Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.8” a cura di Ivano Sonzogni.
Dei personaggi pubblici italiani, più o meno grandi, sappiamo spesso vita, morte e miracoli, ma tante volte ci manca non sappiamo nulla dei loro interessi privati, sportivi in particolare. Così è anche per lo zognese Bortolo Belotti (Zogno 1877 – Sonvico 1944) gran giocatore di bocce, ma finora ricordato come grande storico locale (sua la Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, sua la Vita di Bartolomeo Colleoni) oppure come poeta autore di raccolte di versi in lingua italiana o bergamasca, oppure come studioso di diritto: suo per esempio il primo volume italiano di Diritto turistico.
Belotti è conosciuto soprattutto come politico (promosse la formazione di partiti politici di area liberale tra il 1907 e il 1922) e come parlamentare e ministro: come sottosegretario al Tesoro tra il 1919 e il 1920 contribuì allo scioglimento di quegli enti pubblici economici che erano stati costituiti durante la prima guerra mondiale e come ministro dell’Industria e del Commercio tra il 1921 e il 1922 promosse i primi trattati commerciali internazionali del periodo postbellico per esempio con la Germania e con il nuovo regno della Jugoslavia, ma è ricordato pure per aver concesso a Gabriele D’Annunzio la proprietà di una villa requisita ai tedeschi a Gardone che poi divenne il Vittoriale degli Italiani.
La sua gestione del fallimento della Banca Italiana di Sconto, la terza per capitalizzazione a livello nazionale, evitò allo Stato un enorme esborso di denaro pubblico. Ma nulla poté di fronte all’incancrenirsi dello scontro sociale e del diffondersi della violenza comune e politica del cosiddetto “biennio rosso”. Non disponibile a compromessi e inciuci, fu estromesso dalla vita politica dal fascismo, che addirittura lo costrinse al confino per attività antifascista tra il 1930 e il 1931. Legato agli ambienti moderati lombardi di opposizione, dopo la caduta del fascismo nel luglio del 1943 guidò il trapasso a Dopo l’8 settembre 1943 si rifugiò in Svizzera dove collaborò con Luigi Einaudi (futuro presidente della Repubblica italiana) alla realizzazione di attività per i rifugiati politici e per la ricostruzione dell’Italia.
La passione per lo sport
E poco o per nulla conosciuta di Belotti la passione per lo sport. Se, nel 1921, fu nominato presidente onorario della società sportiva bergamasca Atalanta (che allora non si occupava esclusivamente di calcio) non fu solo per “meriti politici”, ma per un’attenzione costante all’attività sportiva. Tra le prime notizie che abbiamo di lui sta la partecipazione all’associazione nazionale “Per la scuola” che tra le proprie finalità aveva la diffusione della pratica dell’educazione fisica tra i ragazzi e anche delle gite scolastiche in montagna (con l’apporto anche del Touring Club), lui che amava come pochi la montagna e le escursioni sui monti orobici, valdostani o svizzeri. Come presidente dell’associazione del suo paese natale “Pro Zogno” promosse attività podistiche, come la corsa dal paese alla cima del monte Canto Alto. Un articolo in prima pagina della “Gazzetta dello Sport” critico nei confronti di Belotti dopo l’elezione parlamentare del 1919 ci indica indirettamente che il mondo sportivo si aspettava molto da lui in termini di realizzazione di stadi, palestre e strutture per lo sport, tanto più che il suo esordio parlamentare, nel 1913, era avvenuto con una richiesta di regolamentare la caccia (altra sua grande passione) e parte della sua attività saggistica l’aveva dedicata alla regolamentazione delle gare sportive riguardo per esempio ai danni agli spettatori e alle scommesse (Del contratto di gara, 1919).
