, posto che qui posso venirci solo poche volte in un anno e per periodi molto brevi? No….non serve….non ha senso lo faccia io al posto loro! Ciò che posso fare è provare a condividere un po’ delle esperienze che ho vissuto e delle conoscenze che ho acquisito in 25 anni di professione, sia pure in una dimensione del tutto differente da ogni punto di vista.
Le missioni-lampo come operatore sanitario
Come detto, da tempo coltivavo la voglia di provare questa tipo di esperienza, ma il personale “treno” è passato, per una serie di coincidenze, esattamente tre anni fa, quando questa avventura di missioni-lampo in realtà disagiate e lontane è iniziata: venni infatti a conoscenza dell’opportunità di partecipare, insieme ad un gruppo di volontari provenienti da diverse parti d’Italia e da diverse realtà professionali, ad una missione umanitaria in un villaggio del Nepal, organizzata da Time4life, una fondazione che da anni costantemente porta con sé volontari in diverse realtà del mondo, sempre al servizio degli ultimi, in particolare dei bambini.
In questo villaggio, distrutto qualche anno fa dal terremoto, JAY NEPAL sta cercando di portare avanti un progetto di ricostruzione, per un nuovo e diverso futuro; tra le varie attività inaugurate nel villaggio c’è il BODGAUN MEDICAL CENTER. Come detto all’inizio di questo articolo, appena arrivato, in quanto farmacista sono stato catapultato nel bel mezzo della organizzazione di diverse attività a sfondo sanitario, tra le quali un PEDIATRIC CAMP in un villaggio a circa un’ora di cammino da dove eravamo alloggiati. Non avevo precisamente idea di cosa avremmo vissuto, di come poter dare il mio fattivo contributo a questa che è stata un’esperienza davvero incredibile; sapevamo che i cancelli del centro medico, purtroppo in disuso per mancanza di fondi e personale, del villaggio di Bhimtar si sarebbero aperti lasciando libero accesso (libero e gratuito!!!) a una vera fiumana di donne con i loro bambini di ogni età, bisognosi di essere visitati dai quattro medici presenti, coadiuvati dal personale infermieristico e dall’azione instancabile di decine di volontari, deputati all’arruolamento dei pazienti ed alla rilevazione dei principali parametri vitali, come altezza, peso, pressione, saturazione, glicemia, temperatura corporea.
I giorni precedenti eventi come questo (e in primavera quando sono tornato a Bodgaun dopo la parentesi forzata del Covid, ne abbiamo organizzati due a Bodgaun, all’interno della realtà del centro medico) sono e devono essere febbrilmente dedicati all’organizzazione. Ovviamente questo elemento richiede necessariamente di essere il più organizzati e più rigorosi possibile: i ragazzi nepalesi si sono dimostrati, ora come allora, davvero molto volenterosi e disponibili, mettendo in gioco tutte le loro risorse umane per sopperire alla fisiologica inesperienza e alla inevitabile carenza nella mentalità organizzativa, che a noi occidentali viene inculcata fin da giovani (nella nostra società non saper essere performanti al massimo livello possibile è considerata una carenza imperdonabile!). Abbiamo tutti lavorato instancabilmente, ognuno mettendo al servizio della causa comune le proprie risorse, sia umane che professionali. Esperienze come quella vissuta in quel novmebre di tre anni fa possono entrarti talmente in profondità da non uscirne più…ed è quello che è capitato a me.
Cosa si può fare?
Un amico conosciuto durante una delle missioni, al ritorno a casa ha scritto una frase paradossale che mi piace moltissimo: “fare del bene donando agli altri è una delle più alte forme di egoismo, perchè quanto diamo nel concreto non è minimamente paragonabile a quanto riceviamo nel profondo”! Penso che il sorriso delle persone, che pazientemente per ore ha atteso il proprio turno in ogni campo medico cui ho partecipato, in Nepal in questo 2022, come anche in Benin nei due anni precedenti, prima per essere visitate e poi per ritirare i medicinali nelle piccole farmacie di volta in volta allestite, ha illuminato giornate memorabili e scaldato i nostri cuori nel profondo. Da tutte le parti in giro per il mondo, anche qui da noi, nel nostro mondo apparentemente ipercivilizzato, esistono realtà di bisogno….ovunque, ogni giorno; forse ognuno di noi potrebbe provare a cercare nel proprio correre quotidiano un momento per guardarsi intorno e capire come poter aiutare chi ha bisogno: ho avuto la fortuna di poter vivere esperienze travolgenti, di essere entrato a far parte di un bellissimo ingranaggio in cui convogliare più di vent’anni di professione. Ogni volta ho ricevuto sorrisi, gratitudine, applicazione, impegno, soprattutto fiducia….e sì, ha ragione il mio amico, ho ricevuto più di quanto in pochi giorni ho potuto dare….e ora non intendo più smettere!
