I cinghiali hanno letteralmente arato diverse aree della Costa del Palio: zolle scalzate per un’ampia fascia per tutta la lunghezza del crinale (3km circa), compromettendo la produzione foraggera della stagione. A porre l’attenzione sul tema Michele Corti, professore di zootecnia di montagna all’Università di Milano, prossimo alla pensione.
“Mi occupo di zootecnia di montagna all’Università di Milano. Da qualche anno il mio impegno è rivolto più sul fronte associazionistico e di comunicazione, specialmente ora che sono in fase di pensionamento.” dichiara Corti, che prosegue spiegando le sue attuali occupazioni: “Presiedo l’associazione Pastoralismo Alpino di Bergamo, dove mi occupo di temi come la tutela della transumanza, le problematiche legate ai pastori, i problemi dei campeggiatori e gli aspetti amministrativo-burocratici che hanno creato parecchi disagi negli ultimi anni, causando anche difficoltà d’accesso agli alpeggi. Problematiche queste che spesso hanno a che fare con tendenze speculative”.
Corti – come scritto anche sul portale Ruralpini – spiega dettagliatamente i danni che la montagna sta subendo: “Questo è un settore che ha particolari problemi, ad esempio quello dei cinghiali o dei lupi. Spesso si causano disagi dovuti alla speculazione sui pascoli, gli allevatori locali non riescono ad avere alpeggi perché arrivano aziende più grosse che si aggiudicano queste proprietà pubbliche”.
A rendere ancora più complesso il quadro delle problematiche è la fauna, sempre più presente e troppo spesso incontenibile: “Il problema dei cinghiali è arrivato di recente da noi, ma è da due o tre anni che si segnalano danni abbastanza rilevanti. Quest’anno c’è stata l’aratura di tutto il crinale della Costa del Palio. È un esempio limite, la stima dei danni sarà altissima e buona parte del prodotto sarà perso. La zona rimasta buona è proprio il crinale tra Val Taleggio e Brumano in Valle Imagna. I versanti presentano una qualità del pascolo parecchio degradata, sono quindi inutilizzabili. È proprio la parte buona del pascolo che è stata danneggiata e mi è sembrato giusto attenzionare su questa situazione. Il caso è anche significativo dal momento che è una proprietà pubblica della Regione, motivo per cui ci si aspetterebbe un’attenzione maggiore. Come è possibile constatare dalle fotografie, sono state rifatte recentemente le pozze di abbeverata e altri investimenti con soldi pubblici. Il non intervenire sul problema del cinghiale mi sembra particolarmente grave, soprattutto se c’è di mezzo una proprietà regionale che dovrebbe essere un modello di esempio di gestione agricola”.
Un problema complesso, la cui risoluzione è ostacolata da quelle che Corti definisce le “lobby dei cinghialisti”: “In questi anni sono stati posti dei bastoni tra le ruote al controllo di questo animale all’interno delle aree protette, dove la legge comunque consente una forma di vigilanza sulla fauna se il numero è esorbitante e i danni sono gravi. Ma i meccanismi per intervenire sono stati macchinosi e ancora oggi, nonostante le normative regionali siano state semplificate, la problematica non è stata risolta. Le guardie della Provincia dovrebbero occuparsene ma sono pochissime, non fisicamente in grado di intervenire dappertutto. Poi ci sono anche i cacciatori che hanno l’abilitazione per il controllo nelle aree protette ma sono anch’essi pochi e non intervengono facilmente, dal momento che non hanno incentivi a farlo; devono infatti utilizzare la loro attrezzatura e pagare il cinghiale che prelevano, ma a parer mio meriterebbero un premio”.
