Neve artificiale, soluzione o accanimento? 1 milione di litri d’acqua per una sola pista

Nelle nostre valli, tra il 2018 e il 2022 abbiamo registrato 17 nevicate sino a quote medio-basse a fronte dei 30 eventi del 2013/2017 e 51 eventi del 2008/2012. Che fare allora? La prima risposta è: ricorriamo all'innevamento artificiale! È e sarà la soluzione al problema?
17 Gennaio 2024

Siamo ormai nel bel mezzo dell’inverno e sulle nostre montagne le tinte bianche lasciate dalla neve si alternano, sempre più, al grigio della roccia, al giallore dei prati o al marrone della terra nuda. Sono lontani i ricordi di quando la dama bianca faceva la sua comparsa ai primi giorni dell’inverno, se non addirittura nel tardo autunno, per lasciare spazio al risveglio della natura solo con l’arrivo del mese di marzo. E’ il dazio che le nuove generazioni, e ancora più quelle future, stanno e dovranno pagare.

E’ il destino che il cambiamento climatico ci impone, è il prezzo che dobbiamo pagare per una terra che continua a scaldarsi e che nel territorio montano trova terra ancora più fertile. Se a livello globale la temperatura media superficiale è aumentata di quasi 1.5°C rispetto all’era pre-industriale, in ambito montano il riscaldamento sta già toccando valori doppi se non addirittura tripli. Colpa di una serie di processi a feedback positivo, tra cui la minore copertura nevosa, che a sua volta incrementa l’assorbimento di calore, accelerando così lo scioglimento dei ghiacciai.

Basti pensare che sulle nostre Orobie, per ritrovare lo stesso clima che avevamo negli anni ’70, dobbiamo salire di circa 300 m e la situazione è destinata a peggiorare ulteriormente. A farne le spese le nostre località sciistiche. Nei prossimi decenni, intorno ai 1000 metri e al di sotto le precipitazioni nevose verranno completamente a sparire in larga parte secondo lo scenario climatico più pessimista e a ridursi fino al 50% secondo scenari migliori. Anche salendo di quota fino ai 2000 m la situazione non migliora molto, con diminuzioni dal 10/20% fino al 50 % sull’arco alpino. Al tutto va aggiunto che gli episodi nevosi, con l’avvio del nuovo millennio, si sono notevolmente ridotti. Ad esempio, per le nostre valli, prendendo in considerazione gli ultimi 15 anni: tra il 2018 e il 2022 abbiamo registrato 17 nevicate sino a quote medio-basse a fronte dei 30 eventi del 2013/2017 e 51 eventi del 2008/2012. Che fare allora? La prima risposta è: ricorriamo all’innevamento artificiale! È e sarà la soluzione al problema?

L’Italia è uno dei paesi alpini più dipendenti dall’innevamento artificiale, utilizzato per oltre il 90% delle piste. Ciò comporta un consumo annuo di acqua di oltre 90.000.000 di metri cubi che corrispondono al consumo idrico annuale di una metropoli da un milione di abitanti, senza contare il costo della produzione che è passato dai 2 euro del 2021, ai 3-6 euro al metro cubo della stagione attuale. Secondo il responsabile di Legambiente “La neve artificiale che negli anni ottanta era a integrazione di quella naturale, ora costituisce il presupposto indispensabile per una stagione sciistica, a tal punto che i comprensori per sopravvivere richiedono sempre nuove infrastrutture”.

Sarà la soluzione? Difficile… Produrre neve artificiale comporta l’impiego di enormi quantità di acqua e di energia. Combinando acqua e aria compressa nelle giuste proporzioni e refrigerando opportunamente la miscela è possibile ottenere dei nuclei di condensazione, da cui, con l’aggiunta di altra acqua vaporizzata, si creano i cristalli di neve veri e propri. Servono però delle condizioni ottimali: temperature ben al di sotto dei – 3 gradi (l’optimum sarebbe -15°C) e poca umidità. Condizioni che spesso nel periodo invernale non vengono soddisfatte, almeno per località poste sotto i 1500 metri.

L’acqua per l’innevamento proviene generalmente da fiumi e da laghi naturali, da bacini artificiali appositamente scavati, talvolta viene anche attinta dalle reti dell’acqua potabile, da sorgenti, dalla falda o dalle condotte delle centrali idroelettriche. Per questo motivo l’uso di acqua per l’industria sciistica può entrare in conflitto con tutti gli altri settori che necessitano della risorsa, in primis l’agricoltura, ed anche con il fabbisogno dei cittadini stessi. Secondo i dati riportati dal Wwf, per l’innevamento di base – circa 30cm di neve – di una pista di 1 ettaro, occorrono almeno un milione di litri, cioè 1.000/1.200 metri cubi di acqua.

Oltre all’acqua, nella neve artificiale è incorporata anche una notevole quantità di energia. Sempre secondo il Wwf, per assicurare piste innevate su tutte le Alpi si è calcolato che occorrerebbero 600 GWh di energia elettrica. Un costo che va a ricadere sia sugli impiantisti, sia sui turisti, che sull’ambiente. Per l’ambiente: molta parte dell’energia deriva ancora da fonti fossili, che, si sa, producono CO2 e portano ad un ulteriore aumento delle temperature. La neve artificiale è un investimento quasi obbligatorio e su base annuale può pesare per circa il 40% del consumo totale di elettricità di una società. Anche per questo motivo, il costo dello skipass è aumentato in molti comprensori continua ad aumentare. Ma c’è anche un costo che ricade su tutta la popolazione, o meglio sui contribuenti. Le somme spese per gli impianti e l’innevamento artificiale, infatti, vedono spesso la partecipazione di denaro pubblico. Denaro che potrebbe essere investito in opere e progetti più lungimiranti.

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Commenti:
  1. Non sono assolutamente d’accordo con questo articolo. L’acqua utilizzata per fare la neve non viene sprecata, ma viene utilizzata per l’economia della gente di montagna che col turismo invernale vive; la neve poi, ridiventa acqua, penetrando nelle falde acquifere dei nostri monti e riutilizzata, ovviamente; non c’è alcun conflitto con l’agricoltura che, in inverno non la utilizza; l’energia utilizzata per crearla, viene regolarmente pagata e, se il problema è crearla, lo dovrebbe essere anche per le città, per le partite i notturna negli stadi illuminati a giorno, per i tram, ecc.
    Vero è che è in atto un cambiamento climatico, secondo me non dipendente dalle attività umane, ma ciclico. Nel 17° secolo (1600) la temperatura media delle nostre zone era di 1,5 gradi in più di oggi, come dimostra l’articolo di cui allego il link (http://www.paesidivaltellina.it/albaredo/viapriula1.htm), in cui al passo San Marco scendevano 30 cm di neve e ad Albaredo coltivavano le patate fino ai 1.700 mt di quota. Dal 18° secolo (1700) il clima si è invece raffreddato fino agli anni 1980/1990, quando è iniziato un altro ciclo di riscaldamento che dura tutt’ora. Ogni tanto anche Legambiente dovrebbe leggere la storia, non solo i dati catastrofisti del giorno prima, visto che nel 17° secolo non c’erano petrolio, auto, industrie, ecc.
    Grazie e cordiali saluti.

  2. Complimenti, articolo equilibrato che espone chiaramente le problematiche relative al cambiamento climatico e i costi sociali ed economici dell’innevamento artificiale.

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