Una petizione online – inviata sotto forma di lettera anche alla presidente del Tribunale dei minori di Brescia, Cristina Maggia (a cui Bergamo fa riferimento e che dovrà pronunciarsi in merito) – pubblicata su change.org dalle famiglie del progetto di accoglienza “Patti educativi” della Valle Imagna con la quale si chiede di non rimpatriare gli orfani ucraini nel loro Paese, dove la guerra è ancora in corso.
Entro l’inizio del prossimo anno scolastico, secondo le direttive delle autorità ucraine, i 63 bambini ucraini ospiti tra Rota d’Imagna e Bedulita dovranno tornare in Ucraina. Ma c’è preoccupazione “per il futuro di questi bambini – si legge nella raccolta firme, che nel momento in cui scriviamo ha superato le 700 adesioni – dopo aver saputo che entro la fine dell’estate saranno rimpatriati, con garanzie approssimative riguardo le future strutture ospitanti e l’incertezza del mantenimento dei contatti con fratelli e sorelle.
“L’obiettivo di questa petizione – prosegue – è quello di arrivare al cuore delle persone e delle istituzioni, sperando di trasmettere a tutti che ci sono periodi della nostra esistenza ricchi di senso, non soltanto di interpretazione di leggi, diritti e doveri. Fermo restando che nessuno di noi vuole sostituirsi agli organi competenti o proporre soluzioni insostenibili, siamo tutti pienamente consapevoli che la questione logistica esiste e va affrontata con i dovuti modi, ma ci rivolgiamo a chi può fare qualcosa di concreto per loro.
La guerra in Ucraina purtroppo non è terminata, il trasferimento dei ragazzi in questo momento di totale insicurezza è davvero necessario? Possibile che non ci sia una soluzione alternativa?
Pensiamo che il rapporto che si è creato con loro in questi mesi di accoglienza ci dia il diritto di esprimere perplessità su questa decisione. Noi famiglie abbiamo imparato a considerarli come singoli soggetti, portatori di una loro identità unica ed inimitabile, a cui vanno costruiti intorno percorsi personalizzati. L’idea di rimpatriare tutti indistintamente senza considerare le specificità e i percorsi vissuti in questi ultimi 30 mesi, da ognuno di loro, ci sembra una soluzione semplicistica che non fa bene a nessuno.
Perché non incentivare uno “svuotamento dal di dentro” di questa esperienza, come già sta avvenendo. Diversi bambini e ragazzi si sono trasferiti in USA o sono rientrati in Ucraina attraverso progetti di affido temporaneo o di adozione internazionale (con famiglie Ucraine). Altri sono divenuti maggiorenni e hanno potuto scegliere percorsi di accompagnamento all’età adulta e di ricerca dell’autonomia.
Non sarebbe forse più utile consentire a questa esperienza di continuare per i prossimi 12/24 mesi, allo scopo di trovare una soluzione familiare o o altro, per ognuno di questi bambini e ragazzi, in Ucraina o anche fuori dall’Ucraina, mantenendo sempre la predilezione per famiglie Ucraine, se questa è la volontà del governo nazionale? Perchè non provare a lavorare tutti insieme, Italia e Ucraina, per il personale bene di questi minori? Perchè non ipotizzare di utilizzare gli istituti della “protezione” garantiti dal diritto internazionale che possa assicurare sicurezza per loro e per chi li accoglie?
Per noi famiglie la loro partenza rappresenta un colpo di spugna dopo due anni e mezzo di sforzi da parte dell’intera comunità: la scuola, gli educatori Ucraini e Italiani, i compagni di classe, i nuovi amici, tutte le persone che in diverse forme si sono prodigate per integrarli nel miglior modo possibile. Qualcuno si è chiesto quale sia l’opzione migliore per i ragazzi? Qualcuno ha chiesto loro cosa ne pensano? Converrete con noi che questi ragazzi hanno già pagato tanto, forse è arrivato il momento di rendergli qualcosa”.