Antonio Invernici di Ponte Giurino, l’ultimo ‘scarpulì’ della Valle Imagna

A quarantaquattro anni, Antonio si ritrova ad essere l’ultimo rappresentante di un’arte un tempo molto diffusa nei nostri paesi.
4 Novembre 2019

Nei giorni scorsi abbiamo probabilmente assistito all’ultimo passaggio dall’ora legale a quella solare; dall’anno prossimo, infatti, sarà facoltà di ciascun Paese scegliere se mantenere l’attuale alternanza oraria, oppure tenere lo stesso orario per tutto l’anno. Questo pensiero, di per sé insignificante, ci fa compagnia mentre risaliamo la Valle Imagna, in questi giorni colorata a festa da un variopinto manto di foglie. Sarà forse perché l’idea di essere testimoni dell’ultimo atto di una consuetudine radicata, ci suona consonante all’artigiano che ci accingiamo ad incontrare.

La nostra rubrica questo mese incontra Antonio Invernici di Ponte Giurino, l’ultimo “scarpulì” della Valle Imagna. Antonio, a quarantaquattro anni, si ritrova infatti ad essere l’ultimo rappresentante di un’arte un tempo molto diffusa nei nostri paesi.

La storia della famiglia Invernici si è legata al mondo della riparazione delle calzature oltre sessant’anni fa; nel 1958 il padre Alessandro, oggi ottantacinquenne, aprì infatti il negozio nella sede dove è tutt’ora, ovvero la sua casa a Ponte Giurino. Questa fusione tra vita domestica e professionale oggi ci pare singolare e desueta, ma ci fornisce una preziosa testimonianza del mondo dei nostri “vècc”, dove la professione assumeva per l’individuo e per la sua famiglia una funzione identitaria, che aveva in questa sovrapposizione di luoghi un tratto distintivo.

 

Antonio questo lo sa bene, infatti già da piccolo ha respirato il clima della bottega, fino ad iniziare a lavorare con suo padre appena compiuti i 14 anni. Dopo qualche anno di apprendistato, nel 1996, a soli ventun anni, Antonio ha rilevato l’attività di famiglia, divenendone il titolare.

“Iniziare così presto – sottolinea Antonio – mi ha dato la possibilità di imparare il mestiere e di portare avanti la tradizione di famiglia, accumulando esperienza.”. Esperienza che si è resa necessaria in questi tempi, dove attrezzi e materiali sono profondamene cambiati.

“In questi anni il lavoro è cambiato tantissimo: prima gli attrezzi del mestiere erano essenzialmente due, ovvero colla e chiodi. Oggi abbiamo a che fare con diversi primer e colle speciali, indispensabili per realizzare lavori a regola d’arte.”.

Anche i materiali sono estremamente diversi. “Una volta il cuoio era, di fatto, il materiale che recitava la parte del leone; oggigiorno le scarpe sono prodotte in materiali diversi, con diversa qualità e, di conseguenza, con una resa differente.”. Se ci pensiamo, le nostre scarpiere sono ricolme di scarpe di qualità elevata e altre un po’ più modeste, di scarpe eleganti e da ginnastica, ognuna fatta di un materiale diverso.

Parlando con Antonio, riflettiamo sul ruolo che il calzolaio rivestiva una volta, in un’epoca in cui riparare le scarpe era normale, così come tutte le cose; forse non solo perché la situazione economica era diversa, ma perché l’idea di dare nuova vita a ciò che, se pur guasto, ci appartiene, rivestiva un significato che andava ben oltre il valore materiale dell’oggetto. “Riparare è un concetto che sta cadendo in disuso: i tempi sono mutati, spesso la gente preferisce cambiare che sistemare.”. Questo non per i clienti di Antonio, che a lui si affidano per rigenerare le proprie calzature.

L’attenzione si sposta poi sulle fasi del lavoro, che viste da un occhio inesperto come il nostro possono sembrare meccaniche e sempre le stesse. “Di primo acchito il nostro lavoro può sembrare veloce e ripetitivo, ma in realtà ha bisogno di ragionamento e lentezza. Spesso le calzature presentano problemi che richiedono un’attenta valutazione a monte. Scegliere l’opzione più veloce spesso porta a risultati scadenti o a lavori fatti male. Nel nostro lavoro, come in tutti, può capitare l’errore, per questo devo essere bravo a valutare tutto prima, e a lavorare con calma e precisione.”. Questo senso di responsabilità maturato negli anni ha portato Antonio alla consapevolezza che per tutte le riparazioni, anche quelle all’apparenza più semplici, non si deve mai forzare la mano o accelerare i tempi.

 

In un negozio che non nasconde i segni del tempo, su alcuni scaffali notiamo suole dai colori sgargianti, in netta dissonanza con il contesto. Sorpresi, chiediamo spiegazioni, ed ecco che ci viene riferito l’inaspettato: “Ultimamente una parte del mio lavoro viene assorbita dalla risuolatura delle scarpe tecniche, da trail running e da trekking: queste scarpe hanno una tomaia molto resistente, ma una suola che, a fronte di una tenuta eccellente, pecca in durabilità. Molte persone perciò mi portano queste scarpe, cui sostituisco l’intera suola, in modo che risultino praticamente come nuove.”.

Chiediamo ad Antonio quali siano le soddisfazioni del suo lavoro e lui, senza esitare, ci dice come la soddisfazione dei clienti sia la Stella polare che orienta il suo lavoro, “Soprattutto in quei casi in cui inizialmente pare non esserci soluzione, ma poi ci si ragiona e si arriva ad una riparazione soddisfacente”, ci tiene a precisare.

In quanto ultimo rappresentante della sua professione in valle, chiediamo se consiglierebbe a un giovane di intraprendere il suo lavoro. “Questo lavoro è molto affascinante, ma richiede molti sacrifici in termini di tempo e di impegno. Se un giovane fosse però interessato ad intraprendere questa strada, è una professione che, al netto di tutto, regala soddisfazioni.”.

E’ ora di cena, nella stanza accanto si ode un tramestio di stoviglie e posate che lasciano presagire che il pasto per Antonio sia quasi pronto. Perciò lo salutiamo e lasciamo che si accomodi al desco. Magie di case-laboratorio che ormai non ci sono quasi più. Magie che, in Valle Imagna, accadono ancora.

 

 

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