Il termine “vocazione”, applicato a un parroco, fa subito venire in mente il momento in cui questi decide che la Fede sarà la sua strada. Nel caso di don Andrea Mazzoleni, però, la vocazione vuole dire anche “chiamare gli altri”: ecco la sua storia, che come ci racconta lui stesso, comincia a Sant’Omobono Terme 48 anni fa.
“Sono prete dal 2001: sono entrato in seminario a 11 anni, ho fatto tutto il percorso, con le varie esperienze di seminario, come due anni a Comun Nuovo, in 4^-5^ teologia ho fatto il diacono”. Arriva allora il momento di diventare “don” a tutti gli effetti: “Quando ho preso i voti sono andato sei anni a Gandino: sono stati gli anni della ricostruzione dell’oratorio, che era bruciato nel ‘99, ho inaugurato l’oratorio a maggio 2007 e poi sono partito a gennaio 2008 per la Bolivia in missione per quasi dieci anni”. Impegno lungo e proficuo, che cambia don Andrea. “Sono rientrato, il vescovo mi ha chiesto di essere direttore del centro missionario diocesano e anche dell’ufficio pastorale migrante, dal 2019 sono parroco alla parrocchia di San Martino, Piazza Brembana e Lenna, Roncobello, Baresi, Moio de’ Calvi e Valnegra”.
Come è stato trascorrere quasi un decennio in Sud America, a contatto con una realtà tanto diversa da quella abituale? Formativo, almeno per il nostro don. “Già da diacono sono andato in missione, ai nostri tempi si proponeva per conoscere i missionari diocesani, da lì è arrivata l’idea di fare questa esperienza. Dopo Gandino ho incontrato il vescovo Amadei: gli ho chiesto o di lasciarmi lì, oppure di mandarmi in missione. È stata un’esperienza positiva, io la suggerisco a tutti, preti e giovani volontari, è bella e arricchente, ha quella marcia in più devo dire. Ho vissuto per nove anni a Munaypata, una parrocchia fondata 60 anni fa dai preti bergamaschi, una comunità molto grande, 60 mila abitanti, alla periferia di La Paz”.
Ambiente non semplice, dunque, ma stimolante e di grande ricchezza umana. “Era un’esperienza di parrocchia, lì sono importanti le comunità ecclesiali, le signore si incontrano e vivono l’esperienza della Parola. La bellezza di quel viaggio è che avevamo una scuola di 2.500 studenti, questo portava ogni giorno freschezza, bellezza e quel bel caos che viene portato dai giovani, una cosa che soffro qua in alta Valle – spiega Don Andrea. – La missione porta con sé ovviamente la povertà, che esiste anche qua, ma la è accentuata. Non ci sono i mezzi per vivere, gestivamo una mensa per i bambini dove gli si dava anche solo un pasto dignitoso e caldo. Facevamo da pastorale degli anziani, che là sono molto soli, attività giovanili, sacramenti, una 60ina di battesimi all’anno, 350 cresime e comunioni”. Un mondo diverso, che fa crescere. “Mi ha aperto cuore e mente, mi ha fatto vedere il mondo da un altro punto di vista. Noi bergamaschi cerchiamo di portare il nostro stile, fare tante cose, programmare, darsi da fare: i missionari mi hanno aiutato a capire che non bisogna guardare tanto all’orologio, quanto al cuore delle persone”.
Non solo, perché anche l’occhio vuole la sua parte e don Andrea lo sa, dedicandosi con passione alle Chiese del territorio. “Grandi hobby non ne ho mai avuti, quando ho tempo mi piace curare al meglio le nostre chiese. Ne ho 18 all’interno del territorio dell’Unità Pastorale, riconosco quanto sia importante la bellezza, della fede passa anche attraverso la bellezza estetica, una chiesa ordinata, adeguata. Quando ho tempo passo per le chiese, le sistemo, ho tanti collaboratori per renderle sempre più accoglienti. Sicuramente sono edifici ricchi, i nostri avi ci hanno dato patrimoni molto belli, che magari rischiamo di lasciar passare in secondo piano. Tutti hanno il gusto del bello – spiega – nei vestiti, nelle feste, dunque anche la fede deve passare attraverso quello, senza esagerare, ma usare ciò che c’è per aiutare la gente a entrare nel Mistero”.
A proposito di appassionare le persone, don Andrea lavora molto perché questo accada con i ragazzi, anche se non è sempre facile. “I giovani si coinvolgono con i giovani: ho un bel gruppo di animatori e educatori, studenti o lavoratori che danno il proprio tempo per gli altri e li attirano”. Le particolarità geografiche di un’Unità Pastorale tanto ampia rendono difficile fare rete. “Essendo in alta Valle Brembana è complicato gestirsi, occorre spostarsi per tutto, non riusciamo a fare cammini articolati perché i ragazzi si spostano continuamente, dalla scuola agli hobby, dunque non c’è molto tempo. Non abbiamo un oratorio centrale, purtroppo, un centro aggregante da mettere a disposizione dei ragazzi, direi che non aiuta”.
L’impegno non manca mai e si trova sempre il modo di offrire momenti di condivisione con i più giovani. “La strategia vincente è incontrare gli adolescenti – spiega – una volta al mese, il sabato pomeriggio e sera. Vengono preparate delle attività particolari per loro e si finisce con la cena, poi hanno la serata libera. Ogni giovane ha le sue passioni ed è giusto che le possano vivere nei momenti liberi, è una pastorale un po’ sfilacciata. Io mi muovo sempre, ma con i giovani si cerca di dare una continuità mensile, è un appuntamento importante e comunque 25 ragazzi arrivano sempre”.
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O al capoluogo sù rimangono relativamente poco .se non x relax..questo è quanto dicono quando si va a visitare i paesi