Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.14” e scritto da Cristina Salimbene.
Quale può essere il contributo dell’archeologia, disciplina che indaga epoche storiche molto distanti dal nostro presente e che si occupa di periodi cronologici molto dilatati nel tempo, per un episodio recente e della durata di pochi anni come la prima guerra mondiale?
In Italia la guerra è stata combattuta soprattutto in alta quota, con un impatto ambientale di grandissima portata. Le attività di diboscamento propedeutiche alla edificazione di baraccamenti, trincee, drenaggi, infrastrutture logistiche di supporto e le centinaia di migliaia di uomini presenti nel territorio in una breve congiuntura temporale, infatti, hanno creato una quantità impressionante di tracce in rapida evanescenza. Nonostante le numerose fonti di ricostruzione storica oggi a disposizione, dalle fotografie aeree, alla documentazione d’archivio, alle testimonianze filmiche, epistolari e diaristiche, il metodo archeologico, che risponde ormai a criteri scientifici collaudati da anni di scavi e ricerche, può essere di grande aiuto nel recupero corretto di testimonianze relative alla vita quotidiana dei soldati al fronte e dei resti umani dei caduti.
In Italia il patrimonio storico della Grande Guerra è enorme e potenzialmente ricco di informazioni, ma costantemente minacciato dall’attività dei recuperanti, dall’espansione edilizia anche in alta quota e da interventi di restauro e di recupero di strutture non attenti all’indagine del deposito archeologico di riferimento. Alla tutela di questo patrimonio è preposta la legge 78 del 2001, che inserisce cippi, monumenti, stemmi, graffiti, lapidi, iscrizioni e tabernacoli, quali vestigia della Grande Guerra, nello stesso regime di tutela che l’articolo 51 del decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (testo unico) applica ai beni culturali e ambientali.
La guerra nelle incisioni rupestri di Carona
L’indagine del complesso di incisioni rupestri di Carona è un esempio di come il metodo archeologico possa essere applicato con efficacia anche al nostro passato recente. Dal 2007 il Civico Museo Archeologico, facendo seguito alla segnalazione di rocce con incisioni di età storica da parte dei membri del Centro storico culturale Valle Brembana, conduce ricerche nel comune di Carona nell’area compresa tra le pendici meridionali del Monte Aga, il passo Selletta e la Val Camisana, tra quota 2100 e 2400 m s.l.m.
L’area dei massi incisi è molto ampia e ha carattere omogeneo. Si tratta di blocchi rocciosi di arenaria argillosa (pelite), di distacco dalla parete rocciosa della montagna e di dimensioni variabili, caratterizzati da una superficie piatta e liscia, adeguata ad accogliere le incisioni, realizzate con la tecnica filiforme tramite uno strumento metallico; assai rare sono le figure ottenute a picchiettatura. Il repertorio iconografico è costituito prevalentemente da iscrizioni e date di varie epoche e figure per lo più a carattere simbolico.
Nell’estate 2007 è stata effettuata la prima campagna di ricerche in regime di concessione ministeriale; si è dato così avvio alla documentazione e allo studio delle incisioni. I massi vengono georeferenziati e i complessi figurativi rilevati con il metodo “a contatto” con fogli Cristal e ripresi con fotografia digitale. Il controllo analitico della superficie del masso CMS 1, allo scopo di effettuarne il rilievo, ha permesso di individuare, al di sotto di un groviglio di linee, alcune iscrizioni in alfabeto leponzio e alcune figure ancora più antiche, che rappresentano al momento l’elemento più rilevante di tutto il complesso di incisioni.
