Il mondo dell’alta cucina è un complicato, ma può portare davvero lontano: Alessandro Cornali, 26 anni originario di Almenno San Bartolomeo, lo sa bene. Ha ereditato il lavoro del papà Mario, lo chef del ristorante Collina di Almenno San Bartolomeo, e lo ha portato fino a New York. “Io lavoro come cuoco e, di fatto, ho iniziato a 14 anni: mio padre ha un ristorante ad Almenno San Bartolomeo e io ho studiato all’Alberghiero a Nembro”, ma alla cucina si accompagna un altro interesse: “Dalla quinta superiore mi era scattata la molla di provare ad andare all’estero, il lavoro di cuoco mi piaceva e mi consentiva di viaggiare. All’inizio è stata una cosa graduale, non sono uno che prende e se ne va subito” racconta Alessandro.
“Ho iniziato un ristorante a Milano, all’epoca aveva due stelle Michelin: un’esperienza durissima, quasi shoccante”. Il mondo dell’alta ristorazione non è facile, ma sa anche regalare tantissime soddisfazioni. Alessandro si trasferisce così in Veneto. “Dopo qualche mese mi sono spostato a Padova, alle Calandre, un tristellato in cui ho fatto due anni, mi sono trovato davvero bene e lo chef è una persona eccezionale. Ho iniziato in stage, poi sono stato assunto: loro hanno tanti locali e dopo un anno sono andato a fare il capo partita in uno di questi, ovvero mi occupavo di una sezione, come antipasti, secondi etc”.
Tutte esperienze che permettono al nostro chef di migliorarsi, ma non fermano la sua voglia di imparare, anzi Alessandro vuole indagare meglio l’origine dell’alta cucina e quale posto migliore se non la Francia? “Le basi tecniche e il sistema per gestire una cucina sono nati lì: nel giugno 2019 ho mandato un po’ di curriculum oltralpe, soprattutto a Parigi. Mi ha contattato uno stellato e sono andato in prova, mi piaceva e dopo due mesi mi hanno preso”. Non tutto, però, va come dovrebbe andare: “Lo chef era davvero duro, difficile lavorarci insieme, non avevo voglia di vivere in un ambiente così. Devo dire che dopo il Covid ci si è resi conto che la salute psicofisica dei cuochi è fondamentale. Per fortuna, direi. Dopo tre settimane, ho detto basta, è stato l’unico fallimento, se vogliamo dire così”. Trovarsi a Parigi senza lavoro non è esattamente una situazione comoda, ma le cucine sono sempre aperte a chi ha voglia di imparare e mettersi in gioco.
“Fortunatamente conoscevo un ragazzo a Milano che in quel momento era a Parigi, al Pavillion LeDoyen, all’interno dei giardini dei Campi Elisi: è famoso per la cucina francese classica e moderna. Questo ragazzo mi ha detto che lì cercavano, mi hanno preso e sono rimasto tre anni, da luglio 2019 a marzo 2022”. In caso non si fosse capito, specifica Alessandro, “Io sono uno a cui piace cambiare, anche se Parigi resta nel mio cuore, è l’unico posto dopo casa mia, ad Almenno, in cui mi sentivo davvero a casa. In questo lavoro sento la necessità di progredire, cambiare, imparare cose nuove, sento il bisogno di spostarmi spesso, così mi sono dimesso e sono tornato a casa un paio di mesi per ricaricarmi”.
Durante la pausa ad Almenno, il nostro cuoco matura un’altra idea, per ampliare i propri confini guarda non più oltre le Alpi, ma oltreoceano. “Avevo un po’ il pallino di New York, ho mandato alcuni curriculum e un ristorante mi ha risposto, il Blue Hill, dove lavoro tuttora. Non è in centro, si trova fuori dalla città. Viviamo in un contesto molto rurale, assomiglia alle nostre campagne, il ristorante si trova in una tenuta, gestita da un centro di ricerca sul cibo con il quale collaboriamo, ad esempio, per sviluppare frutta e verdura sperimentale, sempre con selezione naturale, per trovare prodotti migliori, che favoriscano la biodiversità”. Alessandro non può che essere soddisfatto della sua nuova avventura: “Questo aspetto mi mancava totalmente, qua ricopro una buona posizione: ho 26 anni e sono sous chef, perciò ho i miei spazi per creare, inventare fare piatti nuovi”.
