I primi calci nel Valle Imagna, poi da giovanissimo il passaggio al Pontisola, le giovanili al Milan, la Virtus Bergamo in D, Feralpisalò e Olbia in C, il grande salto al Cagliari in Serie A e ora al Venezia in serie B, maglia (sarà l’effetto del verde-nero?) con la quale si sta dimostrando uno dei migliori difensori della serie cadetta, con tanto di record personale di goal (3).
Stiamo ovviamente parlando di Giorgio Altare, classe 1998 di Sant’Omobono Terme, il primo giocatore della Valle Imagna a giocare in Serie A (stagione 2021-22 con il Cagliari) – come recitava uno striscione esposto nel 2022 al campo del Valle Imagna – un gigante da 1,92 metri dai modi gentili, con quella riservatezza tipica delle nostre genti, una granitica voglia di fare e un’intelligenza raffinata. In barba a chi pensa che “dare un calcio ad un pallone” – se praticato ai massimi livelli – non sia un gesto di grande capacità intellettiva, calcistica e non.
E a confermarcelo è lo stesso Altare: “Avere la testa è l’aspetto più importante per un calciatore professionista. Io non ho grandissime qualità tecniche, ma ho sempre creduto nel mio potenziale. E ho avuto al mio fianco tante persone che mi hanno dato fiducia”. E a credere nel potenziale di quel “bambinone” che negli esordienti del Valle Imagna era già alto come l’allenatore sono stati in primis mamma e papà. Figure sempre centrali nella vita di Giorgio, nella sua carriera, che nel raccontarsi emergono con prepotenza ed emozione nelle parole del calciatore valdimagnino.
“Senza il sostegno dei genitori è veramente difficile inseguire questo sogno – spiega un emozionato Giorgio – Senza di loro non sarei mai arrivato dove sono ora. Io mi sono impegnato molto, ma i loro sacrifici hanno fatto sicuramente la differenza. E continuano ancora oggi a fare sacrifici. I primi anni nelle giovanili del Milan partivo alle 6.30/7 da casa con mia mamma. Lei, di professione infermiera, lavorava a Bergamo, mi lasciava a scuola alle 7.30 e poi andava al lavoro.
Ho frequentato l’iSchool a Bergamo, una scuola privata che mi ha permesso di gestire meglio i tempi con il calcio. I primi tre anni ho fatto il Liceo poi sono passato all’Alberghiero, partivo alle 6.30/7 da casa e tornavo a casa alle 9 di sera. A studiare mi aiutava mia cugina. Gli ultimi anni a Milanello erano 4 ore di viaggio e mia mamma veniva a prendermi a Bonate perché la navetta non arrivava fino in Valle Imagna. Per studiare avevo pochissimo tempo, solo un po’ sul pulmino e la sera. Ma era davvero dura. Alla fine però ce l’ho fatta e mi sono diplomato alla scuola Alberghiera. Ho fatto anche lo stage in una pasticceria di Bergamo, e devo dire che mi sono trovato molto bene”.
Ma ovviamente il nostro Giorgione, mentre impastava brioches e pasticcini, pensava al suo grande sogno di diventare calciatore professionista. Sogno che, oggi, può dirsi avverato, anche se il nostro granitico difensore valdimagnino non smette di sognare: “Il mio obiettivo è fare sempre meglio, mai dormire sugli allori. È un po’ nel nostro DNA di valdimagnini non fermarsi mai. La Nazionale? È sicuramente un grande obiettivo, ma ora penso al Venezia. Voglio tornare in Serie A”.
La carriera: il doppio salto e l’esordio in Serie A
I primi calci ad un pallone, Giorgio, li ha dati al Valle Imagna (oggi Accademia Sport Imagna), poi a Pontisola e al Milan, dove ha fatto 4 anni e mezzo tra giovanissimi, giovanissimi nazionali, Primavera, 6 mesi in serie D alla Virtus Bergamo, poi è tornato nella Primavera rossonera. “Mi allenavo anche con la Prima Squadra – precisa – sono stato convocato anche con mister Montella. Di quegli anni ricordo compagni che hanno fatto poi molto bene come Patrick Cutrone, Manuel Locatelli, Gianluigi Donnarumma.