La maggior parte delle incisioni sono state realizzate da pastori che, da Carona e attraverso la Val Camisana, raggiungevano i pascoli in alta quota e, durante le loro lunghe permanenze in alta montagna, ingannavano il tempo incidendo sulla roccia nomi, date, figure di animali, simboli e, in qualche occasione, anche frasi più o meno lunghe. Tra le immagini più frequenti vi sono le croci, i cuori, i nodi di Salomone, le stelle a cinque punte. Le figure femminili sono spesso rappresentate nei costumi tradizionali e in atteggiamento di danza. Non mancano elementi fitomorfi e tra le figure di animali sono presenti bovini, pecore e cervi. Assai frequenti sono, infine, i “filetti” e i reticoli di linee, spesso molto irregolari, o le linee tracciate senza alcuna precisa sintassi e i cerchi realizzati a compasso. Poche sono le scene figurate, riferibili alla caccia al cervo con arco e frecce. Tra gli antropomorfi spiccano alcuni armati di epoca medievale e moderna.
Tra le raffigurazioni più antiche si annovera il guerriero inciso sulla roccia CMS 1, delineato con estrema accuratezza e realismo. La cotta di maglia è resa nei particolari, il gonnellino è provvisto di inserti e lo scudo reca uno stemma. L’elmo ha la celata abbassata, la lancia in resta è ornata da uno stendardo o da elementi di stoffa, dalla cintura pende una spada nel fodero. Alle spalle del guerriero una figura femminile mostruosa di dimensioni maggiori, con lunga veste a scacchi, è parte della scena e potrebbe rappresentare la morte che segue i passi del soldato in battaglia. L’elmo permette di datare la figura verso la metà del XIII secolo, grazie ai confronti con i guerrieri affrescati nel Palazzo Ducale di Mantova.
Un secondo uomo in armi, molto più schematico, è rappresentato sul masso CMS 10; indossa un’armatura e forse una goliera in maglia di metallo, la calzamaglia, un gonnellino, gli schinieri e gli speroni, un elmo a profilo ogivale e sembra impugnare una spada; forse è raffigurato con la barba. Il tipo di elmo potrebbe essere cinquecentesco, forse riferibile all’armamento dell’esercito svizzero, la presenza degli speroni e del gonnellino lo definisce come cavaliere, probabilmente un nobile, come suggerisce l’iconografia dell’epoca. Dalle fonti storiche sappiamo che i primi fanti svizzeri scesero in Italia in difesa del Papa nel 1506.
Due figure simili sono presenti sui massi AGA 1 e AGA 35, anch’esse molto schematiche, con elmo conico, ornato da una piuma e con indosso una blusa a righe e pantaloni con numerosi sbuffi. In base ai confronti iconografici potrebbero essere identificati come “lanzichenecchi”, i fanti mercenari tedeschi e svizzeri che non possedevano una divisa ufficiale ma erano riconoscibili per il copricapo con la piuma e la lancia e la spada come armi. Truppe di mercenari attraversarono la Val Brembana,mettendo a sacco Zogno, nel 1521 e nel 1524; in quest’ultima data arrivarono nel territorio bergamasco almeno 6000 mercenari svizzeri al soldo del re di Francia; sconfitti da Giovanni dalle Bande Nere, tornarono in Svizzera attraverso la Valle Brembana.
Poiché la via Priula fu aperta tra il 1592 e il 1594, è possibile che per tornare in Valtellina abbiano utilizzato il passo del Venina, indicato fino al 1913 come una delle vie preferenziali per il trasporto del minerale fino alla valle del Livrio. È verosimile, dunque, che le raffigurazioni siano opera dei pastori che assistettero al saccheggio e alle violenze perpetrate dalle truppe.
Più vicine ai nostri anni sono le figure di Alpini, realizzate verosimilmente da pastori che hanno prestato il servizio di leva all’interno di quel corpo. All’interno delle iscrizioni che riportano date e nomi possono essere isolate quelle vicine agli anni della Grande Guerra oppure comprese nel triennio 1915-1918. Di particolare interesse la roccia AGA 14 che riporta, insieme a nome e data, anche il toponimo Tripoli e rivela verosimilmente la volontà, da parte del pastore, di ricordare la partecipazione alla campagna di Libia, pochi anni prima dell’esplosione del primo conflitto mondiale.