Nuovo numero della rubrica dedicata alla salute a cura della Farmacia Visini di Almè. In questa nuova puntata il dott. Michele Visini spiegherà l’importanza della continuità e del follow-up nelle patologie croniche, come la pressione arteriosa.
Le patologie croniche si caratterizzano per provocare disturbi ai pazienti ogni giorno, disturbi che nella maggior parte dei casi risultano difficili da avvertire ed individuare, con speranze scarse o nulle di potersene liberare definitivamente. La pressione alta (tecnicamente definita “ipertensione arteriosa”) rientra in questa categoria e ne costituisce una amplissima fetta. L’incidenza delle patologie croniche è, ad oggi, ancora estremamente elevata: riguardano diversi apparati del corpo umano, dalla sfera cardiovascolare (ancora la principale area di interesse), a quella respiratoria, gastrointestinale, dermatologica, psichica e scheletrica. Insomma, si tratta di sindromi che possono riguardare davvero tutto il corpo.
I pazienti affetti da patologie croniche (indipendentemente dalla parte del corpo interessata) devono comprendere in modo chiaro che il loro disturbo (a prescindere da quanto fastidiosi e manifesti possano essere i sintomi) molto probabilmente li accompagnerà per tutta la vita: le terapie che verranno instaurate avranno l’obiettivo di regolare e ridurre l’impatto di tali disturbi, a differenza delle terapie per patologie acute, che mirano invece ad eliminare e risolvere la problematica creatasi. Se analizziamo i dati di vendita dei farmaci di una farmacia, possiamo notare come la grande maggioranza di essi appartenga ad una delle categorie terapeutiche destinate a trattare disturbi cronici: se le problematiche croniche sono così diffuse, meritano un interessamento sempre più attento da parte di tutti gli attori del sistema salute.
Quali potrebbero essere le parole chiave che si possono applicare alla complicata questione delle patologie croniche e dei pazienti che ne sono affetti? La prima potrebbe essere CONTINUITA’, parola che si applica a tutto quanto, a partire dalle affezioni a carico del paziente fino ad arrivare alle terapie; la seconda potrebbe essere FOLLOW-UP, ovvero tutti i programmi che potrebbero essere realizzati per seguire la storia clinica e farmacologica dei pazienti nel tempo.
IL PROBLEMA DELLA “COMPLIANCE”
Uno dei principali problemi contro cui da sempre si scontra l’intero sistema sanitario territoriale è quello della cosiddetta “compliance”: con questo termine si vuole indicare la capacità dei pazienti di seguire correttamente le prescrizioni e sottoporsi con regolarità ai controlli previsti. Storicamente, uno dei principali ostacoli al successo delle terapie è sempre stata proprio la scarsa compliance, soprattutto nel lungo periodo, in particolare per pazienti con pluri-patologie.
In quest’ottica, un elemento fondamentale da sviluppare è quello della consapevolezza e della conoscenza: creare cultura sanitaria significa incrementare la piena coscienza da parte del cittadino su ciò che sta facendo, sulla malattia da cui è affetto e sull’importanza di seguire in modo corretto e continuativo le prescrizioni. Può apparire banale e scontato, ma non lo è affatto: un individuo adeguatamente informato sulle sue condizioni di salute, su quanta importanza abbia il prendersi cura di sé, su come e perché agiscono i farmaci prescritti e sul perché tali terapie debbano essere mantenute senza interruzioni, potrà più facilmente seguire le indicazioni del personale sanitario, rispetto a chi non riceve informazioni e attenzioni. Tuttavia non sempre è sufficiente!
In primo luogo è essenziale sottolineare che statisticamente le patologie croniche colpiscono in prevalenza individui meno giovani, creando spesso un quadro pluripatologico che può richiedere un indirizzo terapeutico tutt’altro che semplice. Inoltre, la tendenza da parte dei medici di base è quella di rilasciare ai pazienti prescrizioni che coprano un periodo di tempo più lungo possibile, evitando in tal modo di dover rivedere con troppa frequenza le persone solo per poter fornire loro le prescrizioni per terapie continuative. Da ultimo, le ristrettezze economiche in cui versa il nostro servizio sanitario nazionale non consentono ai pazienti di essere monitorati con frequenza.
