Da Costa Imagna ai palcoscenici più importanti della scena classica italiana e internazionale: in questa nuova puntata della rubrica musicale intervistiamo il baritono Giuseppe Capoferri, classe ’77. Ad oggi si è esibito come artista del coro in numerose opere liriche dei più importanti autori classici, grazie alle sue doti vocali e ad uno studio costante iniziato tanti anni fa, quando ancora bambino cantava nel coro parrocchiale del piccolo paese valdimagnino: “Mio papà era direttore del coro della parrocchia di Costa – ricorda Giuseppe – e mi portava a rassegne internazionali e a concerti in provincia; è stato lui a trasmettermi la passione per la musica e in particolare per il canto”.
Come è proseguita la tua formazione musicale?
Ho iniziato ad avvicinarmi al pianoforte ancora bambino con Luigi Panzeri, il mio primo insegnante di musica ad Almenno San Salvatore: è stato lui a consigliarmi di continuare gli studi all’Istituto Musicale Santa Cecilia di Bergamo. Ricordo ancora quando all’esame di teoria e solfeggio cantato il direttore dell’istituto don Egidio Corbetta andò a chiamare tutti i docenti presenti nell’istituto quel giorno per far sentire la mia voce. Lì ho studiato fino ai 15 anni, quando ho smesso perché prevalsero la voglia di divertirmi e giocare con gli amici. Fu nel 2004 che ripresi gli studi in canto artistico al Conservatorio di Bergamo, terminati nel 2010. In quegli anni studiavo e contemporaneamente lavoravo alla Mario Boselli di Sant’Omobono: devo dire grazie anche ai miei colleghi e al direttore dell’azienda se sono riuscito a conciliare gli impegni. E’ stato un periodo davvero impegnativo!
Quando la passione per il canto si è trasformata in un mestiere vero e proprio?
Nel 2007 ho avuto la mia prima esperienza professionale: ho superato l’audizione al Teatro Donizetti di Bergamo per cantare nel coro nell’Elisir d’Amore di Donizetti. Ho cantato lì fino al 2009, anno in cui feci un’audizione all’Arena di Verona: i primi di maggio mi arrivò una chiamata quando ormai non avevo più speranza di essere preso; mi dissero che il maestro aveva bisogno di me e che avevo una settimana di tempo per decidere se accettare o meno. Non sapevo cosa fare perché avevo voglia di intraprendere questo tipo di lavoro ma allo stesso tempo non avevo certezze di riuscita; ma alla fine mi sono buttato e ho accettato. E devo dire che è andata bene! Dal 2009 ho ho iniziato a collaborare con l’Arena in diverse opere: nella Carmen di Bizet, nell’Aida di Verdi, nel Trovatore con regia di Franco Zeffirelli. Ho poi vinto il concorso all’Opera di Zurigo, dove ho lavorato per due anni collaborando con i più grandi direttori internazionali della musica operistica classica, tra cui Zubin Mehta e Riccardo Muti, e con cantanti di primissimo ordine. Lavorare con questi bravissimi artisti mi ha dato la possibilità di crescere molto dal punto di vista tecnico.
E poi arriviamo a oggi, che sei in pianta stabile a Torino: come ci sei arrivato?
Nel 2012 mi sono reso conto che se fossi rimasto a Zurigo sarei stato destinato a rimanerci per sempre. Il desiderio di tornare in Italia, vicino alla famiglia e agli affetti, mi ha portato al Teatro Regio di Torino, dove tuttora canto. In questo momento sono in aspettativa perché il 9 maggio inizierò a collaborare con il Teatro alla Scala di Milano per la produzione de Il Pirata di Bellini, che proseguirà fino al 19 luglio.
Ora che sei un cantante professionista la voce è il tuo strumento: come si prende cura delle proprie corde vocali un operista come te?
