Tracce archeologiche: dalla Tomba dei Polacchi a Rota al colle Duno di Almenno SS

In questa nuova puntata Little Eagle ci racconta di tutti i luoghi nelle nostre valli dove sono stati rinvenuti reperti archeologici risalenti all'Età del Bronzo.
3 Novembre 2018

Di seguito alcuni stralci di documentazione archeologica, tratta dalla relazione “Storia delle valli attraverso i dati archeologici“ dell’amico archeologo Giuseppe Ge, e da “Carta Archeologica della Lombardia”. Penso di non annoiare il lettore parlando di reperti e di documenti archeologici,  sia  per l’antichità dei tempi da cui riemergono(circa 3.000 anni fa ) sia per  la riscoperta di una storia inaspettata di luoghi e siti tanto usuali quanto sconosciuti, riportando il nostro tempo e la nostra valle all’Età del Bronzo e ritrovando le attività svolte dalle comunità che qui vivevano.

“Molti reperti rinvenuti…Testimoniano relazioni commerciali con aree anche molto distanti, (a conferma della vocazione e destino  di transito e di comunicazione delle valli ) e molti reperti  testimoniano la circolazione a vasto raggio, come le conchiglie marine provenienti dall’Adriatico rinvenute a Berbenno

Belvedere al Castello di Clanezzo

Unico sito oggetto di scavi sistematici, che ha restituito tracce di strutture pertinenti ad un insediamento, è  la località Belvedere al  Castello di Clanezzo  con la presenza di un abitato databile tra il XIII e il XIV a.C( 1.300 e 1.200-  quindi 3.300 /3.200 anni fa ). Si tratta di un villaggio costituito da una serie di strutture abitative parzialmente infossate nel terreno, di forma quadrangolare, con grosso palo in legno interno a sostegno della struttura del tetto; le  pareti  erano rivestite di incannucciato e il piano di calpestio era in argilla scottata.  Possiamo conoscere le attività svolte dalla comunità che vi viveva; numerose fusarole e pesi di telaio attestano la pratica della filatura, frammenti di macine e di ceramica prodotta localmente attestano una diffusa pratica agricola. Alcuni  reperti testimoniano relazioni commerciali con aree anche molto distanti,  e frammenti di ceramica di tipologia riferibile alla cultura di Polada, originaria e diffusa nella fascia dell’ alto Garda mantovano, alcune perline in pietra vitrea blu, un braccialetto in pasta vitrea chiara, un saltaleone in bronzo, e una macina in trachite vulcanica proveniente dall’area dei colli euganei permettono di riconoscere  relazioni commerciali con l’ambiente veneto-adriatico.  

L’abitato, posto su un terrazzo fluviale alla confluenza tra i fiumi Imagna e Brembo, doveva estendersi, osservando la distribuzione dei reperti, dalla frazione Castello fino alla località Bondo presso Ubiale. Si tratta di un insediamento esteso che svolgeva un ruolo chiave nella dinamica economica e sociale delle due vallate. Nelle età precedenti l’attività principale era costituita dalla lavorazione dei blocchi di selce nella località Belvedere, posta in posizione più interna e quindi più a contatto con i giacimenti, posti nella media valle Imagna. Durante l’età del bronzo, invece, doveva essere l’attività artigianale di fusione e di lavorazione del rame e del piombo, presenti nei giacimenti della media e alta valle Brembana a costituire un importante capitolo economico dell’area; di conseguenza l’abitato dell’età del ferro si sviluppava lungo il terrazzamento naturale del fiume Brembo occupando le pendici del monte Ubione. 

L’assenza di forni fusori e scorie nell’abitato ha fatto ipotizzare che una parte del minerale fosse estratto e lavorato altrove (prevalentemente a Valtorta  dal rinvenimento di un’ ascia datata al XII a.C.( 1.100  a.C.), rinvenuta presso le miniere del monte Camisolo)  e che venisse convogliato lungo il fiume Brembo fino a Clanezzo che poteva svolgere una funzione di mercato, grazie alla sua posizione strategica trovandosi allo sbocco verso la pianura di due percorsi interni delle valli e non distante da percorso pedemontano che univa l’area adriatica ai passi alpini.

Tomba di inumazione Grotta Costa Cavallina di Clanezzo

All’età del Bronzo sono databili anche altri due siti all’interno di grotte, di differenti funzioni, che hanno permesso di confermare l’esistenza di scambi a lungo raggio tra l’area prealpina e l’area veneta con influssi anche di ambito transalpino. Si tratta della tomba ad inumazione rinvenuta nella grotta Costa Cavallina di Clanezzo, non distante dal sito dell’abitato, e della grotta nota come Tomba dei Polacchi nel comune di Rota nel cuore della Valle Imagna. 

