Quando il Grand Hotel ospitava nobili, attori e calciatori: dai fasti alla decadenza del gigante di San Pellegrino

In attesa che i californiani riportino il Grand Hotel al suo antico splendore, una bella testimonianza che racconta dei fasti (e della decadenza) del gigante liberty di San Pellegrino.
27 Agosto 2024

Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.21” a cura di  Dalmazio Ambrosioni.

Dal 1936 al 1978 il Grand Hotel di San Pellegrino Terme è stato gestito da Ancilla Beretta-Schisano, luganese doc. Di seguito i ricordi di Marco Solari, presidente del Locarno Film Festival, che per decenni ha trascorso le estati a San Pellegrino, assistendo ai fasti e alla decadenza del gigantesco albergo  – il cui futuro e ora nelle mani del gruppo californiano EKN Development.

Il 29 settembre 2003 si tenne in Comune a San Pellegrino una cerimonia ufficiale e familiare al tempo stesso. Il sindaco Nicola Baroni ricevette il Libro degli ospiti del Grand Hotel dalle mani di Marco Solari, presidente del Festival internazionale del film di Locarno, in Svizzera, uno dei più antichi (prima edizione nel 1946) e più conosciuti del mondo del cinema. Come mai quest’incontro e che rapporto ha lo svizzero Marco Solari con il Grand Hotel? Nel suo passato in quel maestoso ingresso e nei saloni sono stati girati anche dei film: nel 1964 Federico Fellini vi ambientò alcune scene di Giulietta degli spiriti, mentre nel ’78, in un’atmosfera ormai triste e decadente, Dino Risi diresse Primo amore, con Ugo Tognazzi, Ornella Muti e Mario del Monaco. Ma in quest’occasione il cinema c’entrava poco. Semplicemente Marco Solari aveva sentito il dovere di riportare nella sua sede naturale quel Libro con firme e dediche di importanti personaggi, che gli era stato affidato dalla zia Ancilla, per oltre quarant’anni padrona di casa al Grand Hotel. L’aveva diretto dall’epoca d’oro degli anni Trenta con ospiti importanti del bel mondo milanese e internazionale, fino alla progressiva decadenza iniziata sul finire degli anni Sessanta e conclusa con la chiusura nel 1979.

Quel Libro degli ospiti, da allora custodito nella Biblioteca di San Pellegrino, era ed è prezioso perché riporta decine e decine di grandi firme come quelle della Regina Margherita di Savoia nel luglio 1905, della Regina Elena con i figli principe Umberto e principessa Maria nell’agosto 1929, del compositore Pietro Mascagni, del generale Luigi Cadorna, dei Premi Nobel Eugenio Montale e Salvatore Quasimodo, dei nobili della famiglia dello zar di Russia, di diplomatici e familiari di Re Faruk d’Egitto, di Federico Fellini e Giulietta Masina, di Mario del Monaco, del mitico allenatore dell’Inter Helenio Herrera, di Edmondo Fabbri Ct della nazionale italiana nei primi anni ’60 e dei più celebrati calciatori di quel tempo. Su indicazione del medico dell’Inter Angiolino Quarenghi, i nerazzurri avevano infatti scelto San Pellegrino per i ritiri precampionato e qualche allenamento infrasettimanale, mentre gli Azzurri qui avevano preparato i mondiali del 1962 in Cile: tra gli altri c’erano gli “oriundi” Sormani, Altafini e Sivori oltre al giovane Gianni Rivera.

Il terreno del campetto del San Pellegrino, che confinava con il parco del Grand Hotel, era stato rifatto secondo i più avanzati criteri. Meglio di San Siro, dicevano i campioni della grande Inter di HH. Lo svizzero Marco Solari (nato a Berna nel1944, ticinese di Lugano-Barbengo) aveva ottimi motivi per consegnare di persona quel Libro al Comune. Anzitutto per ragioni affettive. Per anni, anzi decenni, aveva trascorso le estati proprio al Grand Hotel, dalla zia Ancilla. Primo soggiorno nel 1946, nemmeno due anni, con mamma e papà, prime foto in braccio agli zii. Poi tutte le estati dell’infanzia e dell’adolescenza. In secondo luogo per la consapevolezza che quel libro, con firme, ricordi e testimonianze storiche, appartiene alla storia di San Pellegrino, alle sue grandi stagioni turistiche, ad un passato comunque irripetibile.