Il pallino per le bocce
Ma ricordare Bortolo Belotti significa soprattutto ricordare la sua grandissima passione per le bocce. Nato in un paese, Zogno, in cui ogni osteria aveva il suo campo di bocce, lui se ne fece costruire uno personale nel giardino della sua villa, dove nei fine settimana o nelle ferie estive e autunnali, lasciata Milano, sfidava gli amici zognesi e bergamaschi. Belotti dedicò diverse poesie alle bocce, come la seguente, tratta dal poemetto Val Brembana:
…il gioco
vince taluna, cauta strisciando
sull’eguale terren, verso il pallino,
così che vicinissima gli giunga;
tocca tal altra con sagace calcolo
i sonanti steccati; ma ben presto,
com’è dei sogni della vita, un’altra
sferra un colpo improvvisa e violenta,
l’ordine rompe e tutto urta e disperde
Il testo è molto semplice e bene si comprende come per l’autore ogni momento della partita sia importante, ma non è mai definitivo, perché è sufficiente un nonnulla per scompaginare le bocce. Il gioco delle bocce, quindi, può farci capire ed accettare sia i momenti belli che quelli brutti della nostra esistenza. Ben più famosa e significativa è però un’altra breve poesia sulle bocce, che l’autore fece incidere sulla pietra e collocare sul fondale del campo di bocce. La riportiamo qui di seguito nella versione originaria, in bergamasco, e nella relativa traduzione italiana:
S’ha da tegn ol balì ma se l’iscapa
l’è miga ona resù de perd la crapa.
A l’è compagn di robe de sto mond:
cosa cönta vess prim o vess segond?
Quel che l’importa, quando l’è finida,
l’è de i facc con onur la so partida.
Si deve tenere il pallino, ma se sfugge
non è un motivo di perdere la testa.
È come nelle cose di questo mondo:
cosa conta risultare primi o secondi?
Ciò che importa, quando è finita,
è di aver fatto con onore la propria partita
Bortolo Belotti da sportivo sapeva benissimo che il motto “olimpico” “l’importante è partecipare” era un falso storico e, sportivamente parlando, una sciocchezza. Il senso dello sport non è il puro partecipare, ma ha poco senso, anche se è un atteggiamento umanissimo, puntare esclusivamente alla vittoria: il senso dello sport e della vita, come può insegnare il gioco delle bocce, è l’onore, l’impegno e la serietà che mettiamo in ogni nostra attività, ben sapendo che i risultati non possono dipendere esclusivamente dalla nostra bravura, ma anche dalla bravura degli avversari o dalla sorte. Il senso del gioco e della vita sta, dunque, anche nell’accettazione della sconfitta, che è parte integrante del gioco stesso.
Tale fatto deve far riflettere anche oggi e, forse, oggi più di ieri stante il fatto che non si possa esistere se non con il successo e la visibilità che questo può dare. È per la profondità del messaggio che questo breve testo del 1928 fu particolarmente apprezzato, tanto che amici e colleghi avvocati la riprodussero per i loro giochi di bocce, come quello realizzato dall’avvocato Enrico Mildmay per la sua villa di San Vigilio sul Garda. Anche semplici emigranti della Valle Brembana vollero portare nei loro nuovi paesi del Sud America questo segno dell’atteggiamento bergamasco nei confronti dello sport e della vita.
Altre poesie Belotti dedicò allo sport, come Il giro, dedicato al ciclismo, sport, allora, che metteva in rilievo la tempra non solo fisica dello sportivo. Ma significativa è pure la poesia Carnera K.O., in cui critica un risvolto negativo della passione degli italiani per le attività sportive: rendere lo sport il centro stesso della vita, parlare esclusivamente di esso, vivere esclusivamente di esso e per esso. Belotti sollecita anche in questo caso a gestire con equilibrio ogni momento della nostra esistenza: la passione sportiva, come quella politica, come pure l’attività professionale sono momenti anche importanti della nostra vita, ma non sono tutto.
Ma, pur occupandosi anche di sport diversi, il reale interesse di Belotti era proprio il gioco delle bocce: era famosa la sua passione per le bocce, ma questa talvolta nascondeva anche il disegno di incontrare oppositori del regime fascista senza dare troppo nell’occhio: fu infatti spesso giocando a bocce che l’ex parlamentare discuteva di politica con gli amici e li incitava alla resistenza e preparava con loro il superamento del regime. Neppure per Belotti le bocce erano tutto, ma certo erano la migliore occasione per confrontarsi con gli altri.