Nuovo numero della rubrica dedicata alla salute a cura della Farmacia Visini di Almè. In questa nuova puntata il dott. Michele Visini analizza i paradossi e le contraddizioni di questo periodo “post Covid”.
E’ inutile negarlo, il nostro mondo attuale vive in quella che potremmo definire l’era “post-COVID”!!! E’ eccessivo? E’ un paradosso? E’ davvero così? Quante volte ci è capitato, conversando di cose che nulla avevano a che vedere con la sfera della salute, di fare riferimento ad un episodio del passato collocandolo temporalmente a “prima del COVID”? Siamo stati travolti da un’onda terribile, violentissima e inattesa…e per un lungo periodo siamo stati tutti in balìa degli strascichi della comparsa, nella primavera del 2020 di questo nuovo virus! La paura per molti mesi ci ha accompagnato e la normalità della vita “di prima” sembrava un miraggio irraggiungibile…..ma fortunatamente così non è stato, e piano piano tutto è tornato davvero come ricordavamo, senza restrizioni, senza distanze, senza limitazioni….sono tornate le dinamiche del vivere sociale in aggregazione!
Ma allora perché si continua a parlarne e ciclicamente sugli organi di informazione tornano a comparire numeri, dati, contagi, monitoraggi, ecc?? Perché si è tornati (in alcuni casi si è “continuato”) a fare tamponi? Serve? Ha senso? Io credo che sia opportuno provare a chiarire qualche punto, facendo alcune riflessioni. Mi scuso sin da subito per la lunghezza dell’articolo, ma spero che avrete la pazienza di seguire il discorso fino in fondo, nella speranza di poter fornire un punto di vista utile ai pazienti. Come sempre, non ho la presunzione di avere ragione né di declamare alcun tipo di verità; parlo condividendo riflessioni e pensieri generati dall’esperienza di quasi tre decadi di professione di farmacista, consapevole che più di una persona non condividerà le mie idee.
Partirei con il dare subito una risposta alle domande che ho lanciato nella premessa iniziale: ha senso fare tutto ciò? Ha senso riparlarne? Ha senso fare tamponi? Ha senso preoccuparsi? A tutte queste domande, io credo che la miglior risposta possibile sia, come spesso capita, “DIPENDE”….da cosa, lo vedremo in seguito. Secondariamente, mi sentirei di chiarire un altro punto che credo dovrebbe essere assolutamente noto ma sul quale spesso ci capita, durante le ore in farmacia, di sentirci porre la domanda: ma il COVID c’è ancora? Non se ne era andato? Ma allora bisogna tornare a rinchiudersi come facevamo prima? Il COVID è entrato a far parte del patrimonio microbiologico di virus e batteri che si definisce “endemico” (dal greco letteralmente “nella popolazione”) ovvero sempre presente tra noi.
Virus e batteri, infatti, non “arrivano” nella nostra società in certi periodi dell’anno, semplicemente in determinati momenti si creano le condizioni, per lo più ambientali e climatiche, per le quali tali microorganismi acquisiscono maggior potere patogeno, aumenta cioè la loro capacità di determinare un quadro sintomatico nell’individuo ospite infettato. Il COVID, dopo il primo periodo in cui è comparso tra noi, si è allineato al resto dei virus, “endemizzandosi”, appunto. Anche per questa ragione, più di due anni fa, a seguito della presa di coscienza di questo processo (e del conseguente fallimento di ogni reiterato tentativo, portato avanti per due anni, di limitare e combattere la diffusione del virus), tutte le misure restrittive ancora in essere sono state abbandonate ed è stata dichiarata la fine dello stato di emergenza. IL COVID c’è e probabilmente sempre ci sarà….convive con noi così come noi conviviamo con lui: per sapere se e quanto è presente ed è diffuso, bisognerebbe tornare a tracciare i contagi facendo tamponi a ripetizione….ma a questo punto mi chiedo….Ha senso farlo? Perché? Per quale fine? Le risposte arriveranno, mi auguro, nel corso di questo articolo.
