Primavera araba, 12 anni dopo. Il tunisino-zognese: “Tanta paura, ma ora siamo un paese laico”

Oggi, 18 dicembre, ricorre l’anniversario dell’inizio della Primavera araba. "Brutto periodo ma ora siamo il paese arabo più laico al mondo".
18 Dicembre 2022

Testo scritto da Mohamed Amin Habchi , Simone Cavagna, Giacomo Zambelli, Filippo Mainetti dell’Istituto Turoldo di Zogno nell’ambito del progetto La Voce “Giovane” delle Valli.

Le proteste odierne che stanno spopolando in Iran non sono uniche nel loro genere, bensì sono il fanalino di coda di una lotta decennale volta al raggiungimento di una democrazia islamica. Infatti oggi, 18 dicembre, ricorre l’anniversario dell’inizio della Primavera araba: quell’evento che ha avuto inizio in Tunisia dalla cosiddetta Rivoluzione dei Gelsomini e, con effetto-domino, si è poi esteso ad altri Paesi nordafricani e mediorientali.

La primavera araba acquista questo nome in ricordo delle rivoluzioni politico-sociali del 1848 prima e del 1968 poi, quando un rinnovamento culturale segnò un tornante decisivo nella storia dei popoli che ne fecero esperienza. Infatti, nella Primavera araba, come nelle altre “primavere” rivoluzionarie della storia, si è assistito allo scoppio di rivolte diffuse, che hanno portato per esempio alla guerra civile siriana e libica e alla caduta di regimi totalitari.

Per avere una testimonianza diretta delle emozioni vissute da chi ha avuto uno stretto coinvolgimento negli eventi delle primavere arabe, abbiamo deciso di intervistare il signor Said Habchi, tunisino che vive in Valle Brembana, a Zogno, da ormai sedici anni ma si tiene sempre aggiornato sulle notizie che arrivano dai Paesi arabi. Tutto parte il 17 dicembre 2010, quando tramite i social media si diffonde la notizia, proveniente dalla cittadina tunisina di Sidi Bouzid, che un giovane di nome Mohamed Bouazizi si è dato fuoco davanti alla sede del governatorato. La drammatica decisione del giovane venditore ambulante di frutta e verdura appare dettata dalle scadenti condizioni economiche, dall’assenza di lavoro e di reddito e dalla completa mancanza di ogni prospettiva di vita futura.

“Fortunatamente e sfortunatamente, mi trovavo in Tunisia all’epoca dei fatti.”, racconta il sig. Habchi. “Avevo lasciato l’Italia per andare a trovare i miei genitori e rivedere i miei vecchi amici, dato che non li vedevo da tre anni. La rivoluzione è avvenuta, diciamo, in modo istantaneo; non ci fu tempo di organizzarsi, anche perché Ben Ali stava controllando bene il territorio. Vedere un nostro connazionale bruciarsi vivo davanti ai nostri occhi fu veramente straziante e smosse la coscienza di tutti; perciò, secondo me, se non si fosse sacrificato Bouazizi, noi saremmo ancora sotto il regime di Ben Ali.  Mi ricordo anche che era stato imposto un coprifuoco durante quel periodo per limitare le manifestazioni, e io ero talmente spaventato, dato che mia moglie (signora Imen Chebbi, ndr) era in ospedale con il mio secondo figlio, che tornai in Italia, portando con me sia i miei genitori che i miei suoceri. Insomma, fu veramente un brutto periodo sia per i cittadini sia per chi veniva da fuori (turisti e cittadini residenti all’estero)… Però tutto è bene quel che finisce bene, e ora siamo il paese arabo più “laico” al mondo.”

Questo evento colpisce profondamente l’opinione pubblica tunisina, che riconosce la povertà e l’indigenza del giovane Mohamed come una realtà presente e diffusa, e percepisce la sua morte suicida come un appello alla rivolta contro un regime ingiusto e antidemocratico. Da questo momento in poi, migliaia di persone comuni scenderanno nelle strade delle città tunisine a protestare contro il governo e il 27 dicembre a Tunisi si registreranno gli scontri più violenti tra manifestanti e forze dell’ordine, tanto da mettere a rischio la tenuta del governo. A seguito di queste manifestazioni, il regime tunisino inizia ad attuare restrizioni sui social media e a limitare le libertà personali e di aggregazione per contenere l’onda delle reazioni antiregime.

La settimana dopo, tra l’8 e il 9 gennaio 2011, si colloca il cosiddetto “fine settimana nero”, in cui si contano 25 morti tra i manifestanti. Tuttavia, queste morti non fermano le proteste, anzi ne aumentano l’intensità e costringono il presidente tunisino Ben Ali a pronunciare il 13 gennaio il famoso discorso del “Fehemtkom” (“Vi ho capiti”), nella speranza di placare la rivoluzione con vaghe promesse di migliori condizioni di vita. Nonostante questo appello e queste promesse, i manifestanti proseguono le proteste e il giorno dopo Ben Ali viene costretto a riparare in Arabia Saudita per sfuggire alla collera del popolo. In Tunisia i manifestanti si coalizzano contro il regime presentandosi come un’unica forza coesa determinata e diventando un esempio di rivolta sociale per gli altri Paesi vicini, che subito li seguono in simili manifestazioni rivoluzionarie. Alla fine del 2011, il “Times”, celebre quotidiano internazionale, elegge come personaggio dell’anno proprio la figura del “Protester” (il manifestante).

Ma come è la situazione oggigiorno? La Tunisia ha intrapreso un percorso verso una democrazia più matura e un regime laico, e costituisce un esempio guida nella regione, anche se, con le elezioni del nuovo presidente Kais Saied, molti temono il ritorno di una dittatura. L’assunzione di un potere monocratico, tuttavia, non sembra essere nei piani del Presidente, amato dal più del 60% dei cittadini. Infatti, Saied ha ottenuto il consenso di molti cittadini rendendosi protagonista nell’estate del 2021 di un’esemplare epurazione di molti esponenti della Ennahda (coalizione politica che, secondo molti, abusava dei poteri e non faceva progredire il Paese).

Anche in Marocco, a seguito di una serie di eventi di protesta, il sovrano Mohammed VI ha ceduto alcuni poteri esecutivi e legislativi al parlamento, favorendo il passaggio a un governo più democratico e riducendo l’influenza islamica. La progressiva laicizzazione della politica è testimoniata anche dall’instaurarsi di relazioni diplomatiche con lo Stato di Israele. Nonostante le evoluzioni positive di Paesi come la Tunisia e il Marocco, dobbiamo anche osservare che invece in Libia, in Siria, in Egitto e in Yemen, a seguito degli scontri politici avvenuti durante le primavere arabe e a seguito degli sconvolgimenti ai vertici del potere, perdurano ancora oggi guerre intestine e sommosse civili. Questi episodi colpiscono in maniera grave i cittadini e non permettono un democratico passaggio del potere, anzi favoriscono l’emersione di frange estremiste e integraliste, di fatto negando gli ideali che avevano dato inizio alla primavera araba.

In conclusione, anche la Primavera araba è stata un’esperienza rivoluzionaria con l’obiettivo di portare maggior laicità e democrazia in quei Paesi arabi dove le ingerenze religiose e settarie inquinavano i governi e impoverivano i popoli. Purtroppo, nonostante il sogno di molti giovani arabi, in molti Paesi il risultato della Primavera araba non è stato quello sperato, e ancora ci sono ingiustizie e povertà. Una cosa è certa: i deboli sono sempre quelli che soffrono e che soffriranno per l’egoismo dei potenti.

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