L’arte per sentirsi liberi, oltre il proprio lavoro e tutte i limiti, anche quelli di una realtà che stenta a tenere il passo con la voglia di flessibilità dei giovani professionisti indipendenti. Irene Facoetti, 28enne di Corna Imagna, racconta la propria attività nell’ambito della fotografia e non solo.
“Faccio post-produzione fotografica: in sostanza ritocco le foto. In realtà, sono diplomata in ragioneria: dopo le scuole ho lavorato per cinque anni come impiegata, ma non faceva per me. Mi sono chiesta quale fosse la mia passione, ed era la fotografia: ho studiato per un biennio al CFP Bauer di Milano e ho capito che la parte che mi interessa di più è la post-produzione: così, ho aperto partita Iva per cercare i primi clienti”.
Può sembrare un mondo un po’ oscuro: a Irene il compito di spiegare nel dettaglio di cosa si occupa: “Lavoro principalmente nel campo moda: ad esempio, mi occupo della postproduzione di foto che finiscono sull’e-commerce di alcuni marchi, come North Face. Si scatta la foto del campo che verrà venduto in futuro e io tolgo le pieghe, sistemo il colore e così via. Oppure, un’altra agenzia si occupa di sfilate di moda. Durante le fashion week, che sono più di una, i fotografi scattano e le loro foto vengono post-prodotte per poi essere pubblicate”. A Irene il compito di manipolare questi scatti, e non solo: “A volte vado sul posto, dove si tengono le sfilate, e seleziono le foto che vengono direttamente pubblicate sul sito, come accade con Vogue. Alcuni brand, i più importanti, vogliono vestire tutto loro: se io vado da Prada, ad esempio, ci dicono quali foto vogliono e come devono essere post prodotte”. Si tratta di un lavoro molto tecnico: “Io non sono una grandissima appassionata di moda, ma alcuni fotografi mi incaricano di post-produrre i loro lavori personali, come alcuni per National Geographic: lì c’è più libertà e creatività su quale tono e colore dare alla foto”.
Un lavoro che permette a Irene di essere indipendente, in ogni senso: ciononostante, racconta, c’è un fattore che non le permette di essere flessibile quanto vorrebbe. “Io passo gran parte del mio tempo lontano dalla Valle Imagna, ma quando riesco mi piace tornare: lì ho la famiglia, gli amici e sono affezionata a questi posti. Respiro tranquillità e il verde che mi manca durante i viaggi. Magari capita di dover lavorare da casa, ma non ho una connessione buona” nonostante “i lavori per la fibra sono già iniziati, diciamo nell’ultimo anno, ma ancora non si è fatto nulla. Io mi tengo informata, per sapere quando avremo una linea veloce, ma non si sa”.
È un grosso ostacolo: “Vogue o altri committenti richiedono un invio quasi istantaneo, io non posso permettermi di perdere un’ora per scaricare i file e quindi devo restare a Milano”. Irene adotta una prospettiva più ampia: “Mi chiedo se sono l’unica ad avere questo problema, si parla anche di attrarre chi viene da fuori: la nostra Valle potrebbe portare persone dall’estero che lavorano da remoto, ma sono bloccate da questo problema. È una situazione assurda, se qualcuno vuole tornare in Valle non può farlo: anche se solo ci fosse un hub a Villa d’Almè sarebbe una svolta”.
Un aspetto importante della propria professione, per Irene, è il tempo che le concede per dedicarsi ad altri progetti: “Ho tutta una serie di idee creative personali, ho tempo per portarli avanti perché alcune richiedono anche anni. Un momento in cui ho detto ‘wow’ è stato quando, a settembre dello scorso anno, ho esposto Equilibrio, un mio progetto al Palazzo delle esposizioni a Roma. Era un’idea nata per elaborare la morte di mia nonna: quando l’ho visto, ho pensato che il mio lavoro mi ha dato la libertà di poter creare anche quello. Ma anche quando ho lavorato per National Geographic, sono andata in un centro di ricerca francese dove ho visto cose che sembravano uscite dal futuro. Oppure, quando lavoro per Vogue, ho l’opportunità di vedere installazioni creative alle sfilate e penso che lì ci sono arrivata da sola, facendo quello che mi piace”.