Ma, chiedo al presidente Marco Solari, com’era giunta al Grand Hotel di San Pellegrino la luganese Ancilla Beretta? “Giuseppina Luvini, la mamma di Ancilla, rimasta vedova, dovendo lavorare per mantenere la famiglia aprì un albergo a Stresa. La figlia, mia zia, è cresciuta in quell’ambiente imparando sul campo i segreti della professione, in particolare il rapporto con la clientela improntato ad una rigorosa disciplina. Ad esempio non ha mai bevuto alcol. In occasione di un raduno di albergatori ha conosciuto il suo futuro marito, il napoletano Arturo Schisano, anch’egli già attivo nel campo alberghiero. Ed a metà degli anni Trenta hanno assunto la gerenza del Gran Hotel. Anni favorevoli cui però sono seguiti quelli della guerra. Con la Repubblica di Salò si sono ritrovati l’albergo requisito. Ne sono nate delle tensioni, alla fine della guerra sono poi arrivati i partigiani convinti che nelle cantine fossero occultati documenti e valori dei fascisti, e decisi a chiarire i rapporti dei gerenti con il regime, che ovviamente erano stati unicamente di natura professionale”.

Poi nel dopoguerra sono tornati tempi buoni per il Grand Hotel. “A guerra terminata gli zii hanno riportato l’albergo agli antichi fasti, il Grand Hotel ha ripreso in tutta la sua magnificenza. Era però cambiata la clientela. Non più la precedente legata all’aristocrazia, ma una nuova classe, sorta dal boom economico industriale. I nuovi imprenditori della borghesia milanese, che frequentavano località termali come Fiuggi, Acqui e appunto San Pellegrino. Rimaneva qualche scampolo della vecchia aristocrazia legata al passato regime, una certa nobiltà di stile ottocentesco, ma erano soprattutto personaggi della nuova, rampante imprenditoria dell’immediato dopoguerra; in settimana lasciavano mogli e figli per raggiungerli il venerdì sera. Era interessante per me bambino vedere questi due mondi a confronto, uno taciturno, compassato e avviato alla fine, l’altro vivace, chiassoso e rampante”.

scolari2 - La Voce delle Valli

Singolare il caso di lei bambino catapultato in estate da Berna in un Grand Hotel d’una stazione termale… “Fu possibile grazie agli stretti legami della mia famiglia con gli zii Schisano, in particolare zia Ancilla. Interessante notare che mio padre Guido proprio nel 1946 era stato incaricato di regolamentare il servizio visti dei Consolati svizzeri dell’Italia settentrionale; mamma Willetrud nata Joss, patrizia bernese, era figlia di uno scrittore. Grazie alla zia Ancilla ebbero la possibilità di trascorrere ogni estate le vacanze in quel mondo, che non era necessariamente il loro. Sta di fatto che io arrivo piccolissimo al Grand Hotel con l’affettuosa accoglienza degli zii, che non avevano figli. Tutto nuovo per me, tutto diverso, interessante. Contenti anche gli zii di avermi in quelle estati con mia mamma, di tenermi in braccio come testimonia un album di fotografie nel giardino, nel parco, in quell’interno, che mi pareva enorme e interminabile”.

Così per molti anni. In pratica il Grand Hotel era diventato la seconda casa… “Dopo le scuole si andava a San Pellegrino per quasi due mesi. Ho avuto così modo di conoscere ogni angolo dell’immenso e per me sempre meno misterioso Grand Hotel, di socializzare e talvolta familiarizzare con gli ospiti, per lo più della borghesia milanese, di frequentare il paese anche al di fuori del classico triangolo Gran Hotel-Terme-Casinò, che assorbiva la maggior parte del tempo degli ospiti, sempre sotto la regia della zia Ancilla. Non smisi di venirci nemmeno dopo il matrimonio. Anzi San Pellegrino è diventato per anni una sorta di buen retiro, tra famiglia e lavoro”.

Laurea in scienze sociali all’università di Ginevra, già nel 1972, a 28 anni, gli è stata affidata la direzione dell’Ente ticinese per il Turismo. Nella scelta professionale c’entra qualcosa anche il Grand Hotel? “Sicuramente. I ripetuti soggiorni, gli ottimi rapporti con gli zii e la conseguente consapevolezza dell’importanza dell’albergatoria e del turismo nella vita sociale ed economica mi avevano sensibilizzato verso questo settore essenziale per il Canton Ticino, dove tuttora costituisce la prima risorsa economica con il 10% del prodotto complessivo. Qui ho conosciuto persone, ho stretto legami di amicizia, mi sono affezionato al mondo dell’accoglienza, a quella che poi ho imparato a conoscere come una realtà sociale ed economica importante. Qui ho iniziato a capire che con il turismo si può essere creativi, si possono promuovere pubbliche iniziative interessanti, si può entrare nel dibattito sociale ed anche politico”.