I PROGRAMMI DI FOLLOW-UP
E’ chiaro che questo è un discorso assolutamente generale e non sempre si creano queste difficoltà: molti pazienti sono seguiti molto bene, sia dai medici di base, sia dai caregiver (parenti o personale addetto), sia da un punto di vista terapeutico che di indagini e controlli. Ma quando questo non accade? Cosa si potrebbe fare? In che modo si potrebbe provare ad integrare tutti gli attori del sistema sanitario per prendersi cura dei pazienti e creare un vero e proprio programma di cosiddetto “follow-up”?
Ricordiamo brevemente quali sono gli elementi principali su cui focalizzarsi:
- INFORMAZIONE DEL PAZIENTE
- ADERENZA TERAPEUTICA
- VERIFICA DELL’EFFICACIA DELLA TERAPIA
Abbiamo detto che un paziente informato più probabilmente seguirà le indicazioni ricevute; questo discorso va ovviamente esteso a coloro che supportano il paziente stesso e di esso si prendono cura. Si è detto poc’anzi che un elemento assolutamente fondamentale da sottolineare è il concetto della CONTINUITA’: la terapia non deve essere interrotta autonomamente anche se i controlli periodici forniranno parametri tornati nella norma e un miglioramento della condizione del paziente. Monitorare un paziente con regolarità non serve per decidere se e quando sospendere la terapia: il riscontro di parametri tornati nella norma (pressione arteriosa, colesterolo, glicemia, battito cardiaco, ….ecc…) non fa altro che confermare l’efficacia della terapia intrapresa, perché quei parametri sono il risultato, e la conferma, dell’azione dei farmaci somministrati! Questo concetto può sembrare banale ma non lo è.
L’ADERENZA TERAPEUTICA
Resta lo scoglio più ostico: come verificare l’aderenza terapeutica? Come verificare la compliance del paziente? Con gli strumenti odierni e con i protocolli in essere, è sostanzialmente impossibile. Certamente il medico di base può verificare se un paziente si è presentato a richiedere le prescrizioni, ma considerando che i farmaci possono essere acquistati in diverse farmacie, senza il benché minimo vincolo a recarsi sempre nello stesso posto, considerando che ogni farmacia può analizzare lo storico degli acquisti solo della propria farmacia, e tenendo presente che non è affatto scontato che un paziente che ritira, tutte assieme, tre-quattro scatole di un medicinale si ricordi di assumerlo con regolarità, ad oggi un reale sistema di controllo può essere condotto solo da chi si occupa dei pazienti nelle loro abitazioni.
E allora, cosa si può provare a fare? Si può fare qualcosa?
Una possibile idea potrebbe essere quella di creare dei piani terapeutici che prevedano consegne programmate dei farmaci con cadenze mensili, per un periodo di tempo non superiore ad un anno, con indicazione a recarsi in centri accreditati e convenzionati (tra cui potrebbero benissimo rientrare in ottica futura anche le farmacie nella loro veste di “farmacia dei servizi”) con frequenza trimestrale/semestrale per monitorare l’efficacia terapeutica e fornire al medico uno strumento per confermare o modificare la terapia in atto. In questo modo, ogni paziente, a meno di significativi cambiamenti nei parametri analizzati, si recherebbe dal medico una volta l’anno per ricevere un piano terapeutico, che potrebbe essere messo in rete in siti web dedicati, sviluppati sulla falsariga di quanto avviene da quasi un ventennio con i presidi per l’assistenza integrativa (ausilii per incontinenza, per monitoraggio del diabete, per il trattamento delle stomie, ecc….); tali piani terapeutici, presenti nel fascicolo sanitario di ogni paziente, aggiornati dopo ogni consegna di farmaco, potrebbero essere visibili da tutte le farmacie, e conseguentemente potrebbero consentire di allertare il medico di base in merito a eventuali ritardi nel ritiro o addirittura in caso di mancati ritiri.