Michele Corti, Università di Milano
La soluzione che propone Corti, e che si auspica possa essere attuata nel breve periodo, prevede l’impiego proprio di cacciatori con abilitazione: “Avere dei cacciatori che operano in modo volontario o chiamati potrebbe essere un inizio. Farebbero un lavoro utile e andrebbero solo dove c’è il danno, non si tratta di caccia. Ma gli animalisti hanno fatto opposizione a questo tipo di controllo. A peggiorare la situazione è il fatto che i cinghiali dopo il Covid sono aumentati esponenzialmente, per cui la capacità di contenere il danno si è rivelata insufficiente”.
Ci sono stati tentativi di risanare il disastro, ci spiega l’esperto di zootecnia: “Nel caso specifico l’agricoltore che gestisce l’alpeggio della costa del Palio ha chiamato la Regione ripetutamente ed è in attesa che la Provincia di Lecco chiami qualcuno per occuparsene, ma deve intervenire anche Bergamo perché la superficie del pascolo ricade anche sulla quella Provincia. Tutto questo è frutto di un problema che si è aggravato negli ultimi decenni e, nonostante la modifica delle norme, c’è stato un ritardo nel mettere in atto misure efficaci. Abbiamo leggi fortemente protettive nei confronti della fauna, in una situazione in cui invece dovremmo spingere maggiormente sul controllo”.
Quello dei cinghiali è un disagio riscontrato negli ultimi anni, in passato la situazione era radicalmente diversa: “Agli inizi degli anni 90 l’orientamento era un altro: più cacciatori e meno fauna. La fauna è stata protetta e ora in alcune zone è eccessiva e va a danno di altre specie. La situazione è sfuggita di mano. Attualmente vige una legge nazionale su fauna e caccia che è troppo vecchia, nel caso specifico siamo pure al confine tra due province ed è ancora più complicato intervenire.” spiega il professore, che conclude: “Si tratta di un caso specifico, ma che deve far luce su un problema generale. Vengono fortemente colpiti anche i prati, dove aziende che producono fieno si trovano spesso costrette a pagarlo caro perché i cinghiali distruggono il prato a danno della produzione. È estremamente necessario un intervento immediato”.
Alex Galizzi: “Iniziare a pensare a togliere limitazioni all’attività venatoria in Lombardia”
Ad intervenire sul tema anche il consigliere regionale e componente della Commissione speciale Montagna di Regione Lombardia Alex Galizzi: “L’emergenza più grave è quella dei danni causati dai cinghiali ai pascoli e ai campi agricoli. Data l’inefficacia dei piani faunistico-venatori sottoposti ai veti di Ispra, gli stessi operatori del settore agricolo rivedrebbero per primi e molto volentieri gli strumenti di prevenzione e tutela, rimuovendo o alleggerendo i vincoli all’attività di caccia e sollecitando Ersaf per l’apertura alcune zone demianiali attualmente vincolate da divieti di caccia e la creazione di un piano di controllo nelle aree del Resegone e della Costa del Palio.
“Sono dannosi nei confronti dei campi agricoli in quanto scavano nei terreni. La loro presenza va a discapito degli ecosistemi locali e della biodiversità, poiché in grado di adattarsi a qualsiasi territorio e ambiente, soverchiando in numero altre specie e causandone la progressiva sparizione. Le limitazioni all’attività venatoria per periodi e aree sono spesso troppo restrittive per esercitare una gestione realmente utile al controllo numerico dell’animale. I piani di abbattimento regionali, che seguono sempre le linee guida dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, si stanno rivelando al momento inadeguati a coprire le necessità ambientali ed economiche della nostra Regione”. Galizzi non risparmia infine una stoccata agli animalisti e ad un certo tipo di ambientalismo: “Facile salire dalla città e protestare con la merenda al sacco per poi tornarsene a farsi l’aperitivo. A noi interessa favorire il territorio in cui operano gli agricoltori e proteggere realmente l’ecosistema che va affrontato concretamente, con equilibrio e dati, non con slogan e pregiudizi. Il problema dell’ambiente è troppo serio per essere lasciato in mano a chi crede che gli umani siano il cancro della Terra”.