Nel primo caso si tratta di una rara sepoltura ad inumazione databile al Bronzo finale, che perpetua, nel corso dei secoli, l’usanza di porre gli inumati all’interno di anfratti naturali usati come veri e propri luoghi sacri destinati al culto dei morti.  Scoperta nel 1985 all’interno di una cavità naturale che si apre sul versante destro del fiume Brembo, in vicinanza di una sorgiva, ha restituito i resti di un inumato,di una  grande ciotola e tre vaghi d’ambra. Purtroppo parte del corredo, che doveva essere ben più ricco, andò perso e la sepoltura danneggiata da scavi clandestini, tuttavia i pendagli in ambra rinvenuti sono un ritrovamento eccezionale,  poiché rappresentano il più lontano e  il più settentrionale reperto in tale materiale rispetto alla “ via dell’ambra” e alle rotte commerciali note nell’età del Bronzo. I tre vaghi, tutti diversi tra loro per grandezza, sono di tipologia comunemente noto come “tipo a tesoro di Tirinto”, di forma cilindrica, con scanalature trasversali e presentano un foro passante al centro, che suggerisce l’ipotesi che potessero essere montati su di un filo come una collana. La presenza di ambra, proveniente dal Baltico, che veniva lavorata nel sito di Fratta Polesine in vicinanza al delta del Po, ritrovata in un contesto funerario, in un’ area marginale alle grandi vie di traffico transalpine, permette di comprendere il ruolo commerciale delle vallate orobiche ed il prestigio sociale dell’inumato, dato che gli amuleti e i vaghi in ambra venivano considerati oggetto di status-simbol di alto rango e ai cui erano attribuiti valenze magiche e terapeutiche. 

Tomba dei Polacchi a Rota d'Imagna

I ritrovamenti, invece, all’interno della Grotta dei Polacchi (deformazione italiana del nominativo dialettale  locale  “  Tamba del  Polakì”  –  tamba= antro, grotta) permettono di cogliere alcuni aspetti legati ai riti e alle cerimonie religiose in uso durante l’età del Bronzo. Si tratta di una vasta cavità carsica articolata in  un ramo centrale ripartito in tre diversi ambienti,  che si trova nel comune di Rota Imagna a 560 metri di altitudine, posta quasi ai piedi del Resegone, indagata con scavi sistemativi tra il 1975 e il 1982.  In tutta la grotta si sono rinvenute tracce di frequentazione a scopo di culto come i resti di numerosi focolai,  di cenere e carboni. Lungo l’asse N-S del primo ambiente della grotta,  sul piano di calpestio si trovano piccoli fori poco profondi disposti a semicerchio che segnalano il perimetro di probabili piattaforme lignee o piccoli recinti per le offerte. 

Tra i reperti rinvenuti si segnalano numerosi frammenti di ceramica di produzione locale, frammenti di vasi con decorazione a grossi punti profondamente incisi simili a quelli prodotti nell’area svizzera databili all’inizio del Bronzo; frammenti di puntelli spatole e pendagli in osso lavorato. In particolare un pendaglio in osso di cervo lavorato a solcature anulari molto regolari permette di trovare riscontri tipologici con analoghi oggetti rinvenuti in contesti della prima età del bronzo in Trentino. Dopo una fase, durante la media età del Bronzo in cui la grotta non venne più frequentata,  durante l’età del Bronzo finale, tra XI a.C. e X a.C.  la grotta venne di nuovo frequentata, in modo continuo ed intenso, come dimostra l’elevato numero di frammenti di ceramica rinvenuti. In particolare numerosi sono i ritrovamenti di grossi vasi, anche interi, ad impasto grossolano, di forma situliforme e decorati a tacche impresse che trovano analogia con le produzioni ceramiche dell’area lombardo-piemontese, ma prodotti localmente verosimilmente nel sito coevo di Ubiale-Clanezzo.

Significativa  risulta la continuità di uso della grotta per motivi di culto in una fase in cui si privilegiavano le offerte alle acque sorgive o ai fiumi. Si tratterebbe di un fenomeno di  continuità  culturale  presente anche in altre regioni alpine ma  che in Valle Imagna sembra durare più a lungo si pensi alla presenza  del Santuario della Cornabusa  sorto all’interno di una grande grotta posta a  pochi chilometri di distanza dalla Grotta dei Polacchi. Conferma  significativa dell’uso della grotta  come santuario votivo (connesso al culto delle acque? ) ci viene fornita dal ritrovamento nella zona più interna della Grotta dei Polacchi di Rota Imagna, di un grosso vaso situliforme (IX-VII a.C.) collocato come offerta , secondo l’uso riscontrato nei ritrovamenti in grotte  a Creta  , ai piedi della “grande stalattite “, contenente due spilloni in bronzo già in frammenti all’atto della deposizione, una scoria ferrosa e una zampa di pecora 

