C'era una volta in Valle Imagna“ Racconti della Valle Imagna” : Il viaggio di Atreo (4a parte)
La sospensione prolungata della prosecuzione dei “Racconti di Valleimagna” nella rubrica “C’era una volta in Waldimagna..” può aver portato attesa ed interesse che comunque sottolineano la veramente particolare importanza storica di ritrovamenti archeologici in valle riferibili alla antichissima civiltà minoica ed egeo cretese.
La narrazione tratta dal racconto di esercitazione scolastica di due giovani studenti del liceo Mascheroni ora adulti professionisti, ha bisogno di alcune note di lettura che segnalano il contesto ed i riferimenti storici, come possono dare le suggestioni tratte da ricerche e notizie di cronaca locale, da pubblicazioni , da riviste ,.da note come questa da“Quaderni Brembani” a commento del ritrovamento dello “Spillone di bronzo di S.Pellegrino” : “Sappiamo che, tra la fine dell’età del Bronzo e la prima età del Ferro, un vasto e importante abitato sorgeva sul “Castello” di Piazza Brembana. Molto probabilmente dovevano esserci altri insediamenti posti sulle alture lungo la valle del Brembo, a controllo delle vie di transito verso la Valtellina e i comparti minerari dell’Alta Valle, come ne sono stati individuati più a sud, a Bondo di Ubiale-Clanezzo, a Blello e al Duno di Almenno San Salvatore”.
E in queste note di letture vanno raccolte alcune osservazioni a commento dei ritrovati e delle testimonianze archeologiche della Valle Brembana e della Valle Imagna, come sono queste dell’amico archeologo Giuseppe Ge riferite in una bella relazione universitaria con titolo dallo scrittore romano, Plinio il vecchio “In Bergomatium agro extrema parte Italiae” (Sul territorio dei bergamaschi nella parte estrema dell’Italia- Plinio nativo di Como parla degli Orobi) . Scrive l’archeologo : ” Le due valli convergono tra loro all’altezza del paese di Clanezzo e che, seppure separate e distinte, da sempre gravitano sull’area pianeggiante dell’antico Lemine. […] “L’abitato di Clanezzo poteva svolgere una funzione di mercato grazie alla sua posizione strategica trovandosi allo sbocco verso la pianura dei due percorsi interni delle valli e non distante da percorso pedemontano che univa l’area adriatica ai passi alpini, e che risulta frequentato forse ancor prima del XVI secolo a.C. ***** ***Clenezzo tra gli altri reperti i pendagli in ambra rinvenuti sono un ritrovamento eccezionale, poiché rappresentano il più lontano e il più settentrionale reperto in tale materiale rispetto alla via dell’Ambra e alle rotte commerciali note nell’età del Bronzo…[…]. All’età del Bronzo sono databili due siti all’interno di grotte, di differenti funzioni, che hanno permesso di confermare l’esistenza di scambi di lungo raggio tra l’area prealpina e l’area veneta con influssi anche di ambito transalpino; si tratta della tomba ad inumazione rinvenuta nel 1985 all’interno di una cavità nella grotta Costa Cavallina di Clanezzo, non distante dal sito dell’abitato, col ritrovamento di pendagli di ambra lavorata a “tipo tesoro di Tirinto “, e della grotta nota come “Tomba dei Polacchi”nel comune di Rota nel cuore della Valle Imagna col ritrovamento di un rasoio quadrangolare con decorazione incisa dell’ascia bipenne ./// eccezionale reperto solitamente deposto come parte del corredo in tombe ed unico caso noto, in un contesto devozionale. Si tratta di un rasoio quadrangolare con doppia lama a forma di paletta a incavo semicircolare e decorazione incisa recante l’immagine di un ascia bipenne /// La presenza di ambra, proveniente dal Baltico, che veniva lavorata nel sito di Fratta Polesine in vicinanza al delta del Po, ritrovata in un contesto funerario in un’ area marginale alle grandi vie di traffico transalpine, permette di comprendere il ruolo commerciale delle vallate orobiche e il prestigio sociale dell’inumato dato che gli amuleti e i vaghi in ambra venivano considerati oggetto di status-simbol di alto rango e ai cui erano attribuiti valenze magiche e terapeutiche.
