Per quanto possa sembrare demodé, le tradizioni contano. Il retaggio del passato, più o meno lontano, porta con sé un carico difficile da ignorare, soprattutto se arriva ad influenzare una vita in modo radicale. È il caso di Don Egidio Todeschini, originario di Berbenno, neo Coordinatore nazionale per le Missioni Cattoliche di lingua italiana in Svizzera: la sua avventura oltralpe è iniziata più di quarant’anni fa, un vero fulmine a ciel sereno.
“Nel 1973 ero curato dell’oratorio di Alzano – racconta – poi il Vicario generale mi ha chiesto di andare all’estero per fare il cappellano degli emigranti in Svizzera: io sono di Berbenno, tanti concittadini se ne sono andati a cercare fortuna altrove, inclusi i miei familiari. Per questo il Vicario ha pensato a me, e io sono partito”. Una nomina inaspettata, per Don Egidio, che all’epoca non aveva alcuna esperienza all’estero. “Dal’73 sono stato in Svizzera francese, poi quando stavo per tornare il Vescovo di Bergamo è cambiato e in quel momento era ancora in vita don Vito Belotti, che mi ha incaricato di dirigere una missione in Svizzera tedesca: si consideri che io conoscevo letteralmente due parole in tedesco, ja e raus, che avevo imparato da qualche film. Così, mi sono iscritto a un corso di tedesco e sono andato avanti”.
Avanti, per Don Egidio, significa calarsi in pieno nella vita al di là delle Alpi. “Serviva qualcuno che facesse il redattore per il giornale dei migranti in Svizzera, così sono diventato responsabile di questo editoriale per 16 anni. Quando mi sono detto che sarei tornato a casa, il Vescovo Amadei, mio ex professore, mi ha risposto che se stavo bene in Svizzera potevo restare, perché erano già tanti quelli volevano rientrare”. Anzi, a legare ancora di più il Don alla terra elvetica c’è la recente nomina a Coordinatore delle missioni cattoliche in Svizzera. “A 77 pensavo di poter rientrare, ma visto che conosco il posto, le lingue e i missionari del luogo, mi hanno fatto coordinatore nazionale – scherza – Adesso sono nella regione del Lichtenstein, proprio al confine, infatti un terzo del territorio della missione è nel principato di Vaduz e i due terzi sono nel Cantone San Gallo. Qui ci sono 5000 italiani, ma quelli con il doppio passaporto sono di più, anche se non vengono conteggiati”.
Un luogo di cui Don Egidio ha tante esperienze molto positive. “Mi hanno accettato fin da subito, anche quando dovevo imparare il francese mi hanno accolto, è un paese molto rispettoso. Qui le cose funzionano dal punto di visto pratico, si adatta al mio carattere. Io non ho mai scelto il posto dove andare, in 49 anni ho cambiato 5 missioni, mi sono trovato sempre bene dappertutto, la vita ha deciso per me dove dovessi andare”. La posizione di Don Egidio è particolare, un migrante tra i migranti. “Io sono qui per gli italiani e ne vedo sempre tantissimi, le messe e le comunità che frequento sono italiane. Ovviamente bisogna integrarsi, accettando la lingua, la cultura, e gli svizzeri sono molto rispettosi, per questo io dico ai nostri sacerdoti di concedere alle missioni straniere in Italia gli stessi diritti che abbiamo avuto noi qui”. Secondo il Don, la figura di chi lascia il proprio paese ha un ruolo fondamentale nel mondo contemporaneo.
“L’Europa non è più il centro del mondo, quella dei migranti non è un’emergenza passeggera, ma condizionerà il futuro: andiamo verso una società multiculturale e dobbiamo accertarlo. Lo dice anche il Papa, bisogna costruire ponti, non muri, per non chiuderci in noi stessi. Gli italiani all’estero sono un arricchimento per il paese dove vanno, non abbiamo solo immigrati ma anche emigrati. La fondazione Migrantes ha pubblicato uno studio, sono partiti 166 mila italiani solo quest’anno, e tanti dal Nord Italia. La nostra terra è diventata terra d’esportazione, soprattutto verso il Regno Unito”.
Allo stesso tempo, però, Don Egidio non ha dimenticato le proprie radici. “Non mi manca nulla della Valle, perché ho sempre mantenuto tanti contatti, in tre ore di auto posso rientrare e lo faccio almeno 3 o 4 volte. Sono sempre in contatto con Berbenno e la sua Parrocchia. Diciamo che sono vicino, a un tiro di schioppo”. Un eventuale rientro, nel suo caso, resta un’incognita. “Il futuro non dipende da me, adesso vorrei tornare perché l’età è quella che è, ma finché il Signore mi dà la grazia di poter lavorare allora resto qui, il mio scopo non è andare in pensione per riposarmi. Non sono in una struttura rigida come una parrocchia, nella missione posso creare, inventare qualcosa di nuovo, ho la massima libertà. Cerco di non chiudermi in questo guscio, sono aperto al Terzo Mondo, ho contatti con tanti luoghi lontani, un po’ con viaggi, pubblicazioni, libri, sostengo tanti progetti e sono in contatto con Filippine, Ecuador, Senegal.. non mi sento chiuso. Al mattino mi alzo contento, perché ho la giornata piena e tanto da fare”.
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