E’ di questa  fase, o di poco posteriore, il ritrovamento di un rasoio in bronzo databile tra il X a.C. e il IX a.C. eccezionale reperto solitamente deposto come parte del corredo in tombe ma unico caso noto in un contesto devozionale. Si tratta di un rasoio quadrangolare con doppia lama a forma di paletta, a incavo semicircolare, e decorazione incisa recante l’immagine dell’”ascia bipenne”. La provenienza dell’oggetto e i motivo che spinsero il suo possessore a porlo come offerta sacra restano misteriosi. Se infatti, forma e datazione del rasoio presentano analogie marcate con altri rinvenuti in tombe nell’area comasca e varesina (Malgesso) e veneta (Angarano di Bassano), aree che potevano avere legami commerciali con l’area orobica, la decorazione dell’” “ascia bipenne”, motivo nato nell’ area egea e minoico-cretese e diffuso solo in pochissimi esemplari dell’Italia centro-meridionale, lascia aperta le possibilità di scambi anche a lunga distanza.

Da notare il rifacimento dell’appiglio a verga ritorta, aggiunto posteriormente ed evidentemente eseguito da un officina  locale che attesta una grande maestria nella forgiatura di leghe metalliche, fissato con ribattini alla lama va a coprire parte della decorazione originale dell’ascia bipenne.  La deposizione del rasoio nella Tomba dei Polacchi può avere valenza simbolica: l’uso di ridarsi, infatti, era appannaggio delle culture mediterranee e della aristocrazia, quindi chi ha voluto deporre il rasoio come offerta votiva, voleva sottolineare il suo status e il suo rango all’interno della comunità e propiziarsi le divinità attraverso un’offerta  certamente  molto rara. Tuttavia non è da escludere che il rasoio non sia solo un oggetto votivo, ma anche venisse utilizzato  come strumento sacro.

Colle Duno ad Almenno San Salvatore

Nella prima età del ferro assistiamo ad una diffusione di piccoli villaggi di altura arroccati, naturalmente difendibili, posti in punti di passaggio obbligati  a guardia di estese porzioni di territorio.  Al momento sono noti due siti di questa tipologia:  il colle Duno ad Almenno San Salvatore e la località Castello nei pressi di Piazza Brembana, entrambi indagati solo con prospezioni di superficie e per buona parte alterati da edifici moderni. Malgrado sia difficile accertare l’orizzonte culturale di appartenenza dei due siti, alcuni materiali rinvenuti possono essere utilizzati come indicatori culturali.  Con il termine di Duno, toponimo di chiara derivazione celtica con significato di villaggio/fortificazione, viene indicato un monte posto a Sud della confluenza tra i fiumi Brembo ed Imagna in posizione dominante la pianura e ad evidente controllo del percorso della via pedemontana, che fin dall’età protostorica, collegava il centro urbano di Bergamo all’area comasca di Lecco e Valsassina . Sulla sua sommità, spianata artificialmente, sorgeva un abitato fortificato, come attestano alcuni reperti di ceramica comune databili tra  IV a.C. e tracce di un muro di  fossato. 

Castello a Piazza Brembana

Dal confronto con la ceramica rinvenuta nel sito di Chiuso presso Lecco  e dal ritrovamento di una fibula rinvenuta nei pressi del fiume Brembo nel territorio comunale di Paladina, non distante in linea d’aria dal colle, sembra di poter riferire l’abitato alla cultura di Golasecca.  Piazza Brembana, centro dell'Alta Val Brembana, per la posizione geografica che lo colloca all'incrocio dei due rami del Brembo (ramo di Mezzoldo e ramo di Val Fondra), è  il paese che da sempre ha svolto il ruolo di punto di riferimento tra la  porzione di valle detta oltre la Goggia, che sale verso il confine con la Valtellina, e la media e bassa valle. Durante lavori per la costruzione di un centro residenziale, in località Castello, un terrazzo naturale in vicinanza del fiume Brembo, furono rinvenuti, i resti di tre capanne lignee databili alla I età del Ferro (IX-VI a.C.) indizio di una frequentazione antica dell’area favorita dalla sua posizione a controllo di più percorsi viari legati allo sfruttamento delle miniere dell’alta valle e ai pascoli estivi. 

Locatello e lo spillone di San Pellegrino

Altre citazioni archeologiche interessanti la nostra  zona sono i reperti trovati a Ponte San Pietro, a Paladina , a Coegia di  Locatello, al Chignolo di Rota d'Imagna e lo Spillone di bronzo rinvenuto a San Pellegrino, come riportato sulla rubrica Valle Brembana in bianco e nero. Fatta questa panoramica archeologica potremo riprendere il nostro racconto con la puntata conclusiva dell viaggio in compagnia di Omero.

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