I ricercatori hanno analizzato le cartelle cliniche di 688 pazienti ipertesi di tutte le età ricoverati all’ospedale di Bergamo tra il 23 febbraio e il 7 aprile 2020, durante la prima ondata pandemica. Nel sottogruppo dei pazienti con oltre 68 anni di età, i pazienti ipertesi in cura con una terapia farmacologica a base di inibitori del sistema renina-angiotensina (ACE-inibitori o sartanici) al momento del ricovero per Covid-19, sono deceduti in misura molto minore, in ospedale o nei 30 giorni successivi alla dimissione, rispetto ai pazienti della stessa classe di età che non ne facevano uso. In particolare, i pazienti anziani in cura con i sartanici hanno fatto registrare una mortalità inferiore del 51% rispetto a coloro che non ne facevano uso al momento del ricovero. Gli ACE-inibitori hanno dimostrato una efficacia protettiva comunque elevata, pari al 43% di mortalità in meno nello stesso sottogruppo analizzato. I risultati dello studio italiano, pubblicato a dicembre sulla rivista Journal of Hypertension, confermano le indicazioni contenute nelle linee guida internazionali, che raccomandano di non sospendere l’uso di ACE-inibitori e sartanici per timore di un loro effetto negativo in caso di infezione da coronavirus.
I risultati di questo filone di studi hanno enormi implicazioni sulle indicazioni terapeutiche che i cardiologi rilasciano a diversi milioni di pazienti ipertesi in cura. Basti pensare che le stime dell’Istituto Superiore di Sanità calcolano che l’ipertensione arteriosa colpisca in Italia circa il 33% degli uomini e il 31% delle donne. Un ulteriore 19% di uomini e 14% di donne sono a rischio. Ecco perché assume una particolare rilevanza per gli specialisti questo recente studio condotto dalla Cardiologia dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo, in collaborazione con la FROM – Fondazione per la Ricerca dell’Ospedale di Bergamo e con Gianfranco Parati, professore di Medicina Cardiovascolare dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e direttore scientifico dell’IRCCS Istituto Auxologico Italiano.
“Siamo convinti di aver costruito un modello statistico solido e rigoroso, mettendo in atto praticamente tutti i correttivi che riducono il rischio di inficiare i risultati di simili studi – ha rimarcato Mauro Gori della Cardiologia del Papa Giovanni XXIII e primo autore della ricerca -. Siamo riusciti a dimostrare in maniera chiara l’esistenza di un effetto protettivo nei pazienti ipertesi delle terapie a base di ACE-inibitori o sartani contro la mortalità da coronavirus. Questo lavoro dimostra inoltre una fortissima interazione tra l’effetto protettivo di questi farmaci e l’età. A differenza di quanto osservato negli anziani, nei soggetti ipertesi con meno di 68 anni di età i nostri dati dimostrano come non ci sia alcuna correlazione tra mortalità da Covid-19 e l’assunzione o meno di questa tipologia di farmaci”.
Alcuni studi epidemiologici avevano già confutato le ipotesi, circolate anche nella comunità scientifica nelle fasi iniziali della pandemia, su un possibile rischio aumentato in caso di infezione da coronavirus per i pazienti in terapia con i farmaci inibitori del sistema renina-angiotensina. Erano tesi che avevano allarmato un’enorme platea di pazienti con problemi cardiovascolari.
“Finora i risultati hanno offerto conclusioni ed interpretazioni non omogenee. Queste classi di farmaci avevano dimostrato un effetto neutro oppure poco correlato al decorso clinico nei pazienti affetti dalla forma grave di Covid-19 – ha spiegato Antonello Gavazzi, cardiologo coordinatore della ricerca clinica in FROM – Fondazione per la Ricerca dell’Ospedale di Bergamo e primario emerito dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII -. Nel dibattito tra ricercatori, questo ultimo studio segna un punto fermo a favore delle terapie con ACE-inibitori o sartanici, mettendo al centro delle future indagini il parametro dell’età. La Fondazione FROM ha messo a disposizione di questo studio le competenze del suo Laboratorio di Biostatistica, con Arianna Ghirardi che ha portato avanti una parte fondamentale del lavoro, cioè l’inserimento dei dati clinici in una scheda elettronica appositamente costruita e la valutazione statistica con elaborazione di modelli avanzati di stratificazione prognostica”.
I meccanismi di azione dei farmaci anti ipertensione sul sistema cardiovascolare dovranno essere oggetto di ulteriori studi clinici. Lo studio offre un ulteriore elemento di concretezza alle linee guida già diffuse dalle società scientifiche europee e americane che danno indicazione agli specialisti cardiologi di tutto il mondo perché i loro pazienti non sospendano la terapia con questi farmaci in tempi di Covid-19.
“Non è opportuno che pazienti con problematiche cardiovascolari o ipertensione sospendano il trattamento farmacologico per timore del virus – ha concluso Michele Senni, professore di Malattie dell’apparato cardiovascolare all’Università di Milano-Bicocca e direttore del Dipartimento Cardiovascolare del Papa Giovanni XXIII di Bergamo e autore senior dello studio -. Una soppressione della terapia per l’ipertensione per motivi non fondati può comportare un danno. Questo vale per gli ACE-inibitori e per i sartanici in caso di ipertensione. Nei pazienti con scompenso cardiaco le linee guida internazionali raccomandano di non sospendere, né tantomeno interrompere l’assunzione di ARNI”.
Parole di apprezzamento per questo lavoro di ricerca sono arrivate da Fabio Pezzoli, direttore sanitario dell’Ospedale Papa Giovanni XXIII: “Il contributo di conoscenza dei nostri professionisti al dibattito scientifico internazionale sul Covid-19 è una delle dimensioni del nostro impegno più generale nella lotta al virus, che portiamo avanti collaborando alle azioni di prevenzione con le vaccinazioni, alla diagnosi, con l’effettuazione e il sequenziamento dei tamponi e soprattutto a livello clinico, con la cura dei pazienti che hanno sviluppato la malattia in forma grave”.
Nella foto allegata, da sinistra: Antonello Gavazzi, Arianna Ghirardi, Mauro Gori, Michele Senni.