Consentitemi a questo punto una breve parentesi teorica: cerchiamo di capire come funzionano Virus e batteri in quanto esseri viventi parassiti. Essi vivono e prosperano, letteralmente convivendo con noi (siamo gli ospiti che consentono loro, soprattutto ai virus, di sopravvivere), questo è chiaro, ma non per questo sono innocui così come non per questo sono un pericolo da cui difendersi. Virus e batteri necessitano del nostro organismo per moltiplicarsi, in particolare i virus che non hanno di per sé una struttura cellulare idonea alla sopravvivenza autonoma: gli organismi viventi autosufficienti, infatti, sono costituiti di cellule che sono la più piccola ed elementare struttura in grado di sopravvivere purchè nutrita; senza entrare nel dettaglio di meccanismi legati alla duplicazione del codice genetico, nel caso di virus come il COVID non possiamo minimamente parlare di autosufficienza, perché per questi microorganismi è assolutamente essenziale colonizzare un ospite ed utilizzarne gli apparati persino per il primo elementare passo che è quello della replicazione e moltiplicazione. Ora, se proviamo a ripensare al principio di base dell’evoluzione delle specie viventi, il concetto cardine, che si studia da ragazzi nelle scuole, è l’adattamento: gli esseri viventi si modificano adattandosi all’ambiente in cui vivono (nel caso dell’uomo, per poi modificarlo piegandolo alle esigenze del proprio sostentamento).
Non avrebbe alcun senso, in termini di logica evoluzionistica, distruggere il proprio ambiente perché questo significherebbe segnare inesorabilmente la propria stessa rovina! Se ci pensiamo, peraltro, è un po’ quello che sta accadendo alla più evoluta delle specie viventi: l’uomo……ma questa è un’altra storia e non è argomento di questo articolo! Il COVID, quando, nel tardo autunno/inverno/primavera del 2019/2020 (non si uscirà mai dal dibattito su quando sono realmente comparsi i primi casi….il famoso “paziente uno” è chiaro che tale non è stato….altro non si sa) è comparso tra noi, ha fatto danni enormi molto probabilmente perché non conosceva l’uomo come ospite e noi non avevamo nessuna contromisura nel nostro patrimonio immunologico pregresso. I primi mesi sono serviti al virus per mutare molto rapidamente e a noi per iniziare a sviluppare qualche sistema di difesa….e le cose sono cambiate, in modo significativo, assai precocemente.
La storia del triennio dal 2021 ai giorni nostri è stata un susseguirsi di mutazioni del virus e adattamento e sviluppo del nostro sistema immunitario (in parte naturale, in parte indotto dalle vaccinazioni), fino ad arrivare a non sentirne quasi più parlare (oltre che a non sentirne pressoché gli effetti in modo significativamente diverso da una delle tanti virosi dell’albero respiratorio) se non per qualche residua misura cautelativa. Eppure in questo inizio di autunno che si è subito presentato con clima piuttosto freddo, sono comparsi i primi malanni autunnali (da sempre definiti come “sindromi parainfluenzali”); nulla di nuovo, nulla di strano, nulla di sorprendente, è qualcosa che si collega in modo diretto alle condizioni climatiche e al ritorno nelle scuole e nelle attività lavorative al chiuso. Eppure, in queste settimane, l’aumento dell’incidenza di casi di malanni respiratori ha fatto ritornare a parlare di COVID e a ricercare i tamponi. Perché tutto questo? Ha senso? Eccoci finalmente alle domande iniziali, e al DIPENDE di cui sopra. Da cosa dipende? Essenzialmente dallo stato di salute del paziente in questione, perché questo virus, esattamente come gli altri virus e batteri che colpiscono le vie respiratorie, può portare a un quadro sintomatologico che può complicarsi in presenza di pregresse malattie gravi o di uno stato di salute precario.
Perché il tampone solo per il Covid?
Partiamo col dire che il cosiddetto tampone, che la maggioranza delle persone sembra ricondurre per antonomasia al solo COVID, è di fatto una tecnica, nota da tempo, di campionamento di materiale biologico raccolto (tipicamente dalle mucose delle vie aeree, come nel caso del tampone faringeo per lo Streptococco, ma anche, per fare un esempio piuttosto noto, dalla mucosa vaginale nelle donne in prossimità del parto) per poter eseguire un test diagnostico. Nonostante questo, “fare un tampone” è diventato nell’immaginario collettivo solo ed unicamente eseguire un test per confermare o meno una infezione da COVID. Qui sorge la prima domanda: perché solo per il COVID? Gli altri virus non meritano le stesse attenzioni? Perché non le meritano? Sono meno importanti? Sono meno pericolosi? Il COVID attuale lo è in misura maggiore?