Progetto-Nepal
Nel concreto, in questi mesi qui in Nepal, mi sono dedicato a mettere a punto questo minuscolo prototipo di farmacia, con l’obiettivo nel prossimi anni (se il progetto riuscirà a proseguire….non ci sono mai certezze in realtà come queste, soprattutto considerando che la maggior parte delle spese, in particolar modo nelle fasi iniziali, è sostenuta grazie alle donazioni) di aprirne altre in altri villaggi vicini, sempre sotto il controllo centrale della farmacia di Bodgaun, e sempre in stretta cooperazione con il BMC. Nei villaggi vicini non c’è un centro medico come quello presente qui a Bodgaun, dove potersi recare in caso di disturbi o malanni; inoltre in zone come il Nepal rurale davvero la salute viene considerata come un elemento di secondo piano.
Allora, possiamo comprendere come l’idea non sia molto diversa da quella che nel corso dei decenni passati ha portato all’apertura dei dispensari in località sperdute nelle nostre valli. Le farmacie possono essere, prima ancora che dei distributori di presidi, dei punti di riferimento per la salute: prevenire prima ancora di dover curare, vero principio ispiratore della cosiddetta farmacia dei servizi, evoluzione della realtà farmacia in cui credo moltissimo. Così come nei piccoli paesi delle nostre valli, dove non ci si poneva il problema di sottoporsi a controlli preventivi, per cui le malattie spesso venivano affrontate tardi, anche qui (e per QUI non intendo solo il Nepal rurale, ma ogni “altrove del mondo” dove centinaia, migliaia di persone si adoperano ogni giorno con lo stesso obiettivo) manca drasticamente l’abitudine a pensare di potersi rivolgere ad operatori sanitari se non si è molto debilitati. La dignità di ogni essere umano, in particolare di ogni “ultimo della terra”, merita lo sforzo di provare a fare qualcosa per insegnare loro a prendersi cura di sé stessi e di ciò che possono avere e ricevere.
Donare non basta. “Take care” (“prendetevene cura”): questo ripeto spesso ai ragazzi che lavorano nel centro medico, dopo aver fisicamente spostato e svuotato gli scaffali e le cassettiere della farmacia dove tutto era ammassato alla rinfusa, ed aver rimesso tutto a posto dando un ordine e un criterio, lavorando gomito a gomito con il nuovo farmacista, un ragazzo nepalese che da poco ha accettato di collaborare a questo progetto, trasferendosi in questo piccolo villaggio a tre ore dalla sua realtà quotidiana, dalla sua famiglia, dai suoi amici e dalla sua ragazza che sono tutti rimasti a Katmandu. “Prendetevi cura, ragazzi”….di ciò che avete per le mani e di tutti coloro che possono e devono capire di poter affidare a voi la tutela della propria salute! Il progetto-salute a Bodgaun non è dunque un progetto nuovo, ma per una serie di ragioni di ordine organizzativo ma soprattutto di sostenibilità economica (le idee e la buona volontà, da sole, non bastano….) è stato rivisto, e oggi partiamo con questa nuova piccola farmacia, che allo stesso tempo vuole essere la farmacia di comunità per la gente del villaggio e i suoi bisogni di prima istanza, ma anche presidio di supporto alle attività di un centro medico, vero e proprio gioiellino costruito inseguendo un sogno di futuro, speranza e luce “in the middle of nowhere” (….già….nel bel mezzo del nulla….sono parole di un medico nepalese ospite di un campo medico organizzato a marzo, stupito di ciò che aveva trovato nel bel mezzo delle campagne del Nepal rurale).