Dopo tanto girare per l’Italia e il mondo, le differenze locali saltano subito all’occhio, mentre i campanilismi passano decisamente in secondo piano, rispetto alla vastità del resto del globo. “Spesso un italiano non sente un grande senso di appartenenza, ma quando esci dal tuo contesto capisci che in Italia non ci sono grandi differenze interne” Alessandro ha vissuto con persone da tutto il mondo e lo sa bene: “Tutte le divisioni che abbiamo in testa non sono vere, lo si capisce quando si va all’estero: in Francia ho lavorato con tanti italiani, i francesi ci apprezzano, ma ci vedono ovviamente come un blocco più unico. All’inizio non è facile, senza generalizzare io ho vissuto con persone da tante parti del mondo, i francesi all’inizio sono molto sospettosi, ma quando si va oltre si collabora benissimo. Oltralpe ho scoperto di essere italiano, ho capito le peculiarità che ci accomunano nell’essere italiani, più che le differenze”.
Un discorso ancora più valido se si parla degli USA, dove il Vecchio Continente è invece visto come un pezzo unico: “In America invece è diverso, per loro sono tutti europei” spiega Alessandro “Io ho delle abitudini, anche piccole, e loro le definiscono “europee” perché per loro è strano, ma mi sono accorto che la cultura europea e la loro sono davvero diverse, anche si assomigliano. Abbiamo modi di fare diversi e ci sono tante cose che accomunano gli europei che magari loro non concepiscono. Anche loro hanno differenze interne, chiaro, ma le bellezze dell’Europa sta nell’essere un continente variegato, cosa che gli USA non sono”. Una differenza che permette all’Europa di essere molto più ricca e sfaccettata, come spiega il nostro chef: “Basta spostarsi di qualche ora per trovarsi in un contesto molto diverso, come Parigi e Bergamo, qui invece si può viaggiare per ore e resta tutto molto simile”.
La prospettiva esterna permette ad Alessandro di capire meglio i punti di forza e di debolezza dello Stivale: “Quando hai a che fare con leggi e sistemi diversi capisci che il nostro Paese non è così male come pensano tanti, ma ci sono anche moltissimi problemi. L’Italia ha un potenziale nel mondo enorme, io un po’ ho viaggiato, sono stato anche a Dubai due mesi: la nostra nazione è unica per diversità, bellezza, biodiversità, però poi ci sono tutte le questioni che sappiamo. Si parla sempre di fuga di cervelli” racconta “ma basta vedere gli stipendi in America e Italia e ti chiedi: cosa torno a fare? Io non sono partito per la fortuna economica, cerco più che altro di migliorarmi, vedere cose e imparare a livello professionale per tornare in Italia e fare bene, ma capisco i tanti italiani che vanno all’estero, anche solo in Francia. L’Italia è troppo indietro per stipendi, salari e coperture”.
Lo stesso si può dire degli USA, dove il sistema, per quanto contraddittorio, garantisce ad Alessandro uno stipendio e un tenore di vita che in Italia non potrebbe mai permettersi. Nonostante ciò, l’idea è di rientrare. “Sicuramente tornerò, sono legato alla mia città, anche se non ci vivo da tanto. Sono legato ad Almenno San Bartolomeo, ci sono la famiglia e gli amici veri, io sono appassionato di montagna. Bergamo è un po’ la mia comfort zone, non so ancora quando ma penso che tra qualche anno tornerò”. I piani per il futuro sono chiari: “Mio padre ha un ristorante avviato bene, potrei anche prendere in mano la situazione, il progetto è quello: ho voglia di tornare perché voglio condensare tutto quanto ho fatto finora e rielaborarlo in qualcosa di nuovo a Bergamo, potrebbe essere una bella scommessa. Sono convinto che, in Lombardia, ci sia Bergamo dopo Milano, a livello di opportunità ha tantissimo, sei al centro del Nord, vicino ai laghi, alle montagne, non lontanissimi dal mare: il potenziale c’è e credo si possa fare bene”.
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Alessandro è davvero figlio d’arte. Ha preso tanto dal papà Mario Cornali che ha lanciato il ristorante di famiglia (fin dagli anni ’50) come mai prima era stato. Fate un giro al Collina di Almenno per rendervene conto di persona. Bravi tutti e due!