Non sembra essere così, da quel che si evidenzia sul territorio non appaiono significative differenze in termini di patogenesi diretta (capacità di provocare uno stato di malattia in assenza di condizioni di salute precaria pre-esistenti) tra i diversi microrganismi responsabili dei sintomi a carico delle vie respiratorie (raffreddore, mal di gola, tosse, febbre, bronchiti, polmoniti,….). Ma allora perché si sta tornando a cercare i tamponi per il COVID? Credo dipenda dalla paura che questa parola ancora genera in noi e credo che, purtroppo, molti organi di stampa siano consapevoli di quanto questa notizia possa suscitare interesse; non credo, peraltro, che questo tipo di approccio sia corretto perché tende a sostenersi ed alimentarsi con il timore di rivivere quanto vissuto. Ma la paura non può e non deve mai essere ciò che induce un paziente ad eseguire un tampone che altro non è se non un test diagnostico, il cui risultato dovrebbe far scegliere terapie e comportamenti diversi: è così per il COVID? Esistono schemi e protocolli terapeutici specifici in casi di esito positivo del tampone? La risposta è NO per la totalità della popolazione che non rientra nel ristretto novero di pazienti con uno stato di salute tale da poter ricevere la prescrizione e la dispensazione dell’unico farmaco realmente specifico, ovvero il PAXLOVID (Nilmatrelvir/Ritonavir), un antiretrovirale in grado di bloccare la replicazione del virus e quindi di frenarne la crescita nel paziente infettato.
In ragione del suo meccanismo di azione, tale farmaco, come tutti quelli appartenenti a questa categoria (uno dei più noti è l’Aciclovir, farmaco efficace per le infezioni da Herpes Simplex e Herpes Zoster, ovvero la varicella) deve essere somministrato quanto più precocemente possibile; nel caso del COVID diventa a questo punto chiaro che è assolutamente fondamentale poter eseguire, il prima possibile, un tampone diagnostico. Diagnosi precoce con tampone in questo caso non è una buona idea…..è una scelta salva-vita!! Nella restante parte dei casi, onestamente credo sia più il bisogno di “togliersi un dubbio” più per curiosità fine a sé stessa che per una reale esigenza medica: non ci sono protocolli speciali, le terapie che non prevedano la prescrizione del PAXLOVID sono costituite da farmaci di sollievo che trattino i sintomi e non la causa, sintomi che come abbiamo detto sono del tutto comuni a diverse infezioni causate da altri patogeni.
Va da sé che far diagnosi con un tampone in questi casi diventa inutile. Analogo discorso può essere fatto per i comportamenti da tenere: starsene isolati e proteggere gli altri con una mascherina sono accorgimenti che non dovrebbero essere limitati alla sola infezione da COVID ma dovrebbero essere applicati a qualsiasi altra circostanza in cui si sospetti di avere contratto una qualche infezione. Questo significa che bisogna tornare ad isolarsi e bisogna tornare ad indossare le mascherine? Dipende. Sicuramente dovremmo aver capito (se mai ce ne fosse stato bisogno) che trasmettere un’infezione delle vie respiratorie ad un soggetto precario può essere pericoloso…..ma in tutti i casi…..non solo perché si tratta del COVID…..o davvero non abbiamo capito che ogni anno diverse persone vanno incontro a stati di malattia molto seri per le complicanze, tra le altre, di quella che per la maggior parte delle persone altro non è che una “semplice influenza”??? In realtà credo personalmente che la verità su quale possa essere il comportamento migliore da tenere stia come sempre nel mezzo e tutto quanto debba essere improntato al buon senso. La vita sociale implica necessariamente contatti e conseguentemente trasmissione delle patologie sostenute da microrganismi che si propagano per via aerobia: non può essere impedito. E difatti tutti noi prima del COVID vivevamo tutto questo come inevitabile e concetti come isolamento o protezione con le mascherine non sono mai stati contemplati; tuttavia la lezione di quanto accaduto può averci insegnato la teoria del “giusto mezzo”, per cui a volte proteggersi ed evitare certi ambienti e certe persone può essere la scelta giusta.