Fatte queste note di testimonianza archeologica riprendiamo la narrazione di Atreo alla corte dell’eroe Teseo, con citazioni e riporti giustificati e pertinenti (distinti in asterischi) dei bei versi dell’Odissea, risparmiando ai lettori la traduzione del testo dal greco, ma non il fascino della poesia di Omero.
Cosi continuava il suo racconto di Atreo “E noi giungemmo navigando il greto delle acque fino al limite della pianura, a Limite(Lemen)alla confluenza di un piccolo fiume, un “piccolo brembo” nel linguaggio locale, “ trovammo ormeggio nel suo slargo sotto le alture e distinguemmo la forma di piramide del monte selvoso alto sul bordo del fiume . Scesi a terra, quanto la profetessa disse si verificò nel segno predetto: “Quando, incontrandoti,un altro viandante ti dirà che il ventilabro tu reggi sulla forte tua spalla ,allora in terra piantato il maneggevole remo ,offri bei sacrifici a Poseidone delle acque sovrano, ed ai numi immortali che il cielo vasto possiedono,perché la vostra impresa abbia il suo compimento realizzando il sogno inseguito partendo dalla lontana Thera!” . Così facemmo là dove le acque confluivano rapide tra le rocce, i flutti più non reggevano la concava nave ed i remi si arresero erti e riposti a terra come ventilabri sull’aia .
Il principe Teseo nella sala regia i nobili invitati seguivano appassionati il racconto ponendo interessati domande : “Quanto ci narri ,o Atreo, ci riempie di meraviglia, ma dicci di quella lontana terra qual è il suo luogo? , e come e chi ci arrivò,se tu stesso l’hai visitata o ne hai sentito da altri?”.”Rispondendo Atreo continuò il suo narrare : “Come vi avevo detto , io mi misi alla ricerca di mio padre che non avevo conosciuto, essendo partito per il suo grande viaggio quando io ero ancora in fasce, e di lui mi immaginai la figura, ma non ne ebbi l’aspetto né il suo ruolo di padre , e quando l’ebbi incontrato e ritrovato mi conservai e mi rimase nel cuore e nella mente quel suo ruolo che da bambino gli assegnavo come di un Uomo , Uno, Qualcuno da cercare e da ritrovare nella mia vita ed in me stesso; quanto poi al luogo ed al sito di quella terra vi ci accompagnerò con la visione che io ne ebbi nel mio viaggio e di cui vi narro”.
Nel mezzo della grande pianura dell’Eridano nel suo lato di settentrione sul bordo del piano, si apre un percorso nel contorno dei monti fra due alture, affiancate come grandi piramidi e separate da un dosso morenico, propilei di entrata ad aperta vallata. Acque tranquille di rivo sereno aprono, in una forra profonda sui fianchi di quei monti, la loro riposata foce sullo slargo del fiume che qui scoscende da rive rocciose ;là dove il nome “Lemen” significa limite e dove il nome “Clanis” indica un passaggio di chiusura ”,su quel limite si fermò la concava nostra nave e là piantammo alzati i nostri remi .” *..sbarcati due giorni e due notti giacemmo ,mangiandoci il cuore di stanchezza e di pena …ma quando l’Aurora dalle dita rosate sorse al terzo giorno io con mio padre, lasciata la nave, la spada grande e bronzea a borchie d’argento al fianco appesa, e l’arco a tracolla * mentre altri compagni si avventuravano nei dintorni, prudentemente salivamo tra i boschi e le selve sulla piramide di quel monte, crocevia di valli e vedetta su quella terra sconosciuta.
