A Porto Rico la ristorazione parla… bergamasco: merito di Alberto Gianati da Olmo al Brembo

"Nel locale ho un poster gigante con una foto dei miei che fanno la polenta al passo San Marco. Apprezzo ancora la nostra bellissima Valle: viverci non è facile, la montagna è difficile ma mi manca, così come la mia famiglia”.
21 Febbraio 2024

Viaggiare per il mondo, dietro i fornelli nelle maggiori città di Europa, Asia e America, per poi fermarsi ai Caraibi. È il viaggio di Alberto Gianati, originario di Olmo al Brembo. La sua vita inizia a farsi movimentata subito dopo gli studi superiori presso l’Alberghiero di San Pellegrino. “Lavoravo al Four Season a Milano e ho avuto un’offerta per andare in California, sono andato che avevo 22 anni e ho colto l’opportunità: quando apri i confini è difficile tornare. Viaggiare per me è il massimo, viaggiare e lavorare ancora meglio. Quando sono tornato in Italia, ho lavorato tanto sempre su ristoranti di livello, sono rientrato a Milano per completarmi dal punto di vista professionale”.

Una crescita che continua negli anni successivi, anche molto lontano dal paese in cui è nato 55 anni fa. “Poi ho avuto un’altra esperienza in Giappone, avevo già provato l’estero ed era tutto più facile, serviva per formarmi anche fuori dai confini: quando ti vengono offerte certe esperienze e certi compensi è difficile dire di no. Ti danno posizioni importanti che in Italia non ti avrebbero dato. C’era tanto mercato per noi se volevamo partire, in quanto italiani le occasioni non mancavano: erano gli anni ’90, con un boom della ristorazione italiana di un certo livello, con un altro stile di cucina rispetto al classico italo-americano.

Avevo un bagaglio di cucina molto ampio e ho colto la palla al balzo. Sono stato in Thailandia, Singapore, a Dallas, poi ho fatto una specie di tirocinio con Livio Faverio, mi voleva come executive Chef a Londra e ho fatto un anno e mezzo, sempre al Four Season. Allo stesso tempo, c’era anche un’opportunità per aprire un ristorante a Porto Rico, la mia ex-moglie è portoricana e ho deciso di venire qui”.

Si, perché nel peregrinare di Alberto si inserisce il cuore (e il caso). “Quando ancora lavoravo in Giappone, con la catena Cipriani, lo chef con cui lavoravo mi aveva invitato a Porto Rico con la sua moglie, portoricana. Sono stato a casa sua e lì ho conosciuta quella che oggi è la mia ex moglie: lei lavorava part time in un locale a Porto Rico. Io ho perso la testa e volevo tornare ai Caraibi a tutti i costi. È stato merito suo se sono arrivato qua: io mi ero offerto di farle fare le vacanze di Natale in Italia, e sull’aereo lei ha conosciuto un veneto che aveva un ristorante a Porto Rico: il resto è storia, da 20 anni sono qua”.

Due decenni in cui Alberto non è sicuramente stato con le mani in mano. “Questo è il quarto ristorante in cui lavoro, da quattro mesi gestisco questo angolo gastronomico, una tavola calda ovviamente di un certo livello, con caffetteria etc”. Anche nei Caraibi, le origini non si scordano: “Nel locale ho un poster gigante, di 7 metri per 4, con una foto dei miei che fanno la polenta, al passo San Marco. È un tributo a loro, quando il fine settimana si andava in montagna a fare polenta. Mi porto ancora la Valle nel cuore, il bergamasco è sempre dentro. Quando chiamo i miei famigliari cerco di parlarlo, è un po’ arrugginito ma la bandiera resta è alta”.

La nostalgia deve però fare i conti con la realtà: “Io torno in Italia in vacanza, mi manca: Porto Rico è un paradiso, parliamoci chiaro, tra il clima e il relax, è come vivere in una città su un’isola, l’economia è buona… tornare in Italia a fare business è difficile – racconta – ho nipoti che lavorano nella ristorazione in Valle Brembana, se tornassi potrei aprire un ristorante solo con i parenti. L’Italia resta la mia casa, però non è che qui si stia così male: lo stato di Porto Rico è associato agli Usa e questo ci dà tanti benefici, fare impresa qui è decisamente più facile e il lavoro fatto bene è ricompensato. Magari – aggiunge Alberto – quando andrò in pensione,  farò la spola tra i Caraibi e lo Stivale, perché apprezzo ancora la nostra bellissima Valle: viverci non è facile, la montagna è difficile ma mi manca, così come la mia famiglia”.

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