Articolo estratto da “Quaderni Brembani n.14” a cura di Wanda Taufer.
“Che non vi sia alcune persona di che grado o condizione esser si voglia che ardisca di estraere o far estraere da questo territorio veruna quantità di castagne sotto alcun colore o pretesto, né meno con esse avvicinarsi al confine…”. In questi termini perentori si apre il proclama datato 13 agosto 1776 con il quale il podestà di Bergamo Francesco Corer impartiva disposizioni riguardo al rigido divieto di esportare le castagne al di fuori del territorio bergamasco.
Si era in un periodo di grande povertà e le castagne, considerate il pane dei poveri, erano un alimento quotidiano in grado di sostituire e integrare i viveri che erano serviti sulle mense quotidiane: la coltivazione del castagneto forniva l’unico alimento largamente disponibile per gli abitanti della bassa e media montagna. Si riteneva quindi indispensabile, specie nei periodi di carestia, che di tali frutti non venisse fatto commercio all’estero, essendo opportuno che rimanessero a disposizione delle popolazioni locali.
Per scongiurare questa forma di contrabbando, il proclama fornisce disposizioni precise e dettagliate: nessuno poteva avvicinarsi al confine del territorio bergamasco con carichi di castagne e chi veniva sorpreso entro lo spazio di tre miglia dal confine veniva punito con “bando, corda, prigione e gallera”, la confisca del carico e il sequestro degli animali utilizzati per il trasporto, oltre a una multa salatissima di 50 ducati. Dell’esecuzione di tali disposizioni sono incaricati i Comuni, meediante i sindaci, i funzionari e le guardie campestri, senza trascurare l’invito rivolto ad ogni cittadino di vigilare autonomamente e di segnalare i trasgressori a cui dare la caccia al suono delle campane a martello.
Il divieto valeva anche per la Val San Martino e la Valcalepio, territori bergamaschi di confine, i quali in nome dei rispettivi “privilegi” si ritenevano in diritto di vendere le castagne oltre confine. Le norme valevano anche per i raccoglitori e trasportatori di castagne muniti di specifica autorizzazione per farne commercio nel territorio bergamasco: essi dovevano tenersi alla distanza di tre miglia dal confine e non deviare dalla strada indicata nelle autorizzazioni per non incorrere nell’arresto, nel sequestro di beni e animali e nelle pene e multe di cui sopra.
Le stesse pene sono poi previste per i complici che aiutavano i contrabbandieri fornendo loro ricovero e luoghi per il deposito delle castagne entro tre miglia dal confine. Per indurre le autorità locali a fare il loro dovere e i cittadini a collaborare, il proclama, nel rispetto delle norme abitualmente applicate dal governo veneto, prevede la devoluzione a loro favore dell’intero corpo del reato e degli animali connessi, inoltre per i privati cittadini autori della denuncia è garantita la segretezza, accompagnata da un adeguato premio.
Stando a quanto indicato nell’ultima parte del proclama, sembra di intuire che le autorità locali non fossero troppo ligie nel far rispettare questi divieti: viene infatti precisato che omissioni e connivenze saranno oggetto di precise inchieste e che saranno tenute in debita considerazione e premiate le denunce segrete di inadempienze fatte pervenire alla Cancelleria pretoria o recapitate nelle apposite “casselle” collocate nei luoghi soliti. Per garantirne la massima diffusione, il proclama viene fatto affiggere a Bergamo e nei Borghi e in tutti i Comuni del territorio bergamasco, viene inoltre previsto l’obbligo per parroci di renderlo pubblico dall’altare “inter Missarum Solemnia”, in modo che nessuno, e in particolare gli amministratori locali, potessero ignorarne il contenuto.