In questo momento sto facendo le cure termali qui a Sant’Omobono, che mi fanno molto bene così come camminare: espellendo tossine la voce diventa limpida. Poi naturalmente è importante lo studio quotidiano, con vocalizzi almeno mezz’ora al giorno, e studiare sempre nuovi concerti. Anche fare sport e avere una postura corretta è molto importante, perché in fondo cantare è un’attività fisica.
Oltre ad essere un affermato artista del coro, svolgi altre attività legate al canto lirico?
Io sono un artista del coro, ma qualche volta mi tolgo qualche soddisfazione da solista: ho cantato in ruoli comprimari ne I Pagliacci di Leoncavallo, nel Tristano e Isotta, nel Guglielmo Tell di Rossini che è stato portato anche alla Carnegie Hall di New York, in Tosca nel ruolo del carceriere a Torino e a Tokyo. Comunque non ho mai avuto l’ambizione di dedicarmi completamente al mondo del solista perché è abbastanza difficile e devi esservi portato anche caratterialmente. Parallelamente al teatro, svolgo attività concertistica in proprio in Italia e all’estero. Ho anche una famiglia a cui naturalmente voglio dedicare del tempo. Perciò sono molto soddisfatto così.
L’opera è spesso vista come un’arte difficile e per pochi: cosa diresti ad un una persona acerba in materia per convincerla ad avvicinarsi a questo mondo?
Secondo me la musica significa assaporare qualcosa di bello; è come andare in montagna o al mare e, trovandosi davanti ad un paesaggio incredibile, rimanerne stupiti: per me la musica è questo, in essa trovo la bellezza. Ad una persona acerba in materia proporrei di venire in teatro a vedere un’opera di Puccini, autore capace di una grande sensibilità.
E a chi dice che uno spettacolo lirico sia troppo costoso?
Spesso per andare a vedere una partita di calcio o un concerto di un cantante famoso si spendono centinaia di euro, quindi non capisco quando si dice che andare a vedere l’opera sia costoso. Inoltre forse si sottovaluta tutto il lavoro che c’è dietro. Un po’ di responsabilità per questa mancanza di informazione è della scuola dell’obbligo, dove ci si accontenta di insegnare a suonare le sei note del flauto. Alla maggior parte delle persone manca una base musicale che dovrebbe essere fornita dalla scuola, anche se adesso si sta muovendo qualcosa: per esempio ho recentemente partecipato ad un progetto sull’Elisir d’amore di Donizetti in una scuola di Verdellino organizzato da Gianluca Maver, organista di Sant’Omobono, a cui hanno preso parte moltissimi ragazzi.
A proposito di questo tema, come credi si possano avvicinare i più giovani al mondo della lirica?
A Torino fanno degli spettacoli per le scuole selezionando l’opera o rivedendola per i ragazzi, magari travestendo il direttore da Mozart o Rossini. Si organizzano anche visite guidate in teatro durante le prove per mostrare alle scolaresche come si preparano gli allestimenti. All’estero, in Germania e in Svizzera per esempio, si tende a svecchiare la regia: per esempio, invece di usare costumi e scenografie del 700, si propongono allestimenti moderni; questo attira più giovani in teatro, come mi ricordo accadeva a Zurigo. Però in Italia siamo più tradizionalisti e si fa fatica a digerire un’opera classica in veste moderna: le più grandi composizioni operistiche sono nate in Italia quindi c’è la percezione che non si possa ‘sgarrare’ troppo rispetto ai canoni classici.
Dopo tanti anni e tante esperienze, qual è stata l’opera a cui hai lavorato che ricordi con più piacere?
Io sono un amante di Puccini, però l’opera che mi ha dato un maggiore impatto finora è stata l’Aida di Verdi all’Arena di Verona: ritrovarmi davanti 15 000 spettatori è stato veramente da pelle d’oca. E naturalmente ricorderò sempre con piacere l’Elisir d’amore di Donizetti al teatro di Bergamo, che mi ha permesso di iniziare il mio cammino nel mondo dell’opera.