Nella stessa maniera, eventuali verifiche strumentali periodiche, effettuabili anche nelle “farmacie dei servizi”, potrebbero venire anch’esse riversate nel fascicolo sanitario e comunicate tempestivamente al medico di base e/o allo specialista di riferimento. Questa potrebbe essere la reale presa in carico del paziente cronico di cui si sta parlando già da alcuni anni, al momento però non ancora in atto per mancanza di programmi finalizzati a tale scopo. Potrebbe funzionare? Difficile dirlo, certamente costituirebbe un passo avanti per unificare gli sforzi e le potenzialità di tutte le strutture sanitarie operanti sul territorio, allo scopo di mettere al centro il paziente, ed in particolare il paziente affetto da patologie croniche.
L’IPERTENSIONE ARTERIOSA COME ESEMPIO DI PATOLOGIA CRONICA
Abbiamo detto che l’ipertensione arteriosa rientra in questa categoria di patologie croniche: è, ad oggi, ancora uno dei problemi più diffusi. Sembra banale doverlo sottolineare, ma si tratta, di fatto, di una condizione in cui il sistema cardiovascolare (che è un sistema idraulico) lavora in uno stato di aumentata pressione all’interno dei vasi in cui scorre il fluido organico principale, ovvero il sangue. La “pompa” che spinge il sangue in tutti i distretti del nostro corpo, attraverso i vasi sanguigni, è il nostro cuore, e quando la pressione nel circolo sanguigno sale, il lavoro del cuore aumenta: è abbastanza intuitivo comprendere come spingere sangue attraverso un complicatissimo intrico di vasi e diramazioni quando la pressione al suo interno è maggiore richiede uno sforzo superiore e conseguentemente comporta un affaticamento più precoce.
L’ipertensione arteriosa non è, pertanto, al netto di eccezioni (picchi ipertensivi improvvisi e parossistici) una condizione acuta che si presenta con una sintomatologia avvertibile e ben definita; è, invece, una delle patologie croniche silenti, quelle i cui sintomi non sono evidenti ma che comportano un lento e costante logorio dell’apparato cardiovascolare e del cuore che ne è la forza propulsiva! Intervenire ad abbassare questo stato di eccessiva pressione è necessario anche se non si avvertono disturbi particolari, per evitare che le conseguenze del costante sforzo eccessivo possano portare a danni ancora più marcati. La difficoltà ad identificare con chiarezza i sintomi di uno stato di ipertensione rendono essenziali i programmi di screening e monitoraggio: misurare la pressione regolarmente (anche se non soprattutto in assenza di una diagnosi e di una terapia) consente di valutare la propria condizione fisica e di intercettare eventuali disturbi o scostamenti dai valori ottimali più precocemente possibile, al fine di provare ad attuare i correttivi più opportuni.
Nel caso dell’ipertensione arteriosa, prima di iniziare una terapia farmacologica, è bene modificare eventuali comportamenti non idonei nello stile di vita, dall’alimentazione alla sedentarietà, al controllo del peso corporeo fino ad arrivare allo stress e ai ritmi di vita (non scordiamoci che tutto l’apparato cardiovascolare è innervato, ovvero “animato”, dallo stesso sistema nervoso che regola le emozioni e le funzioni viscerali). Se tali modifiche risultano insufficienti, sarà necessario introdurre una terapia farmacologica, spesso costituita da diversi farmaci che agiscono in modo differente e sinergico su diversi distretti dello stesso apparato (in questo caso quello cardiovascolare). Lo scopo principale è quello di sfruttare tale sinergia riducendo al minimo possibile i dosaggi dei farmaci, con la conseguente riduzione dell’impatto degli effetti avversi che sono spesso dose-dipendente. A prescindere dal tipo di correttivo scelto, ancora una volta è essenziale ricordare che molto probabilmente dovrà essere mantenuto e che il riscontro di un ritorno alla normalità dei parametri vitali non sarà che una conferma dell’efficacia del trattamento intrapreso: tale trattamento, quindi, così come una diga costruita per arginare un corso d’acqua, non dovrà essere rimosso!