Non mancava al Grand Hotel una certa verve culturale, come il Congresso nazionale degli scrittori del 1954. “Eravamo in pieno luglio e, su idea del sindaco Gian Pietro Galizzi, la ville d’eau della Val Brembana, come scrisse un giornale, riuscì a radunare una rappresentanza qualificata della letteratura italiana. Ricordo un incessante andirivieni e capii che anche lì, tra scrittori e poeti, era in atto una sorta di cambiamento epocale, un confronto tra vecchi e giovani. Infatti quel convegno s’intitolava “Romanzo e poesie di ieri e di oggi. Incontro di due generazioni”. Rileggendo le cronache s’incontrano letterati come Emilio Cecchi, Goffredo Parise, Guido Piovene, Italo Calvino, Giuseppe Ungaretti, Andrea Zanzotto, Diego Valeri, Maria Bellonci e tanti altri. Rivedo un Eugenio Montale inquieto e accigliato tra incontri e riunioni. Nel contempo era la conferma che gli zii erano aperti al nuovo e davano il loro contributo di albergatori al rilancio di una stazione turistica come San Pellegrino, che allora finiva sempre con Terme”.

* In sintesi, come funzionava la vita dell’albergo? “Direi alla svizzera, con regole e orari precisi. Le persone che arrivavano per soggiorni anche lunghi dovevano adeguarsi alla disciplina della casa: orari per pranzi, thè e cene, bar, luoghi dell’albergo da frequentare come e quando, svago nel parco a una determinata ora… La vita alberghiera anni ’50 era stabilita da regole scritte e non scritte come in una casa borghese. Lo zio aveva iniziato a servire negli alberghi da piccolo, aveva sviluppato una psicologia naturale. Subito misurava il cliente, che poi era affidato alla delicatezza, alla gentilezza, alla sensibilità, al savoir faire della zia. Lui stava in ufficio, usciva a determinati orari per il caffè, il giornale e l’aperitivo, il suo contatto con i clienti era al loro arrivo e alla partenza. L’ufficio relazioni pubbliche era la zia. Sentiva la responsabilità di far star bene e intrattenere gli ospiti, si preoccupava del loro benessere di giornata, di organizzare tutto, di risolvere qualsiasi problema”

Che tipo di clientela frequentava quell’albergo che una certa mitologia avvicinava al Palais des Tuileries di Parigi? “Coppie per lo più di una certa età, che regolarmente passavano il ponte per recarsi a bere alla fonte. In settimana per lo più signore, che si ritrovavano al pomeriggio nella magnifica, grande hall con la zia che passava di tavolo in tavolo per ascoltare tutte e tenere accesa la conversazione. Se veniva a mancare il marito, come nel caso di Gilberto Govi, la vedova continuava a tornarci. Si raccontavano storie di famiglia, divertenti ed anche colorite: figli, sapori e dissapori, tradimenti, ambizioni, lutti… I telegrammi diventavano motivo di conversazione, così come gli arrivi e le partenze. Era un’immensa famiglia, ognuno la propria camera che guardava sul Brembo, quelle delle servette e dei domestici sul retro, verso montagna. I giovani si ritrovavano in piscina o al tennis, negli anni ’60 alla Vetta è stata posata la pista di plastica “Al Sole”, dove arrivavano i più noti campioni dello sci, da Killy a Thoeni, ma anche Facchetti e Gimondi. Un ambiente per me molto più eccitante di quello bernese”.

Poi la decadenza e la chiusura. “Una chiusura a tappe. Lo zio Arturo è morto nel 1970 ed è sepolto nel cimitero di San Pellegrino. La zia Ancilla ha tentato con la forza della disperazione di tenere in vita il Grand Hotel, che accusava l‘usura del tempo: ascensori che smettevano di funzionare, soffitti che si sgretolavano, cucine, pavimenti, impianti, suppellettili, decori che si rovinavano o sparivano. Le spese aumentavano, la Cassa di Risparmio non più disposta a ulteriori investimenti, i salari di quel grande datore di lavoro che era l’albergo non potevano essere adeguati, i giovani contestavano quel tenore di vita, rapporti sovente tesi tra il personale e la clientela di vecchio stampo, clienti che avevano paura di tornarci… Insomma era diventato sempre più difficile, impossibile, far fronte alle crescenti spese di gestione dello storico Grand Hotel, che era aperto solo 4 mesi l’anno. Chi cercava di opporsi al degrado era Silvestro Pesenti, ex carabiniere e factotum dell’albergo, uomo forte e generoso, assecondato dalla moglie Liliana e dalla figlia Giuliana. E la zia, sempre più anziana e stanca, faticava in balia di una situazione incontrollabile, dove era sparita la legge della sua proverbiale disciplina. Ultime aperture nel 1977 e 78, poi la chiusura”.