Un’ultima annotazione che ritengo possa essere interessante. Si è parlato di influenza e del suo impatto sulla salute pubblica: se è vero che può dar luogo a complicanze anche gravi, e se è vero che, trattandosi di un virus che si trasmette attraverso le vie aeree e le goccioline di saliva che emettiamo, potrebbe essere eseguita la diagnosi con la stessa metodica, i tamponi, del COVID, perché tutto questo non è mai stato fatto? I tamponi per l’influenza esistono, così come, anche se questo è noto a pochi, esiste un farmaco antivirale (non la vaccinazione!) in grado di combattere le infezioni causate dal virus influenzale: lo Zanamivir, commercializzato più di quindici anni fa e rivelatosi uno dei più grossi flop a mia memoria. Insuccesso causato certamente dai costi (farmaco totalmente a carico dell’assistito) ma soprattutto, credo, dal fatto che non ha senso prescriverlo in assenza di diagnosi precoce e non serve somministrarlo se l’infezione si è manifestata da più di 48 ore. In tutti questi anni non è mai stato prescritto né acquistato da noi in farmacia….eppure in moltissimi casi avrebbe potuto essere utile! Se si fossero usati i tamponi e se si fosse fatta diagnosi certa e precoce, forse qualche paziente avrebbe potuto scegliere di curarsi con questo farmaco evitando le complicanze (talvolta fatali, giova ricordarlo!) dell’influenza.
QQuesto dovrebbe farci riflettere e capire che è sempre necessario informarsi, confrontarsi con personale specializzato e decidere senza mai farsi condizionare da timori (soprattutto se legati al passato) troppo spesso alimentati dal sensazionalismo di una larga fetta di mass-media. L’informazione è un diritto ma è anche un dovere!
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Complimenti a questo farmacista ,del mio paese natio che purtroppo ho lasciato con la mia famiglia del 48 avendo solo 3 anni , per crescere come tanti del dopo guerra, a emigrante in terra francese.
In Almè ho tanti parenti perhè mio padre era figlio di una famiglia numerosa.
I miei tornarono nel 1970 nella loro casa di Ponteranica acquistata o i suori del duro lavoro di papà boscaiolo nella regione siberiana del Jura confinando con la Svizzera romanda, dove in quegli anni il termometro in inverno scendeva tra i 20 30° sotto zero circa 3 mesi l’anno.
Di questo Signore Farmacista leggo con internet tramite le notizie del giornale Eco di Bergamo, il bene che svolge il terra Nepalese che fa difficoltà a riprendersi dopo tanti anni dal disastroso terremoto subito. Bravissimo lui e chi lo sostiene.
Ora, per rispondere al suo testo di spiegazioni chiarissime, anche non essendo laureata nel settore medico, spiega quello che tanti di noi ha sempre pensato con tutto il periodo Covid. e anche odierno.
Ho seguito tutta la tragedia del mio popolo, ho perso un cugino , e una zia che abitava proprio ad Almè ( Zia Agnese Rota/Capelli ) che fu capo reparto del maglificio dove lavorava, mio zio Cesare fratello di papà Angelo fu infermiere al Manicomio di Seriate fino alla pensione.mori nel 98, la zia invece cade in casa durante il Covid e non vi erano posti per il ricovero e operarla. Comunque mori contagiata intorno a Milano.
Vivendo da sposata in Umbria dalla fine 69, tante notizie dettagliate non le ho sapute.
Io , ho sempre cercato di capire perche la parola influenza fosse sparita dall ‘inverno 2019. Vi erano i morti anche prima con le sue complicazioni, ma tutto era diventato esito da Covid., qui dove vivo in Umbria , nel comune morirono in circa 40 giorni 5 uomini improvisamente , 2 nel sonno, mai successo e non era permesso esprimere il proprio pensiero quando si iniziava a dover vaccinarsi.
Buon lavoro e tanti saluti anche se non avrò espresso tutto il mio pensiero chiaramente.
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Ma qual è il messaggio che questo articolo vorrebbe dare?