Testo scritto da Alessia Gherardi, Anna Ruffinoni e Luca Locatelli dell’Istituto Turoldo di Zogno nell’ambito del progetto La Voce “Giovane” delle Valli.
Qualche settimana fa abbiamo celebrato la Giornata della memoria. A scuola abbiamo affrontato il tema in diversi modi: leggendo libri e articoli di giornale e documentandoci sulle Slorpesteine, le “pietre d’inciampo” che testimoniano anche nei nostri Paesi la presenza di luoghi dove vivevano alcuni dei deportati nei lager. Per ascoltare testimonianze dei sopravvissuti, come quella di Edith Bruck, tutte le classi della nostra scuola hanno sospeso le lezioni per collegarsi in diretta con il Museo della Shoah di Roma.
Ora, a distanza di pochi giorni, abbiamo deciso di celebrare la memoria di un altro episodio della nostra storia, e non di secondaria importanza: il 10 febbraio si celebra infatti il Giorno del ricordo, per rendere omaggio alla memoria di quasi 20.000 italiani torturati e uccisi nelle foibe. Il massacro fu perpetrato dai comunisti di Tito contro il popolo italiano nella zona tra il Friuli-Venezia Giulia e l’Istria. Questo è un argomento di cui si è sempre scelto di parlare poco. Morirono migliaia di uomini la cui unica colpa era quella di essere italiani, ma si scelse di tacere. Come Italiani e come esseri umani è giusto conoscere. Ci sembra perciò utile introdurre una spiegazione del contesto storico.
Foiba è una parola che significa fossa; e indica i crepacci in cui Tito fece gettare gli italiani considerati suoi nemici. Queste fosse avevano un terreno roccioso che rendeva molto difficile il recupero dei corpi che sarebbero rimasti lì indisturbati. Le uccisioni erano crudeli e disumane. I condannati erano posti in fila, legati tra di loro con un filo di ferro e posizionati sul margine della foiba. I soldati sparavano ai primi della fila, in modo che precipitassero nell’abisso trascinandosi gli altri. Le vittime sopravvivevano per giorni sul fondo della voragine accanto ai cadaveri dei compagni, per poi morire lentamente senza cibo e acqua.
La causa del massacro fu l’invasione della Jugoslavia che determinò l’annessione dell’Istria all’Italia. Il comandante Tito creò un’associazione partigiana comunista per affrontare le truppe filofasciste. E fece dei rastrellamenti, catturando non solo fascisti, ma anche tutti gli Italiani della regione. Dopo l’armistizio il duce a capo della Repubblica sociale italiana continuerà la guerra e combatterà i comunisti di Tito fino al 1945, quando l’armata jugoslava occuperà la Venezia Giulia. Trieste venne assediata per 40 giorni dalle truppe di Tito e in questi giorni vi fu la “seconda ondata” delle foibe. Si presume che siano state rapite più di 3000 persone con destinazione le foibe.
Alla fine del 2020, con i lavori di censimento, sono state rinvenute migliaia di corpi giustiziati. Nel 1992 ci fu un procedimento giudiziario ma con espedienti e scuse nel 2004 il processo si concluse con nulla di fatto. Ricordare le foibe non vuol dire essere fascisti o anticomunisti, ma semplicemente essere italiani che ricordano uno dei più grandi stermini della storia dei nostri concittadini ormai dimenticato.
Alessia Gherardi, Anna Ruffinoni e Luca Locatelli dell’Istituto Turoldo di Zogno