Per andare in America non servono più le celeberrime “cento lire”, ma oltreoceano c’è ancora una terra di disponibilità. Almeno nel caso di Donato Scotti, partito da Almè più di trent’anni fa per portare la cucina italiana negli States. Dopo più di tre decenni, altrettanti locali aperti e una famiglia nata e cresciuta negli Stati Uniti, Donato ci racconta la sua storia: qualcosa, infatti, lo ha seguito fino alla California.
“Io ho sempre voluto fare il cuoco, infatti ho frequentato l’Alberghiero di San Pellegrino: dopo gli studi poi mi hanno offerto un lavoro negli Usa, avevo vent’ anni, dunque a inizio anni ’90”. Una transizione non semplice, in una realtà del tutto diversa. “È stato un po’ uno choc dal punto di vista di culturale, trasferirsi così di punto in bianco, a me non piaceva nemmeno andare a Milano. Sono rimasto a New York tre mesi, ma quel ristorante non faceva per me. Mi sono trasferito al Primi a Los Angeles, dove c’erano altri bergamaschi. Mi sono poi spostato a San Francisco, dove sono rimasto”.
Il tempo è passato e Donato si è dato da fare: “Mi sono messo in proprio, ormai quindici anni fa, aprendo Donato Enoteca: ora ho tre locali con un altro socio. Cosa mi ha fatto restare in America? Le possibilità che ci sono, si guadagnava bene e si lavorava bene: gli stipendi sono sempre stati buoni, perché quella dello chef è vista come una professione rinomata, i cuochi in Italia erano meno in vista al tempo, invece a New York eri molto più pagato e rispettato”.
Un altro mondo, rispetto all’Italia, o almeno lo era una volta. “Vivere qui mi è piaciuto da subito, a Los Angeles ho conosciuto mia moglie e poi ci siamo spostati nel Nord della California: abbiamo avuto due figli e viviamo nella Baia ormai da molto tempo” riflette Donato. Tempo che ha permesso a Donato di apprezzare i cambiamenti in corso negli USA: “Prima le differenze con l’Italia erano molte di più, adesso meno. La cultura resta diversa, ovviamente, il cibo va sempre aggiustato sui loro gusti, ma la differenza sta diventando più ridotta. Stati Uniti e Italia si sono avvicinati, è cambiato il gusto perché gli americani vengono in Italia” e anche nelle sue zone di origine. “Prima non conoscevano Bergamo, ora tanto clienti dicono che ci sono stati, o ci vanno perché glielo raccomando io. Prima pensavano solo a Roma, Firenze e Pisa, adesso sono turisti consapevoli e dunque clienti consapevoli”.
Resta qualcosa di diverso e Donato lo sa bene: “Ci sono tante cose che mi mancano, potrebbe essere un elenco lungo, là non si trovano radicchi, il coniglio con la polenta, trovi gli ingredienti ma non sono la stessa cosa. Voglio provare a coltivare i radicchi perché ho tanto posto dietro casa” aggiunge. Un elemento importante, per chi si occupa di ristorazione come chef Donato, è proprio l’approvvigionamento di ingredienti freschi e tipici. “Faccio arrivare il Taleggio e il Branzi direttamente dalla Valle Brembana, le compagnie ormai portano di tutto, se sono bravi. Solo a San Francisco ci sono ormai due o tre ristoranti di bergamaschi, io sul menù ho gli scarpinocc, le farine arrivano dall’Italia, ormai è un mercato continuo. È più difficile con la carne, perché gli ispettori che la valutano costano molto: si trovano i prosciutti, ma non il salame nostrano”.
I casoncelli e la cucina non sono l’unico legame che Donato ha coltivato con la sua terra natale. L’altra passione è l’Atalanta. “Vedo tutte le partite in diretta, ho anche uno schermo nel bar, dove vengono tante persone a guardare la Champions, ad esempio, ho la bandiera dell’Atalanta vicino alla tv”. A proposito di contaminazioni “mi sono anche appassionato ai loro sport, sono andato a vedere il football a San Francisco e il baseball, mi piacciono tutti in generale, ma la Dea è unica e lo sanno anche i clienti: se vogliono vedere le partite vengono da me. Se, per colpa del fuso orario, si gioca la mattina presto, ho uno schermo gigante in giardino”. Insomma, i colori neroblu sono una cosa seria: “Ho una bandiera dell’Atalanta anche in cucina, un impiegato ci si è asciugato le mani il giorno dell’apertura: l’ho mandato via all’istante. Quando posso, vado in trasferta, a Manchester, Liverpool… ho una sciarpa comprata nell’84 che viene sempre con me: a casa ho una stanza adibita solo a magliette e gagliardetti”.