Everesting con due protesi d’anca, l’impresa di Oprandi e 3 compagni: “La fatica mi rende felice”

Omar Oprandi, originario di San Pellegrino Terme, nonostante le due protesi d'anca riesce a portare a termine un Everesting insieme ad altri tre compagni: 34 mila metri di dislivello in 24 ore, corrispondente alla somma delle 4 montagne più alte della Terra.
27 Marzo 2023

Impresa riuscita ai quattro scialpinisti sulle nevi di Lizzola tra sabato 25 e domenica 26 marzo: 34 mila metri di dislivello in 24 ore, corrispondente alla somma delle 4 montagne più alte della Terra (Everest 8848 m., K2 8611 m., Kangchenjunga 8586 m., Lhotse 8516 m.). Un Everesting un po’ particolare, che ha visto impegnati Flavio Saltarelli, avvocato e consulente della nazionale italiana di scialpiniscmo, classe 1963; Gianluca Gambirasio, scialpinista professionista; Gianmaria Strinati, skyrunner piacentino e Omar Oprandi, 57 anni (ora di stanza a Drena, in Trentino) che – nonostante le due protesi all’anca – è riuscito a portare a casa un risultato stupefacente.

“Siamo arrivati al giorno dopo, quando non rimane nient’altro che raccontare quello che è successo – racconta Omar Oprandi, il brembano del gruppo (è originario di San Pellegrino Terme) -. Semplicemente la realizzazione di un progetto nato dalla voglia di un caro amico (Flavio Saltarelli) di festeggiare i suoi 60 anni. La ricerca della località che accettasse la nostra proposta e che ci ospitasse nel farla non è stato facile, poi anche la carenza di neve ha messo in difficoltà la scelta finale. Devo dire però che il Rifugio Campel Lizzola e le loro piste sono state alla fine un vero “compagno” d’avventura che ci è stato accanto come si deve.

Abbiamo “scovato”, tra le rughe della neve rimasta, un percorso con poco dislivello, ma con una pendenza ideale che ci ha permesso di essere “efficaci” nel completare questa idea: salire per 20 volte la pista che divide il Rifugio Campel Lizzola dal Rifugio Mirtillo Lizzola. Una pista piuttosto ripida che però abbiamo avuto a disposizione per le nostre 24 ore. E noi, come pittori davanti alla tela bianca del proprio quadro, abbiamo iniziato a disegnare la nostra traccia… ognuno come voleva, chi più ripida e chi meno. Chi diretta alla cima, poco sopra il rifugio, e chi invece nel fare durare il meno possibile queste 20 risalite. Nulla di straordinario, ma un qualcosa di particolare. Un’idea che può essere ripetuta, modificata e perché no migliorata, aumentandone le difficoltà e lo sviluppo”.

“Sono state ore intense, passate con amici che sembrava conoscessi da tempo – prosegue Oprandi -. Ventiquattro ore passate a salire e scendere le piste di Lizzola. Camminare, attraversare, salire e scendere con un’attrezzatura che noi scialpinisti definiamo “il prolungamento del nostro corpo”. Un grazie ai miei compagni, ad Ale Ciocca ad Omar Semperboni che si è offerto ad ospitarci al suo rifugio e che ci ha messo a disposizione le piste di Lizzola.

Eccovi, in sintesi, quello che ho portato a termine nelle “mie 24 ore”: dalle 13 alle 20 circa ho fatto i primi dieci giri, po una sosta per mangiare qualcosa. Nella prima parte della notte solo tre giri per le piste molto ghiacciate e la difficoltà nell’evitare zone pericolose. Un’altra pausa più lunga per cambiarmi completamente, bere qualcosa di caldo, fare due chiacchiere con mia moglie e poi, per il resto delle ore gli altri sette giri per arrivare ai 9000 metri che mi ero prefissato, con un’unica salita finale alla Cima Vaga”.

Il primo Everesting per l’esperto Oprandi, che però ha dovuto fare i conti con le sue protesi d’anca: “Un esperienza, quella dell’Everesting mai fatta prima. Per conto mio, con un occhio di riguardo alle mie due protesi d’anca nel fare il tutto con meno tempo possibile, senza correre ma nemmeno senza perdere troppo tempo e senza stare “in giro” troppe ore. Forse un approccio diverso da quello “normale” che si utilizza per questo tipo di tentativo. Everesting infatti significa tentare “la salita” dell’Everest, ipoteticamente partendo dal mare e arrivando sulla sua nell’arco delle 24h per coprire il suo d+ di 8.848 m. Il mio stile voleva essere un po’ più sportivo di quello dei miei compagni, alla ricerca dello sviluppo minore e delle tempistiche (in movimento) più strette… proprio per una salvaguardia delle mie due “povere protesi” d’anca. Il tutto condito con della “sana fatica”. Quella fatica che mi rende felice”.

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