Poi sono passato al Genoa, dove ho alternato Primavera e Prima Squadra. Poi al Feralpisalò in C, dove purtroppo mi sono rotto subito il crociato. Un periodo buio, mi ha aiutato tanto la famiglia. Per riprendermi del tutto ho pensato di andare a Olbia, sempre in C, dove sono ripartito dal quel brutto infortunio e ho fatto bene”. Molto bene, aggiungiamo noi, tanto che è arrivata la chiamata del Cagliari che ha permesso ad Altare il “doppio salto” di categoria. Un doppio salto a cui Altare non ha faticato ad adattarsi. “A Cagliari sono stati due anni belli intensi, emozioni altissime, ma anche delusioni. Tra le grandi soddisfazioni sicuramente il primo goal in serie A, contro la Salernitana. L’ho dedicato ai miei genitori e alla mia ragazza, anche lei valdimagnina, che mi hanno sempre seguito. Mi è dispiaciuto non poter giocare contro l’Atalanta a Bergamo. Purtroppo mi ero preso il Covid”.
L’attaccante più difficile da marcare in Serie A? “Sicuramente Lautaro. Mi piacerebbe rincontrarlo, anche per valutare i miei miglioramenti in questi anni di B. Da Juventino, anche marcare Dybala e Vlahovic ha fatto un certo effetto. Così come incontrare il mio idolo Giorgio Chiellini. La promozione in Serie A è stata veramente pazzesca, abbiamo tutti dato il 110% come chiedeva il mister e i tifosi ci sono stati vicinissimi. Cagliari è una bellissima piazza. Dopo la delusione della retrocessione i tifosi si sono riavvicinati con entusiasmo alla squadra”.
La Valle Imagna sempre nel cuore: “Quando torno mi piace fare il fieno”
E ora che calca i più importanti campi di calcio italiani, Giorgio non si è dimenticato delle sue origini, del campo dove – invece di correre con il pallone tra i piedi – si pratica la fienagione. Proprio così: “Quando torno a Selino Alto mi piace sbrigare le faccende di campagna, come quando ero piccolo. Prendo ancora in mano il rastrello e faccio il fieno: mio zio ha alcune mucche e così gli do una mano volentieri. Quando torno in Valle mi ricarico le pile. Amo la Valle Imagna e la montagna”.
La mamma è valdimagnina doc, il papà di origini piemontesi, Giorgio è cresciuto nella piccola frazione di Selino Alto a Sant’Omobono Terme. Dove chi ci abita non perde occasione per ricordare che il “Giorgione è originario di qua”. “Siamo una piccola valle, ci conosciamo tutti – spiega Altare – I valdimagnini sono stati i miei primi sostenitori. A metà campionato, quando ero alla prima stagione al Cagliari, mi hanno fatto una festa a sorpresa e messo uno striscione al campo del Valle Imagna. Per me è uno stimolo avere una valle intera che fa il tifo per me”.
Dal Valle Imagna al Milan… “e pensare che dovevo fare nuoto”
“Ai tempi del Pontisola sono venuti a vedermi gli osservatori del Milan. Io mi ero ferito al sopracciglio la partita prima. Per farmi giocare mi hanno suturato la ferita e mi hanno fatto indossare un caschetto, tra l’altro quella partita ho segnato proprio di testa. E l’ho presa proprio dove mi avevano messo i punti – ride – Il giorno dopo arriva la chiamata dal Milan, mio papà in lacrime, mia mamma emozionatissima”.
Ma prima di andare al Valle Imagna – racconta – dovevo cominciare a fare nuoto agonistico, dicevano che ero portato, e sciavo anche. Poi però mio zio, che era dirigente al Valle Imagna, ha chiesto a mia mamma di portarmi al campo a provare. A quel punto ho mollato nuoto e sci e mi sono dedicato completamente al calcio”. Beh, lo zio ci ha decisamente visto lungo.