Don Nicolò Bonfanti è il don dei giovani: “Non vanno in chiesa, ma hanno ancora bisogno di noi”

Don Nicolò Bonfanti: 25 anni, vicario interparrocchiale di Ponte Giurino, Blello, Selino Alto e Berbenno. In Valle Imagna per creare un dialogo con i giovani.
17 Gennaio 2025

Un don giovane per i giovani, che si rivolga in particolar modo a quella fascia di popolazione. È il compito principale (ma non l’unico) di don Nicolò Bonfanti: 25 anni, originario di Pedrengo. “Sono stato ordinato lo scorso maggio, dunque sono fresco fresco – scherza. – Da un paio di anni sono qui in Valle Imagna, prima come Diacono, poi quando sono stato ordinato il Vescovo non mi ha trasferito perché mi trovavo bene”. Una storia cominciata più di dieci anni, quando Nicolò era solo un ragazzino. “Io cominciato ad interrogarmi sul mio futuro in oratorio, che a Pedrengo è una realtà grossa e frequentata. Don Patrizio Carminati mi ha un po’ accompagnato in quegli anni, mi ha affascinato la sua vita e il modo di testimoniare Gesù, soprattutto ai giovani. Ho fatto incontri vocazionali e nel 2013 sono entrato in seminario, prima liceo e poi Teologia, ed eccomi qui”.

Pur essendo al primo incarico, don Nicolò ricopre già un incarico di grande responsabilità. “Ufficialmente sono vicario interparrocchiale di Ponte Giurino, Blello, Selino Alto e Berbenno, insegno anche religione a Berbenno e a Cepino. Posso dire che mi diverto, trovo che il mio essere prete qua in Valle Imagna sia una cosa bella. Mi è stata affidata la cura delle giovani generazioni, il mio essere a scuola è un modo che il Vescovo ha adottato per farmi prendere cura della pastorale giovanile, io sono il punto di riferimento per questo discorso.

A Cepino di Sant’Omobono Terme – prosegue – seguo anche l’Istituto Maria Consolatrice, con un percorso dedicato alla spiritualità. Gli impegni non mancano, sono sempre in giro, di solito in macchina a girare tra i paesi, ma così riesco a conoscere, a mettermi in relazione e a intrecciare storie con gli altri. Servono in primis a me, per crescere, mi danno qualche spunto per la mia vita personale e spirituale, di preghiera. Poi si spera sempre che serva anche al prossimo, con il mio fare ed essere vorrei essere testimone del Vangelo. Non ho la pretesa di convertire le masse e battezzare migliaia di persone in una volta sola”.

Don Nicolò sa che l’impegno non finisce quando si toglie la toga. “Il mio essere prete non è solamente un mestiere, non ho il contratto orario dalle otto alle venti e poi non lo sono più, è una dimensione totalizzante ed è la mia vita. Il modo in cui mi pongo e mi metto in relazione è collegato con l’essere prete, che è un uomo di relazioni, orizzontali con la gente e verticali con il Signore”. Relazioni che possono portare a qualcosa di proficuo.  “Abbiamo iniziato il gruppo giovani da un paio di anni, dopo la GMG di Lisbona, le nostre quattro parrocchie si sono unite per formare un unico. Siamo una ventina, una volta al mese teniamo il nostro incontro, quest’anno c’è anche l’appuntamento del Giubileo e ci stiamo preparando”.

La dimensione della realtà in cui opera don Nicolò non rende il suo compito più agevole, anzi le sfide si moltiplicano. “C’è tanto da fare, anche se la Valle magari sembra piccola e spopolata rispetto a un oratorio grande della Bassa, la presenza di un prete giovane in questi piccoli paesi serve per intercettare il bisogno dei giovani”.

I quali restano al centro del progetto, nonostante le difficoltà: “D’accordo, non vanno più in Chiesa, ma un desiderio di assoluto ce l’hanno, una domanda di senso che li muova e li spinga a fare determinate scelte nella vita. Il mio compito è dare un nome a questo loro desiderio. Io spero di entrare sempre più in profondità, conosco ancora la gente in modo approssimativo, per me è ancora tutto nuovo, l’essere prete è diverso da essere seminarista, quando venivo solo qualche giorno alla settimana. Devo trovare una mia dimensione, un mio stile che deve incastrarsi con tutto quello che ha da offrire questa Valle”.

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