I Tre Faggi “monumentali”. Ma a loro i titoli non interessano… e si vestono di rosa

Niente Photoshop, quella che vedete è tutta natura, solo vista nello spettro infrarosso, fotografato dal nostro Filippo Manini con un’apposita camera modificata.
29 Luglio 2023

Nuova puntata della rubrica “Vi racconto una fotografia” curata da Filippo Manini, musicista valdimagnino, direttore del Coro CAI Valle Imagna, compositore, educatore, amante della sua terra e da qualche anno appassionato di fotografia (qua il suo profilo Instagram se volete vedere i suoi scatti). Buona visione e lettura!

Chi coltiva interesse per la fotografia paesaggistica sarà senz’altro a conoscenza di cosa sia uno “spot”, detto altrimenti “pdr”, ossia “punto di ripresa”. Si tratta di posizioni geografiche precise dalle quali è possibile incorniciare con i propri mezzi fotografici una porzione di paesaggio. Potenzialmente quindi ogni luogo dell’universo può essere uno spot, ma ovviamente l’abilità sta nel riprendere quella porzione di paesaggio in maniera che susciti interesse, che racconti qualcosa, che emozioni.

Chi transita nei mondi paralleli di Instagram, Facebook e similari saprà certamente che ci sono pdr più blasonati di altri, luoghi iconici ormai entrati nell’immaginario collettivo. Gli esempi ovviamente si sprecano: per stare in Italia, si pensi alle Tre Cime riprese nei pressi di Forcella Lavaredo, oppure, sempre in ambito dolomitico, al plurigettonato Lago di Braies ripreso dall’iconica palafitta.

Anche la Valle Imagna ha ovviamente la sua top ten di spot fotografici, e in vetta alla classifica è d’obbligo annoverare forse lo spot valdimagnino per eccellenza, ossia i Tre Faggi di Fuipiano. Fate una veloce ricerca con l’hashtag #valleimagna e sicuramente questi vi compariranno tra le immagini più popolari, fotografati praticamente da chiunque transiti nelle zone del Pralongone. L’indubbio valore storico e paesaggistico ha tra l’altro recentemente valso a nostri tre l’entrata nel novero degli Alberi Monumentali di Lombardia (LEGGI QUA LA NOTIZIA), andando ad incrementarne il numero a 369. La delibera regionale che istituisce la monumentalità di un albero è certamente un atto di grande interesse nell’ottica di tutelare il nostro patrimonio naturale. Tuttavia mi porta a fare alcune riflessioni.

Innanzitutto trovo simpatico che noi umani eleggiamo gli alberi a monumenti, ma gli alberi non lo sanno. Oppure semplicemente se ne fregano. Loro continuano a fare gli alberi. E allora anche questi tre giganteschi bonsai, come mi piace definirli, vivono le loro stagioni e ci ricordano che erano lì molto prima di noi; tra l’altro erano più di tre, e il monumentale ceppo di un quarto loro fratello che fu, campeggia ancora lì di fronte a loro sul lato opposto della bolla delle vacche, come un memento: “prima o poi la tocca anche a voi”. Perché per quanto li monumentalizziamo, la natura non è mai a nostra disposizione, e fa un po’ quel che vuole, che si trovi di fronte un monumento o meno (pensate alla recente e inimmaginabile carneficina di alberi secolari in quel di Milano).

In secondo luogo mi piace pensare a tutti gli altri alberi che popolano i nostri boschi, a come reagiscono di fronte a tal riconoscimento. Cosa provano di fronte ai tre fortunati? Rispetto? Invidia? Piaggeria? Chi lo sa! Chissà che pensano di loro i cugini della foresta del Resegone sul versante di Morterone quando in questi giorni sentono la mannaia a motore che li abbatterà al suolo… (LEGGI QUA LA NOTIZIA). Infine la nomea di “monumentale” mi riporta un po’ al fatto che da umani abbiam sempre un po’ bisogno di etichettare e catalogare le cose, refuso, credo, del bisogno cerebraloide di avere ideale controllo sulla realtà. L’etichetta però, pur sensata, presenta anche un po’ il rischio di fa perdere il senso di scoperta, di entrare in contatto autentico con la realtà, al di là dei nomi che le affibbiamo.

Filosofie a parte, per carattere mio, mi annoia a morte andare a fotografare gli spot che godono di grande popolarità. Preferisco andare a scovare angoli nuovi, e finora non ho mai mancato di trovarne, pur nel limitato chilometraggio della valle. Ciononostante, sono comunque sempre stato affascinato dall’incantevole spot dei Tre Faggi. Li avrò fotografati un milione di volte e in mille vesti diverse: neve, nebbia, tramonto, notte, luna piena; una volta sono riuscito pure a ricavarci sopra una fortunosa Via Lattea.

Nulla di tutto questo vi propongo oggi. Mi piaceva l’idea di stemperare la seriosità di quell’altisonante “MONUMENTALE” con un po’ di ironia. E allora li ho vestiti di rosa. Carini no?
State tranquilli che qui nessun “monumento” è stato imbrattato con “fotoscioppaggi” selvaggi. Quella che vedete è tutta natura, solo vista nello spettro infrarosso, fotografato con un’apposita camera modificata (rimando in merito al mio racconto di aprile dedicato al Grumello del Becco). Il rosino delle foglie è dato da un leggero viraggio e accentuazione di un rimasuglio di luce visibile già presente nella chioma dei faggi.

Nei miei racconti mentali fantastici alla Corona de “Le voci del bosco”, mi immagino i Tre Faggi, tronfi del loro titolone acquisito, che si guardano le livree passando da un contenuto disappunto tutto valdimagnino ad un crescente, ma altrettanto contenuto compiacimento; il volgo dei boschi d’attorno assiste divertito alla scena.

Ecco lo scatto:

DSC 5624 2 2 - La Voce delle Valli

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