In gita con le figlie… ecco il cuore del Pralongone

Nuova puntata della rubrica “Vi racconto una fotografia” curata da Filippo Manini, musicista valdimagnino, direttore del Coro CAI Valle Imagna, compositore, educatore, amante della sua terra e da qualche anno appassionato di fotografia (qua il suo profilo Instagram se volete vedere i suoi scatti). Buona visione e lettura! Nel mese di giugno sono stato con la famiglia in Slovenia […]
21 Agosto 2023

Nuova puntata della rubrica “Vi racconto una fotografia” curata da Filippo Manini, musicista valdimagnino, direttore del Coro CAI Valle Imagna, compositore, educatore, amante della sua terra e da qualche anno appassionato di fotografia (qua il suo profilo Instagram se volete vedere i suoi scatti). Buona visione e lettura!

Nel mese di giugno sono stato con la famiglia in Slovenia per una settimana di ferie. Dopo i primi giorni a Kranjska Gora in mezzo alle splendide Alpi Giulie abbiamo poi fatto una puntata verso l’interno fino a Maribor, dove le Giulie lasciano ormai il posto a maestose colline boscose. Ovviamente io ero sempre a caccia di spot fotografici interessanti, che la Slovenia offre con una generosità incredibile. Nello scegliere a causa del risicato tempo a disposizione, va da sé che occorre tralasciarne un sacco.

Tra questi, mi è capitato di rinunciare anche ad uno tra i più famosi, la celebre “heart shaped street” poco lontano proprio da Maribor, una stradina di campagna che si snoda tra i vigneti di Svecina, al confine con l’Austria, e che, ripresa dalla giusta angolazione, rivela per l’appunto una forma di cuore. Sarà che io non sono particolarmente uso a romanticherie di questo tipo, ho dovuto scegliere tra quella e la visita ai meravigliosi tunnel sotterranei di Vinag, una delle cantine più antiche d’Europa. Con degustazione finale, ovviamente. Tra il cuore e il mosto, ha vinto quest’ultimo. Tuttavia, era probabilmente destino ch’io quest’estate mi dovessi comunque imbattere in un cuore. E mi è capitato nei primi giorni di agosto; un’occasione per nulla cercata né voluta, e quindi ancor più ricca di meraviglia.

Come ormai ogni estate, appena posso porto le bambine su e giù per i versanti della valle, e nel frattempo le istruisco (la locuzione esatta sarebbe: le tartasso) sui toponimi delle nostre terre alte. È una roba che anche mio papà ha sempre fatto con me e mi ha sempre affascinato. Mi viene naturale, ora, farla io con loro. Non è mica un’operazione scontata, sapete. A parte il fatto che con tutti con quei nomi accrescitivi che finiscono in “one” uno è facile si confonda: Ubione, Linzone, Ocone, Resegone. Poi vien lo Zucco, che è il preferito da Elisa, e che però va sempre specificato come lo “Zucco di Valmana”, perché di Zucchi ce n’è in giro a migliaia. Fissati i toponimi in italiano, il livello successivo è poi quello di associare il toponimo autoctono. E qui iniziano i dolori, perché nel far capire per esempio che il Resegone è il “Seràda” o che lo Zucco è anche il “Cöch”, principiano atti di schizofrenia linguistica mica da scherzo.

Ad ogni modo, un giorno dico loro: domani vi porto in Tisa! E Irene mi dice: ma ci hai detto che andavamo ai Canti! E io: infatti, è proprio lì che vi porto; perché sotto ai Canti c’è la Tisa. Loro borbottano, perché vorrebbero sempre andare dalla parte opposta di dove le porti, ma poi alla fine camminano e si divertono. Insomma, quel giorno saliamo al Passo del Grassello, passiamo ovviamente per i Canti per la pace di Irene, e ci mettiamo poi a desco sui bei pascoli della Tisa.

Mentre le bambine mangiano e si riposano, io faccio qualche scatto. Quando esco con loro non ho molte pretese paesaggistiche, tant’è che mi porto solo un paio di obiettivi il più leggeri possibile, un 50mm fisso e un tele 80-210mm. Sono due lenti vintage, totalmente manuali, che mi sono state regalate quest’estate e di cui mi sono pazzamente innamorato perché costringono ad un surplus di pensiero fotografico, soprattutto a livello di idea da raccontare e di composizione.

Sta di fatto che mentre puntavo l’obiettivo dalla Tisa verso la valle, le nuvole giravano sopra di noi creando giochi di luce molto interessanti. Ad un tratto volgo lo sguardo verso i Tre Faggi e succede un miracolo: la luce disegna sul Pralongone una perfetta forma di cuore, grazie anche alla forma della sterrata che lo percorre. Mi emoziona a tal punto che mi dimentico completamente come si scatta una fotografia. Scatto: bruciata; ri-scatto: bruciata; terzo scatto: sottoesposta. Ormai le nuvole si sono mosse ed il cuore è sparito. Buonanotte. Bravo, mi dico, abituato agli obiettivi moderni, quando ti trovi in mano ottica pura senza automatismi vai nel panico.

Tuttavia rimango fedele alla teoria del mio maestro: nel dubbio, sottoesponi; quindi spero di riuscire a recuperare qualcosa dallo scatto sottoesposto quando aprirò la foto a casa sul PC. E infatti, rientrati a casa, fortuna vuole che riesco a recuperare lo scatto, che è quello che vi propongo oggi. Snobbato in Slovenia, il cuore è venuto a cercarmi sui prati del Pralongone, e direi che non ha nulla da invidiare al suo cugino mitteleuropeo.

DSC 2305 color 1 - La Voce delle Valli

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