Le sue vacanze fino all’ultimo a San Pellegrino? “Proprio così, ma il tempo passava per tutti. Non erano più gli anni del Bigio con i pupazzi, della Belle époque alle Terme, di Lascia e Raddoppia con Edy Campagnoli a San Pellegrino, delle arrabbiature di Helenio Herrera: ricordo quando ho portato frutta ai giocatori dell’Inter, apriti cielo, era deciso ad andarsene con tutta la squadra e la zia è dovuta intervenire a rabbonire e rasserenare. La vecchia funicolare, le ville in collina, la compagnia, i profumi, i primi amori, le feste… Anche ad un amante dell’Italia come me, cinque anni fa insignito dal presidente Mattarella del titolo di Grande Ufficiale dell’Ordine della Stella della Repubblica, il più alto per un non italiano, pareva impossibile che le cose fossero cambiate, peggiorate a tal punto. Ma non dimenticherò mai quegli anni. Quell’Hotel di cui ricordo ogni angolo, ogni suppellettile, i marmi, le pareti affrescate le decorazioni Art déco. E quei personaggi che se ne sono andati con un’epoca irripetibile per quel grande, grandissimo albergo che speriamo possa essere recuperato ai fasti originari”.

Rimpianti? “No, piuttosto la consapevolezza di un riferimento importante e piacevole per me e la mia famiglia. Se ho intrapreso la strada del turismo e dell’imprenditoria è anche grazie a quei soggiorni, all’esempio degli zii che, nella migliore tradizione svizzera, hanno saputo lavorare con grande professionalità nel sostenere una struttura straordinaria, un gigantesco “personaggio” come il Grand Hotel, da cui vedo che non si riesce a staccarsi, e lo capisco benissimo. Quella “svizzera” è stata una stagione lunga e importante, in pratica dal 1936 al ’78, dagli anni d’oro alla decadenza. Sono certo che la zia Ancilla, con la sua verve, la disponibilità e il rigore che la distinguevano, sia entrata nel ricordo di tanti. Ha amato molto San Pellegrino. Quando nel 1984 al Grand Hotel l’abbiamo festeggiata per i suoi 85 anni ci siamo tutti emozionati per la sua commozione che annegava nei ricordi. Anch’io porto nel cuore San Pellegrino. Consegnando al Comune il Libro degli ospiti, ho inteso implicitamente sottolineare la vicinanza tra Italia e Svizzera, Bergamo e la Val Brembana con il Canton Ticino”.

marco scolari - La Voce delle Valli

FOTO COPERTINA: Eugenio Goglio, via Lombardia Beni Culturali

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Commenti:
  1. Articolo Bello e Nostalgico: quando nel 2012,da Milano, sono passata in Pullman x Piazza Brembana Io, innamorata di Castelli e Ville, ho notato Subito questo “Triste” Albergo ormai abbandandonato!!
    Spero che i Signori Americani possano riaprirlo x riportarlo al Suo Splendore

  2. Bellissimo articolo, Sarebbe interessante recuperare immagini anche degli interni e ricostruire con maggiori dettagli l’utilizzo di “terme”, luoghi di svago e pista di plastica che ricordo di aver visitato con mio padre poco dopo la sua costruzione.

  3. Sono un ristoratore ormai in pensione.
    Diplomato alla scuola Alberghiera di Stresa nel 1968. Ho lavorato nella stagione 1967, luglio e settembre, come apprendista di sala, con amici di Stresa, anche du cucina, svolgevo con il mio chef de rango, nel rango di SN al centro sala.
    Dormivamo al piano ammezzato. Nel pomeriggio aiutavo il barman. Ho avuto l’onore di servire il poeta Quasimodo, anche nella saletta l’ Inter. Una stagione indimenticabile. L’ordine e la disciplina erano proprio svizzeri. Epoca indimenticabile, clientela esigente. Cucina da manuale, con Chef Abaieur al pass. Argenteria da passare col bianchetto, al pomeriggio tra un servizio e l’altro. Mi auguro che sia rimesso in ordine, deve dare ancora soddisfazioni economiche e lavorative. Lo merita. Peccato che sia uno straniero e non un italiano, a riaprirlo.

  4. È stato per me un vero piacere racc0ntare, attraverso lo svizzero Marco Solari, un po’ di storia del Grand Hotel, che ho visto prima splendente e poi decadente.

  5. La storia che ho letto dello storico Grand Hotel S.Pellegrino mi ha emozionata molto , anzi mi è piaciuto molto il racconto , di grande sacrificio , per la passione che la Sig. Ancilla ha messo con tutto il cuore, spero x la Sua memoria che venga ristrutturato e riaperto , secondo me merita veramente! Da lassù vi ringrazierà.

  6. Buongiorno,
    Peccato che si parli tanto (e a ragione) del gran hotel e non si veda mai una fotografia degli interni delle stanze, dei saloni di quei tempi fiorenti. Il grand hotel mi ha sempre affascinata . Buona giornata.

  7. Bellissimo ricordo di un tempo che abbiamo amato.un affettuoso ricordo di una signora speciale ,la signora schisano ,presente alle mie nozze a bergamo nel 1979.complimenti per l’articolo.

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