Da quella cima ci apparve la splendida visione di una incantevole vallata, sottesa come grande coppa di verde smeraldo sotto il cristallo trasparente del cielo sereno ;sul contorno orientale un bordo di alture e vallette boscose , coronato a settentrione da creste di bianca dolomia ricamate su prati e su boschi ; chiude il nord una conca di elevata giogaia di alture e di transiti disposti a riparo e terrapieno e vigila ad occidente un roccioso e crestato monte, adagiato come leone al tramontar del sole, su contrafforti e baluardi prolungati a contorno di quella conca e di quel cerchio fino a congiungersi , sul bordo meridionale, affiancando al monte di vedetta sulle valli il piano, l’altra altura piramidale di elevate rocce inarcate di fronte alla pianura : due sentinelle all’entrata della valle, certo opera di giganti che forse dai giganti presero il nome di Ubione e Linzone .
Si presentava ai nostri occhi con l’entrata in quella valle il transito ai grandi monti del nord, scavato e segnato dal corso di piccolo fiume perenne che, di onda in onda da sempre scandisce lo scorrere dei giorni e dei secoli con lo scorrere delle acque accompagnate alla placida foce sul greto del fiume che avevamo risalito dal grande Eridano ** Qui fu riparo finale alla concava nave,qui entrammo nel bel porto che rocce inaccessibili cinge ,ininterrotte da una parte e dall’altra e due promontori sporgenti, correndosi incontro sulla bocca si avanzano ;stretta è l’entrata : qui dunque spingemmo la nave ben manovrabile e quella nel porto profondo stava ,ché mai si gonfiava flutto là dentro ,ma v’era bianca bonaccia **
Ritornammo dal monte alla nave, prudentemente evitando segni di abitato, che pure avevamo notato sul margine del fiume dentro la valle ed alle pendici del monte, ritrovando i compagni affranti da triste avventura. In piccola compagnia avevano esplorato il fiume oltre l’affluente ,oltre le rocce che sono impedimento alle navi**/andarono ad informarsi che gente su quella terra vivesse ,mangiando pane,..essi sbarcati seguivano la liscia via ,dove i carri alla città portavano legna dai monti eccelsi …arrivati all’abitato una donna incontrarono grande come tronco di pianta e ne ebbero orrore ..costei dalla piazza chiamò e in gruppo accorrevano ,chi di qua chi di là, gli abitanti e vicini ,.. parevan giganti e non esseri umani..essi dai picchi con pietre che appena può un uomo portare colpivano… a malapena riuscirono i nostri a scappare e tornare **.
Dunque eravamo forse arrivati tra i Lestrigoni ?No, questa era la terra degli Orobi ,abitanti dei monti come significa il loro nome , gente dunque che la maga e profetessa Manto ci aveva annunciato :**”finchè a genti arriverai che non conoscono il mare, non mangiano cibi conditi col sale ,non sanno delle navi con guance di minio ,non maneggiano i remi che sono ali alle navi”**.. e per vero quelle genti non usano il sale che il mare fornisce e perciò ostentano come vanto al collo uno o più gozzi rigonfi ed è re chi ne ostenta di più e vivono come ** in Lestrigonia a Telepido sotto l’altissima rocca di Lamo: là rientrando all’ovile il pastore saluta l’altro pastore, e quello dall’ovile uscendo risponde; un uomo senza sonno prenderebbe due paghe ,uno pascendo buoi ,l’altra pecore bianche menando,perché qui sono contigui i sentieri della notte e del giorno**, così anche fra gli Orobi si usa “lavorare” giorno e notte da “ stelle a stelle” dalle stelle del mattino alle stelle della notte , dalle stelle della sera alle stelle del giorno… anche se la paga non è doppia!!! Da tutti questi segni eravamo dunque arrivati alla meta e, se ci lasciava perplessi questo incontro infelice, ci rincuorava la visione di quanto vedemmo dal monte che ci indicava la via che ci apprestavamo a seguire per risalire ai grandi monti delle Alpi che il divino eroe Eracle aveva per primo attraversato !!!