Il Santuario, i miracoli e le bancarelle: storia e tradizione della Candelora ad Almenno

In attesa di festeggiare la Candelora ad Almenno San Salvatore domenica 2 febbraio, ecco un bell'approfondimento sulla storia e la tradizione a firma del nostro ottimo Luca Bugada.
30 Gennaio 2025

In attesa di festeggiare la Candelora ad Almenno San Salvatore domenica 2 febbraio, ecco un approfondimento sulla tradizione. Il termine Candelora, derivante dal latino candelorum, significa “festa delle candele o dei ceri”, alludendo pertanto al tema della luce che orienta nella notte, al trionfo della verità sulla menzogna, nonché all’annuncio dell’imminente stagione primaverile, tempo di rinascita e di salvezza.

Un proverbio diffuso da secoli, non a caso, accompagna il giorno di festa, legando tradizione, devozione e antiche credenze popolari: “Per la Santa Candelora, o che nevichi o che plora, dell’inverno siamo fuora; S’egli è sole o solicello, siamo ancora a mezzo il verno” (Candelòra. Significato ed etimologia. Vocabolario, Treccani online). Il gelido inverno, soprattutto per le genti delle montagne, equivale a un momento di prova, di fatica e di attesa, di affidamento di preghiere e speranze a Colei che intercede benignamente presso il Figlio.

La Candelora è un’occasione preziosa, introdotta a Costantinopoli dall’imperatore Giustiniano nel 542, in cui fare memoria della Purificazione di Maria Vergine e della Presentazione di Gesù al Tempio. L’importante ricorrenza prese a essere celebrata con grande solennità il 2 febbraio di ogni anno, “a Roma, ai tempi di Sergio I (687-701)” (E. Caspani e R. Corso, Candelora in “Enciclopedia italiana”, 1930, Treccani online), prendendo anche il nome di “giorno di Simeone”, “mediante una processione da S. Adriano a S. Maria Maggiore” (ibidem).

Una “sfilata” notturna di candele, la cui benedizione viene attestata storicamente sin dal secolo X, pratica quest’ultima “a Roma, ancora nel sec. XII, […] impartita in Santa Martina al Foro” (ibidem). Una celebrazione pubblica, sentita e molto partecipata che contribuì non poco a vincere la resistenza di alcune consuetudini pagane, nonostante non sia stata dimostrata la validità della teoria secondo cui la processione sarebbe stata introdotta “ai tempi di papa Gelasio (492-496) […] per sopprimere la fiaccolata pagana dei Lupercali” (ibidem).

LA FESTA AD ALMENNO SAN SALVATORE –  Un’importante ricorrenza che assume tratti distintivi nella sua famosissima declinazione almennese, richiamando ogni anno “ad Almenno S. Salvatore tantissima gente proveniente da tutta la provincia” (M. Campagnoni e T. Terzi, Folclore Bergamasco, Editrice Cesare Ferrari), intorno al Santuario dedicato a Nostra Signora del Castello, un luogo suggestivo assiso sulle antiche rovine di una fortezza. QUA il programma della festa ad Almenno.

Dall’edificio religioso, “situato nella parte bassa del paese, su un ciglio, ai piedi del quale scorre il Brembo” (ibidem), si originò la nuova chiesa, databile tra il XV e il XVI secolo. Una seconda e più recente costruzione edificata “per onorare un’immagine della Vergine SS. che stava dipinta sulla vecchia facciata e che apparve in modo miracoloso” (ibidem) il 25 aprile 1506, allorquando “un muro di rinforzo, che si trovava addossato alla parete della chiesa, perché in quel punto stava cedendo, si scostò miracolosamente […] per un paio di metri, scoprendo l’immagine che inavvertitamente era stata occultata” (ibidem).

Il prezioso ritrovamento fu seguito da miracoli ed eventi straordinari, tra i quali “quello capitato ad un uomo di Almenno, al quale apparve la Madonna che lo incaricò di manifestare alla gente il suo desiderio di vedere innalzata in quel luogo una chiesa” (ibidem). Il racconto narra, inoltre, di un evento prodigioso a conferma della volontà della Vergine, cioè il fatto che “ai primi miracoli operati da Maria, si udissero da sé medesime suonare le campane delle chiese vicine per tre giorni” (ibidem).

Pie devozioni e racconti agiografici che si tramandano di generazione in generazione, trovando una sintesi felice e originale nel dì di festa, unendo genti differenti per intenti e convinzioni. Il 2 febbraio “si festeggiano i titolari della chiesa e si svolge la fiera” (ibidem), abbracciando il liturgico e l’economico, la fede e il lavoro, l’umano in tutte le sue dimensioni esistenziali più autentiche e profonde. Accanto al suono delle campane, ai colori dei paramenti sacri, ai riti secolari, “alla benedizione delle candele e […] [alla] processione [che] si snoda sotto le arcate dell’antica chiesa” (ibidem), alla “benedizione degli oggetti all’altare dell’Addolorata e [al] bacio delle reliquie” (ibidem) fanno capolino, e forse persino concorrenza, le merci “esposte sulle bancarelle, [cioè] arance, dolciumi, giocattoli e tutta una vasta gamma di articoli di vestiario, quadri, argenteria, manufatti di legno per cucina e lavori artigianali sia in legno che in ferro battuto” (ibidem). Acquisti e preghiere, materia e parola.

La festività oggi esibisce un fascino tutto particolare, unendo con creativa originalità caratteristiche proprie di ambiti differenti, e troppo spesso giudicati frettolosamente e superficialmente agli antipodi, come il costume, la cultura, la fede e il senso del magico o del misterioso. Intorno alla Candelora, in cerca di calore e di bellezza, convergono desideri e sogni, si stringono generazioni di uomini e di donne, cercando rifugio e consolazione “contro le folgori, la grandine, le malattie del bestiame” (E. Caspani e R. Corso, op. cit.), agognando la forza “nel vegliare i morti, o nell’assistere gli agonizzanti, facendo loro cadere sul corpo qualche goccia di cera liquefatta” (ibidem).

Un momento “forte” del credo e della devozione popolari che viene accompagnato, anche in altri luoghi, da delicate usanze. Nella Savoia sopravvive l’abitudine di raccogliere “in quel giorno ramoscelli di nocciolo selvatico” (ibidem), emulando il gesto compiuto dalla Madonna, lungo il tragitto che la condusse al Tempio. Una leggenda molto diffusa narrerebbe infine dell’esistenza di un orso (altre versioni parlano di un lupo o di un leone) che ogni anno, all’alba del 2 febbraio, si affaccerebbe dalla propria tana, scrutando attentamente il cielo (Cfr. ibidem). Il plantigrado dinanzi a una volta nuvolosa si esibirebbe in tre salti di gioia, annunciando la fine dell’inverno, mentre di fronte a un cielo sereno, mestamente e malinconicamente, si rintanerebbe per altri quaranta giorni di freddo (Cfr. ibidem).

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